Emilio De Capitani: maggiore trasparenza nei Triloghi UE
È stato dal 1998 al 2011 Segretario della Commissione Libertà Civili (LIBE) del Parlamento europeo e, una volta in pensione, ha insegnato in diverse Università in Italia e all’estero. Emilio De Capitani è attualmente direttore Esecutivo del Fundamental Rights European Experts Group e docente a contratto alla Scuola Superiore S.Anna in Pisa. In qualità di esperto di diritto comunitario e di politiche europee, si occupa di questioni legislative legate alla dimensione democratica e alla trasparenza delle istituzioni europee con particolare riguardo alle strategie collegate alla trasformazione dell’Unione europea in spazio di libertà, sicurezza e giustizia come previsto dall’art. 3 del Tratto sull’Unione Europea. Grazie alle sue iniziative, le istituzioni europee saranno più trasparenti e i cittadini potranno essere meglio informati delle trattative che, a livello legislativo, si svolgono a Bruxelles. Il professor De Capitani ha, infatti, portato alla Corte Ue la richiesta di maggiore trasparenza nei triloghi, i negoziati tra Parlamento e Consiglio Ue con la mediazione della Commissione europea, che vengono fatti per scrivere le future normative comunitarie.
Buongiorno prof. De Capitani, grazie della sua disponibilità. Lei ha ricoperto per tanti anni la carica di funzionario di Commissione al Parlamento Europeo; una volta andato in pensione, dopo i canonici due anni dalla cessazione dell’incarico, ha iniziato un’opera volta a garantire la trasparenza dei processi legislativi europei. Quindi si era già accorto, nei tanti anni passati all’interno delle istituzioni comunitarie, che qualcosa non andava?
Assolutamente sì! Non a caso è stata la Commissione Parlamentare di cui ero segretario, che ha avviato già dal 2001, la prassi, a mio parere positiva, di stabilire un dialogo diretto con il Consiglio, per trovare accordi che permettano di velocizzare il processo legislativo, evitando di dovere espletare le diverse “letture” previste dai Trattati. All’epoca avevamo dovuto ricercare questo contatto diretto, per concludere due procedure legislative che dovevano essere ultimate in tempi molto ristretti in base al Trattato. La Commissione aveva presentato le sue proposte, ma sarebbe stato impossibile portare a compimento in tempo le due letture normalmente previste, per cui avevamo contattato il Consiglio, che si era mostrato ben disposto a contrattare direttamente e velocemente i termini di un accordo. Quindi, io sono ancora convinto che il colloquio diretto tra le istituzioni sia un fatto positivo, tanto più che adesso, in base al Trattato, sia il Consiglio che il Parlamento sono co-legislatori. Tuttavia, é lo stesso Trattato che prevede ormai che i dibattiti legislativi siano pubblici. Questo non era il caso prima di Lisbona, e, quindi il Parlamento europeo doveva accettare che i negoziati con il Consiglio seguissero un metodo più ‘diplomatico’. Ma il Trattato di Lisbona, riprendendo una innovazione del Trattato Costituzionale, dispone ormai che l’obbligo di trasparenza vale anche per il Consiglio che dovrebbe quindi comportarsi come una seconda “Camera”. Mi sarei quindi aspettato che dopo l’entrata in vigore del Trattato il Parlamento europeo avrebbe convinto il Consiglio ad abbandonare il metodo “diplomatico” per adeguarsi a quello parlamentare, purtroppo é stato invece il Consiglio a convincere il Parlamento a seguire quello “diplomatico”. Per questa ragione a quattro anni dal mio pensionamento ho presentato un ricorso alla Corte di Giustizia (ndr: CURIA causa T-540/15 Emilio De Capitani vs. Parlamento), nella quale chiedevo di dichiarare i “triloghi” una fase essenziale del processo legislativo e perciò soggetta agli stessi obblighi di trasparenza e accesso ai documenti che caratterizzano le altre fasi.
