Fake news e disinformazione
La disinformazione trova forse origine nella notte dei tempi; basti pensare al Cavallo di Troia. E scusate se è poco! Probabilmente l’apice è stato raggiunto da Goebbels durante il Nazismo e da Stalin nell’URSS, quando le fake news di regime erano una colonna portante del sistema. Oggi, al di là delle teorie complottiste, viene in mente la Corea del Nord.
Oggi, a causa delle modalità e velocità di diffusione delle notizie, dovuta a internet e, in particolare, ai social, dobbiamo affrontare un problema di fondo, vale a dire che, oggi, ogni navigatore della Rete è un potenziale diffusore di notizie false, bufale e disinformazione. E se andiamo a vedere con un minimo di attenzione critica le pagine dei social, è difficile smentire questa affermazione.
In altre parole, l’intera società, nelle sue fasce e culture, è coinvolta nei processi comunicativi e ciò complica qualsiasi tentativo di controllare la manipolazione delle informazioni. Se prima comunicavano solo i professionisti del settore, oggi chiunque ha in mano uno smartphone, può comunicare tutto. E senza controllo.
Quando il giornalismo ha dimostrato le sue possibilità di influenzare i processi di formazione dell’opinione pubblica, molte persone hanno sollevato preoccupazioni sull’uso che i media potevano fare di questo “potere”. Per questa ragione, data l’impossibilità reale di regolare o limitare la libertà di espressione, alcune università hanno iniziato a offrire corsi per promuovere la professionalizzazione dei giornalisti, che includevano conoscenze legali e standard etici. Ma la nuova realtà comunicativa ha creato uno scenario caotico, a causa dell’alto volume di notizie false e non confermate che si diffondono. Le persone, senza conoscenza del fenomeno della comunicazione – soprattutto per quanto riguarda la responsabilità etica – condividono messaggi senza preoccuparsi se siano veri o no, o se possano influire sulla conoscenza, sulla moralità o sulla reputazione di qualcuno.
Un nuovo scenario che desta allarme anche nelle istituzioni e fa interrogare in ordine alla necessità di stabilire regole per moderare l’uso dei social media per aumentare il livello di informazione e consapevolezza. Tuttavia, non è così semplice, perché ciò potrebbe mettere in pericolo i diritti dei cittadini, Basti pensare ai regimi che vietano i social media come forma di censura e controllo.
Il problema di fondo, sono le persone che credono di non avere bisogno di conoscenze particolari per usare Internet e i social ritenendo di avere bisogno delle abilità innate di comunicazione umana per diffondere informazioni attraverso i canali online. Tuttavia, gli utenti non possono limitarsi a questo argomento giustificativo quando il rischio è quello di toccare la stabilità sociale, la salute pubblica, la formazione dei giovani.
Le scienze sociali stanno studiando, da decenni, gli effetti di ogni tipo di comunicazione sulle persone e quelle attuali hanno raggiunto un livello di complessità estremo che rende necessarie profonde riflessioni. Internet è un dono della tecnologia a cui non rinunceremo e i social ne fanno parte come forma di estrinsecazione della libertà di espressione, parola, pensiero ma, allo stesso tempo, stanno generando un ambiente informativo inquinato. Una questione che non può essere tralasciata e deve entrare nelle agende dei governi.
Ogni cittadino, per definirsi consapevole, dovrebbe avere una preparazione precoce sulla complessità e sui potenziali pericoli della comunicazione per poter gestire i messaggi in modo oculato; nel riceverli e diffonderli. I percorsi scolastici non potranno prescindere da corsi di informatica, ma anche di educazione digitale sull’uso responsabile della Rete e dei social media.
È, naturalmente, una prospettiva a lungo termine. Ma non c’è altra via per correggere il comportamento informativo e informatico senza violare i diritti costituzionali. Come è accaduto per i giornalisti, la formazione del cittadino all’informazione diventa una priorità dell’era digitale. Un modello da seguire?
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