Acqua alla Cappella degli Scrovegni

Padova – È periodo di dibattito per la Cripta della Cappella degli Scrovegni. I continui allagamenti preoccupano l’opinione pubblica, il Nobel Dario Fo e il professor Salvatore Settis, storico dell’arte, mentre Ugo Soragni, Presidente della Commissione interdisciplinare e scientifica per la conservazione e gestione della Cappella degli Scrovegni, rifiuta l’idea di interventi straordinari alla struttura, da sempre delicata dal punto di vista idreogeologico.

La Cappella, affrescata da Giotto tra il 1303 e il 1305 su commissione del ricco banchiere Enrico Scrovegni con il desiderio di redimersi e acquisita dal Comune nel 1880, non correrebbe nuovi rischi. Sulla volta stellata della Cripta poggia il pavimento della Cripta (a cui si accede attraverso una scala in pietra dalla parete Nord), fatta eccezione per l’abside che sorge direttamente sul terreno. L’attività di monitoraggio, tra rilevazione e l’elaborazione costanti, ritiene che la situazione sia sotto controllo. Non è una novità che l’acqua ricopra la pavimentazione della Cripta; il recente video rende pubblica una situazione stabilizzata da secoli in un’area non visitabile per il pubblico consueto.

Fo difende energicamente la propria opinione, coinvolgendo il collega Settis e chiedendo al Sindaco Ivo Rossi che si faccia luce sulla questione. La salvaguardia del sito è di vitale importanza ed è bene che figure del settore culturale la rivendichino, senza tuttavia approfittare della propria influenza e farne un’operazione mediatica. Il rischio che si corre è quello che voci autorevoli si scaglino contro chi è di competenza per partito preso e nel farlo sottolineino la loro completa estraneità in merito a conflitti d’interesse d’ordine politico, per la serie Excusatio non petita, accusatio manifesta.

Settis era arrivato al punto di consigliare «d’istituire una commissione internazionale alla quale affidare il compito di accertare la verità dei fatti in sostituzione di quella attualmente operante». Soragni aveva reagito replicando «che l’attuale commissione, presieduta dal sottoscritto è composta dai Soprintendenti di settore, dal Direttore dell’Istituto Superiore per il Restauro e la Conservazione, da docenti di ingegneria, tecnica delle costruzioni, idraulica, fisica tecnica e geotecnica degli Atenei di Padova e Venezia, componenti della Commissione Nazionale Grandi Rischi, dal Direttore dei Musei Civici e dai dirigenti dell’amministrazione comunale a vario titolo interessati all’edificio»; un organismo il più possibile indipendente e autoreferenziale.

Come spiega il Caposettore all’Edilizia Pubblica Luigino Gennaro, l’acqua mantiene un equilibrio, anche strutturale, che non potrebbe essere assicurato senza. La cripta è a 8,8 metri sul livello del mare e il livello del Piovego è più alto di 10 centimetri. Secoli fa il livello del Canale non superava quello della Cripta. La Cripta funziona come camera di sfogo e bonificarla, attraverso l’abbassamento della falda acquifera, potrebbe generare conseguenze disastrose: il riassestamento della costruzione potrebbe causare danni alla statica della medesima e cedimenti ai terreni di fondazione durante il riconsolidamento. L’architetto Fernando De Simone sarebbe così in errore nell’affermare da 20 che l’unica soluzione effettiva è quella di «realizzare almeno delle trincee con dei diaframmi che isolino dall’acqua tutta la zona museale».

La situazione di equilibrio è il caso che venga preservata per la tutela dell’impianto architettonico e del preziosissimo apparato decorativo. I vani ipogei presenti sottraggono le pareti sovrastanti dall’umida, che ad ogni modo non intacca nemmeno le pareti della Cripta, grazie anche all’aerazione possibile alla rimozione dei vetri delle finestre della Cripta. Le pompe, per quanto non siano sufficienti al drenaggio, mantengono il livello delle acque entro i limiti; non è il caso di rimuovere o rinforzare i setti murari in mattoni, risalenti alla Seconda Guerra Mondiale a difesa dai bombardamenti, che esercitano da allora un peso. Non sono disponibili dati attendibili sul comportamento strutturale della copertura in acciaio e del cordolo cementizio del 1963.

Inserire la Cappella nell’elenco UNESCO non muterebbe di molto il quadro corrente. Figurare nell’UNESCO attrarrebbe probabilmente solo ulteriori figure, mosse emotivamente dalla vicenda e non dal rigore scientifico e dalla competenza; ben venga l’effetto contrario con l’intervento di studi autorevoli a rimpolpare le conoscenze per ora limitate e che impediscono vere e proprie migliorie.

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