Studiando le cause che ha portato avanti al Tribunale e alla CGUE, mi ha incuriosito un fatto, possibile che solo lei si sia accorto di questa distonia? Fra l’altro nella causa che ha visto come convenuto il Consiglio dell’Unione Europea (ndr: CURIA causa 163/15 Emilio De Capitani [con il supporto di Paesi Bassi, Belgio, Svezia, Finlandia] vs. Consiglio dell’Unione Europea), ha avuto il supporto di quattro stati membri, che avrebbero potuto ricorrere autonomamente in modo più incisivo, stante il loro ruolo istituzionale.
Bella domanda! In effetti quando è in gioco un aspetto essenziale come la trasparenza legislativa in una organizzazione che si vuole democratica dovrebbero essere gli stati membri e le stesse istituzioni a promuovere il rispetto dei Trattati. Gli Stati, la Commissione e il Parlamento sono infatti in base ai trattati dei ricorrenti privilegiati che possono sollevare davanti alla corte ricorsi anche nel solo interesse dello Stato di diritto. Noi cittadini dobbiamo invece seguire dei percorsi di guerra per ottenere lo stesso risultato. Possiamo fare ricorsi diretti, ma solo se siamo direttamente e individualmente interessati. In tutti gli altri casi dobbiamo prima trovare un giudice nazionale che se la senta di sottomettere una questione pregiudiziale alla Corte circa la validità di una norma europea. Tutto ciò significa, conoscenze, tempo e soldi; tutte risorse scarse per dei cittadini comuni. A mio parere spettava invece al Parlamento europeo convincere il Consiglio ad adeguarsi alla lettera e allo spirito del Trattato in materia di trasparenza legislativa. A volte vengo accusato anche da Parlamentari di non comprendere come sia necessario uno spazio di manovra libero per raggiungere dei compromessi. Ne sono convinto anch’io e questo avviene anche nei dibattiti parlamentari ma solo quando la rivelazione del contenuto possa costituire una minaccia per uno Stato membro o per l’Unione europea, ma non certo quando il documento in discussione é una proposta di emendamento legislativo o l’espressione di uno Stato membro o di un gruppo parlamentare.
Sono, infatti, convinto che sia un diritto dei cittadini essere a conoscenza se un certo emendamento é stato sostenuto in Consiglio dal governo tedesco, piuttosto che nel Parlamento europeo dalla delegazione del partito socialista. Se il cittadino non ha queste informazioni, la democrazia partecipativa che il Trattato promuove esplicitamente diventa un contenitore privo di contenuti. Pensi che in questo momento sono pendenti 170 procedure legislative, e la stragrande maggioranza è tuttora negoziata nel quadro di triloghi sulla base di documenti cui il cittadino non ha accesso se non dopo avere presentato richieste che hanno seguito solo dopo diverse settimane e, di norma, a trilogo terminato.
Visto che trovo tutto questo scandaloso, da dicembre scorso ho iniziato, con scadenza quindicinale, a chiedere l’accesso a questi documenti preparatori legislativi. Sarà per via della causa vinta contro il Parlamento, ma, finalmente, questi documenti vengono pubblicati, anche se con ritardo di alcune settimane, nel registro dei documenti del Parlamento. A questo punto se un cittadino o uno studente o un avvocato, desidera, ad esempio, seguire i negoziati sulla proposta in materia di Intelligenza artificiale, il cui trilogo inizierà già alla fine di questo mese potrà farlo seguendo tutto il processo nel suo evolversi; dalla proposta della Commissione alla posizione del Parlamento e del Consiglio, ai negoziati nel trilogo tra Parlamento e Consiglio sino alla probabile conclusione prima della fine di questa legislatura.
Fra l’altro l’art. 42 della Carta dei diritti fondamentali è molto chiaro sul diritto dei cittadini ad avere accesso ai documenti.
