I paradossi della Legge di Jante
Jante è il nome di una città immaginaria, creata dallo scrittore Aksel Sandemose nella quale è ambientato il suo romanzo del 1933 intitolato “Un uomo di Jante” Questa “legge” descrive un insieme di norme sociali che enfatizzano l’uguaglianza e scoraggiano l’individualismo e la realizzazione personale. È, in sintesi, un modello comportamentale che è considerato presente nella cultura nordica dei piccoli agglomerati e che si ritiene sussista anche oggi, ed ha un atteggiamento negativo nei confronti del cosiddetto self made man tipico del mondo occidentale in cui, viceversa, è posto l’accento sulla competitività e sul successo. C’è anche una buona dose di invidia al suo interno.
Le regole di Jante possono variare leggermente a seconda delle interpretazioni, ma di solito riflettono i seguenti principi: Non credere di essere speciale o superiore agli altri. Non credere di essere migliore di chiunque altro. Non credere di sapere più degli altri. Non credere di avere il diritto di insegnare agli altri. Non credere di poter criticare gli altri. Non credere di essere qualcosa di speciale. Non fidarti di te stesso o della tua intuizione. Non ridere degli altri o prenderli in giro. Non credere che qualcuno si preoccupi di te. Non credere di poter fuggire dal gruppo.
Leggendole attentamente sembra di leggere un decalogo delle norme di comportamento da tenere in Internet, in particolare di un gruppo social, all’interno del quale è necessario che tutti si mantengano allo stesso livello e che, come nella sua applicazione originale, deve essere rivolto verso il basso.
In sostanza, la Legge di Jante promuove l’idea di modestia, di conformità al gruppo e umiltà individuale. Sottolinea l’importanza dell’uguaglianza sociale e scoraggia l’eccessiva competizione, l’ambizione individuale e l’esibizione di successo o di superiorità.
Sembra un quadro che, addirittura si adatta perfettamente a schemi di egalitarismo sociale come quello che il regime di Kim Jong-un in Corea del Nord. Rileggendo con più attenzione i dettati di questo sistema, sembra infatti di potervi scorgere addirittura richiami a schemi comportamentali imposti da regimi dittatoriali ma anche da gruppi o correnti di pensiero che, applicandoli, vogliono imporre ad altri il loro credo e le loro convinzioni demolendo quelle altrui.
Non sono forse questi gli schemi comportamentali adottati da chi ritiene le proprie opinioni quelle ammantate dal dono del Politically Correct e, pertanto, non suscettibili di critiche o diverse applicazioni? Opinioni che non tollerano il dissenso che, specialmente sulla rete, viene sommerso da vere e proprie shitstorm di denigrazione spesso addirittura violente.
Esiste un equivalente nei paesi anglosassoni: la Tall poppy syndrome (“sindrome del papavero alto”) che indica la tendenza a criticare o isolare coloro che eccellono per meriti quando questi creano imbarazzo in quanto anomalie rispetto ad una società livellata sulla mediocrità.
Ma l’origine sembra sia ancora più remota e si ritroverebbe in Tito Livio nel libro Ab urbe condita, sulla storia di Roma. Nel primo libro di Ab urbe condita, Tarquinio Sestio, figlio di Tarquinio il Superbo, ultimo re di Roma, con un inganno riesce ad infiltrarsi nella città si Gabii. Ottenuta la fiducia dei cittadini manda un messaggero al padre per chiedergli cosa debba fare e il Superbo, passeggiando nel giardino con un bastone in mano spezza tutti i papaveri più alti che svettano al di sopra del livello medio degli altri. Il messaggero di ritorno a Gabii racconta l’episodio al figlio che capisce la metafora del padre ed ammazza tutti i cittadini eminenti.
Probabilmente quando venne enunciata, e calata nel contesto sociale e culturale, nonché economico, dei paesi scandinavi di cento anni fa, questa Legge aveva un senso, anche se, ricordiamo, proprio in quei paesi veniva registrato un alto tasso di suicidi specialmente giovanili. Oggi sembra che qualcuno cerchi di applicarla per mettere a tacere voci discordanti dalla sua e il successo altrui.
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