Camera di Consiglio
POSSIBILE L’ASSEGNAZIONE PARZIALE DELLA CASA FAMILIARE – Il caso in esame trae origine da un procedimento di cessazione degli effetti civili del matrimonio, a seguito di separazione consensuale, che prevedeva l’assegnazione della casa familiare alla madre ed il versamento di un contributo al mantenimento da parte del padre alla prole.
In particolare, in sede di separazione, i coniugi avevano concordato che la casa familiare venisse divisa in due unità e che il padre potesse continuare ad abitare nell’unità costituita dal seminterrato, previa la realizzazione di due ingressi indipendenti.
Quest’ultimo lamentava che il Tribunale, errando, avesse assegnato all’ex moglie la casa coniugale per intero. La Corte d’appello adita accoglieva tale doglianza, rilevando che la divisione della casa coniugale era stata concordata nei patti di separazione consensuale. Veniva, così, riformata la sentenza di primo grado parzialmente, con la precisazione la casa familiare assegnata alla madre doveva intendersi quale piano superiore dell’edificio.
L’ex moglie ricorreva per Cassazione, deducendo che la Corte d’Appello non avrebbe valutato correttamente il vincolo pertinenziale esistente tra l’abitazione familiare e i locali del seminterrato, privo del certificato di abitabilità: alla luce di ciò, il seminterrato costituirebbe una pertinenza dell’immobile sito al primo piano. Ne derivava che, a suo dire, le pertinenze del primo piano avrebbero dovuto essere assegnate alla medesima, per la presunzione ex lege prevista. Pertanto, costituendo il seminterrato una pertinenza dell’immobile posto al primo piano, anche tale pertinenza avrebbe dovuto esserle assegnata.
La Suprema Corte non riteneva il motivo fondato. Invero, la Corte d’Appello aveva accertato che, in sede di separazione, era stato concordemente stabilito che la casa coniugale, divisa in due unità con ingresso separato, fosse abitata al primo piano dalla madre e al piano terreno dal padre, ritenendo non sussistenti i presupposti per modificare tali accordi, non risultando cambiamenti a livello abitativo. Trattandosi, dunque, di una concordata assegnazione della casa destinata ad essere dimora della madre e dei figli, individuata, di comune accordo, solo in una porzione dell’immobile già nella disponibilità dei coniugi, e rilevato che l’assegnazione della casa familiare viene deciso tenendo conto del principale interesse dei figli minori, ne discende che la casa familiare è un “luogo” identificato non tenendo conto della sua classificazione catastale o dalla sua commerciabilità, ma “quale ambiente di vita produttivo di benessere e che come tale deve essere utilizzato, nell’interesse del minore”.
Di conseguenza, l’assegnazione è consentita unicamente con riguardo a quell’immobile che abbia effettivamente costituito il centro di aggregazione della famiglia durante la convivenza, se ciò garantisce in concreto l’attuazione del “best interest of the child”; attenendosi a questo parametro, dunque, il Giudice può limitare l’assegnazione della casa familiare anche ad una porzione dell’immobile.
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