Esattamente! L’art. 42 della Carta è molto esplicito nel dire che il cittadino “ha il diritto di accedere ai documenti delle istituzioni, organi e organismi dell’Unione, a prescindere dal loro supporto”. Il “documento” non è quindi semplicemente un pezzo di carta, ma può essere anche un SMS, un tweet, Whatsapp, una e-mail. Basti ricordare la risposta imbarazzata della Commissione quando sono stati richiesti i messaggi scambiati fra la Presidente Von der Leyen e le ditte che hanno realizzato i vaccini contro il covid. Alcuni di questi contatti erano avvenuti proprio tramite i mezzi summenzionati, ma che non erano stati registrati come si sarebbe dovuto sulla base del Regolamento Europeo in materia (1049/01). A richiesta, il Segretariato della Commissione ha risposto che quegli scambi erano di tipo effimero, ed erano stati, successivamente, cancellati. Ora, a mio parere, quando questi scambi di messaggi avvengono in virtu’ della carica istituzionale, e non a titolo personale, anche un semplice Whatsapp va registrato e deve rimanere agli atti. Fatti e scandali del genere sono avvenuti anche negli Stati Uniti, basto ricordare, le accuse fatte anni fa a Hillary Clinton per avere utilizzato un server di mail privato invece di quello ufficiale del Dipartimento di Stato.
Oltretutto parliamo di contratti miliardari stipulati con soldi pubblici dei cittadini europei.
Il problema nasce dal fatto che il Regolamento europeo sull’accesso ai documenti consente diverse eccezioni definite in modo molto generico e richiederebbe delle misure più precise a livello dei regolamenti interni delle singole istituzioni, ma, questi, a loro volta si rifanno a norme di livello inferiore e così, nel caso della Commissione, le regole di archiviazione o cancella zione dei messaggi sono riprese da semplici “Guidelines” del Segretario Generale. Dall’adozione di questo Regolamento nel 2001, si sono susseguite numerose sentenze della Corte di Giustizia, che hanno cercato di circoscrivere la portata delle eccezioni alla trasparenza specificando, ad esempio, che in caso di pericolo per gli interessi dell’Unione, questo deve essere effettivo e non ipotetico. Non bisogna poi dimenticare che, quando si interagisce con una istituzione dell’Unione, si dovrebbe essere consapevoli del fatto che questa dovrebbe ispirare la propria azione al principio di trasparenza. Si ha invece l’impressione che il principio cui si ispirano le istituzioni sia quello della confidenzialità. Detto questo é ovvio che decisioni come le nomine di persone o le esigenze di sicurezza interna ed esterna dell’Unione, siano giustamente protette dalla confidenzialità, ma tutte le altre dovrebbero essere accessibili. Questo vale in particolare per la Pubblica Amministrazione dell’Unione Europea ai sensi dell’art. 41 della Carta dell’art. 298 del TFUE le quali richiedono che le Istituzioni, Agenzie e organismi dell’Unione Europea si avvalgano di un’amministrazione aperta, indipendente ed efficiente. Questo implica che non ci si può limitare a dare raccomandazioni e linee guida, come ad esempio fa la Commissione riguardo la registrazione dei documenti, è doveroso avere un quadro legislativo chiaro. Qui si cade nella carenza dell’Unione Europea, che in materia di buona amministrazione ha solo due regolamenti, quello per i propri dipendenti e quello finanziario, ma è priva di norme per le procedure legislative, lasciando così troppe zone grigie nella propria azione.
Lei ha intentato due cause, la 540/15 vs. il Parlamento e la 163/15 vs. il Consiglio dell’Unione, è divertente che il Parlamento abbia espresso il suo plauso per la sentenza 163, dopo essere stato precedentemente condannato nella 540, oltretutto richiamata più volte dalla CGUE nella 163 a sostegno della decisione giudiziale.
In effetti… comunque le zone grigie nella legislazione europea sono, a mio avviso, tre. La prima è quella dei i 150 gruppi di lavoro del Consiglio, dove vari funzionari ministeriali mettono in chiaro quali sono le “linee rosse” dei rispettivi governi. Purtroppo, però, a partire dal 2013, il Consiglio ha deciso di isolare dal registro di accesso ai documenti quelli discussi nei gruppi ove partecipano i funzionari ministeriali questo comporta l’impossibilità di sapere alcunché di quanto viene dibattuto all’interno dei gruppi di lavoro. Almeno quattro stati membri hanno riconosciuto che questo è sbagliato e deve essere consentito l’accesso a questi documenti. Lei ha ricordato che ho promosso due cause in Corte, ma le devo confessare che ne sto preparando una terza, non perché la cosa mi diverta, ma per fare emergere il senso e lo spirito del Trattato. Questo stabilisce che la legislazione europea debba essere negoziata in modo trasparente e questo indipendentemente dal fatto che i cittadini chiedano accesso o meno a questo o quel documento. L’art. 294 TFUE prevede che in tutte le fasi del negoziato gli atti dovrebbero essere direttamente accessibili e in tutte le lingue. Ora, i documenti dei triloghi legislativi sono accessibili solo in una lingua di lavoro. La trasparenza é quindi ancor più necessaria non solo nell’interesse dei cittadini, ma degli stessi Parlamenti nazionali che, pure avranno difficoltà a seguire documenti che possono essere lunghi centinaia di pagine in una lingua diversa da quella nazionale.
Ho trovato due punti interessanti nelle sue due cause, nella 540/15 era stata chiesta l’irricevibilità del ricorso per mancanza di un interesse diretto e individuale; invece, il Tribunale l’ha respinta motivando che si voleva evitare il ripetersi dei comportamenti in futuro, a mio parere superando i limiti della formula Plaumann.
Infatti, sono rimasto molto contento di queste due sentenze, anche se nella 163/15 mi sarei aspettato che il Giudice riconoscesse, che esiste una contraddizione, tra il principio di protezione del processo decisionale invocato per giustificare la confidenzialità di documenti preparatori legislativi e il principio di trasparenza legislativa contenuto nel Trattato. A mio parere il giudice si è un po’ arrampicato sugli specchi, dichiarando che la necessità di proteggere il processo decisionale con la confidenzialità esiste anche dopo Lisbona in virtu’ della previsione presente nel regolamento 1049/01. Ma questo regolamento era stato negoziato in un’epoca in cui la nozione di attività legislativa non era descritta dal Trattato. Questo, infatti, si limitava a delegare il Consiglio a definire quale trasparenza assicurare quando agiva da “legislatore”. In quella fase il Consiglio aveva considerato legislativo qualunque atto vincolante “in e per gli Stati Membri”; definizione che copriva anche migliaia di atti esecutivi della Commissione, e, perfino misure individuali adottate nel quadro della lotta al terrorismo. Purtroppo, questa definizione é rimasta nel Regolamento 1049/01 e non corrisponde più a quanto previsto dall’articolo 289 del TFUE secondo il quale é legislativo quanto venga adottato attraverso procedura “ordinaria” con il Parlamento (lex Parlamentaria) o Speciale.
Infatti, mi ero segnato proprio che nella causa è specificato che l’oggetto è atti legislativi e non quelli che non rientrano in questa fattispecie.
Esatto, io continuo a presentare domande, e ogni volta chiedo che il documento venga pubblicato in base all’art. 15 paragrafo 2, trasparenza legislativa, e non art. 15 paragrafo 3, accesso ai documenti, perché il beneficiario della pubblicazione non deve essere il singolo cittadino, ma tutti i cittadini devono essere portati a conoscenza di quel documento.
Nel 2017 la Commissione, a partire dalla comunicazione “Diritto dell’UE: risultati migliori attraverso una migliore applicazione”, ha deciso di rinunciare alle comunicazioni informali in caso di contestazione, passando direttamente alla fase di precontenzioso, rendendo quindi pubblico e trasparente tutto il processo. Potrebbe essere un effetto secondario del risultato ottenuto con le sue cause?
Questo sinceramente non sono in grado di affermarlo, ma sono convinto che questa zona grigia nei rapporti tra la Commissione e gli Stati Membri, vada eliminata. Una Direttiva Europea diventa veramente effettiva quando viene recepita negli ordinamenti nazionali, non mi spiego perché in quel momento tutto entra nell’ombra. I cittadini devono sapere come i loro Stati membri, definiscono la portata finale dei loro obblighi o diritti attraverso le misure nazionali di trasposizione.
La risposta del Consiglio alla sua vittoria nella causa è stata alquanto vaga, una serie di mezze promesse impegni; quindi, mi chiedo se gli effetti delle due cause vinte si siano propagati in pratica.
Per quanto riguarda il Parlamento Europeo ha funzionato, da dicembre scorso i documenti dei triloghi, con i mesi necessari alle verifiche e adempimenti tecnici, vengono pubblicati. E’ invece criticabile che il Consiglio (che pure ha finalmente cominciato a pubblicare i mandati a negoziare prima dei triloghi), non pubblichi i documenti dei gruppi di lavoro, e li invii solo al richiedente. Ci sono state quindi Direttive particolarmente importanti in campo digitale, i cui lavori preparatori sono stati rivelati solo quanti abbiano fatto richiesta e non anche al resto dei cittadini che pure non devono essere discriminati quando sia in gioco la trasparenza legislativa. Forse occorrono degli adeguamenti al sistema informatico del Consiglio ma se la situazione di protrae credo si dovrà invocare un ennesimo intervento della Corte
A questo punto potrebbe inoltrare un ulteriore ricorso per inadempimento avverso il Consiglio.
Perché no? Detto questo so, per esperienza, quando ho lavorato sul sistema informatico del Parlamento, che mettere assieme un informatico e un giurista, è un modo sicuro per bloccare qualunque cosa.
Una causa, come nel suo caso, ha un decorso temporale compreso tra i tre e i cinque anni, non è una tempistica eccessiva?
Sono assolutamente d’accordo, ma, nonostante tutto penso che sia comprensibile. Consideriamo che l’Unione Europea è un organismo internazionale, già il fatto che è possibile per un cittadino accedere direttamente a un giudice è positivo. Se i tempi sono nell’ordine di 3-4 anni è ancora accettabile, pensi al dramma della Corte di Strasburgo dove si passano tranquillamente i 10 anni. Aggiungo che in questo caso si parla di cause che toccano delle persone individualmente, mentre quelle dell’Unione Europea toccano il diritto unionale; quindi, parliamo di 450 milioni di persone.
Per chiudere vorrei una sua considerazione sul futuro dell’Unione Europea e quali percorsi sarebbe bene seguire per migliorarla sempre di più.
In linea molto generale, ma coerente con quanto detto finora, l’Unione Europea è fondamentale, ma è necessario stabilire un nesso sempre più stretto con i suoi cittadini. Fino a poco tempo il sentimento generale degli europei riguardo l’Unione era che si tratta di una cosa buona, ma con scarsa contezza di cosa si tratta in effetti. Le crisi degli ultimi 10-15 anni hanno fatto comprendere come sia importante l’UE, è bene che i cittadini si approprino della dinamica europea, tramite le ONG, i partiti, i sindacati che finora sono stati, forse, poco incisivi. I Cittadini devono diventare il punto di partenza e di arrivo del processo politico. Pensiamo alla Convenzione di Aarhus, ove prevede che il cittadino sia informato dell’impatto previsto per un progetto futuro, deve poter intervenire durante la sua attuazione e possa, in definitiva invocare l’intervento del giudice in caso di violazione della legge. E’ un precedente importante e non sarebbe male che venisse applicato anche in altri settori dell’attività dell’Unione Europea. Purtroppo, siamo ancora molto lontani da questo stato di fatto. L’ultimo Eurobarometro rileva che il 56% ritiene importante andare a votare nelle prossime elezioni europee del 2024, ma la brutta notizia è che il 45% non sa nemmeno che si andrà a votare l’anno prossimo. C’è ancora molto da fare, ma ci sono tante ragioni per i cittadini di organizzarsi e darsi da fare, perché le decisioni si stanno sempre di più spostando a Bruxelles.
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Un Commento
Complimenti!!! Molto interessante!!