USA, un Congresso acefalo

Negli ultimi giorni il Congresso americano è stato scosso da contrasti con conseguenze senza precedenti, tanto che nel breve è difficile, non solo immaginare una collaborazione istituzionale tra il partito Democratici e quello Repubblicano, ma anche all’interno di quest’ultimo che detiene al momento della maggioranza.

Gli shutdown o la loro minaccia sono diventati abituali da una decina d’anni; gli Americani e il mondo sono pronti a convivere con queste pause nell’azione amministrativa degli Stati Uniti, con ciò che ne deriva anche negli equilibri finanziari mondiali.

Ma la novità è venuta dalla decisione inattesa del Partito di maggioranza di revocare la fiducia al Presidente della House of Speakers, McCarthy, che nove mesi fa era stato eletto dopo una snervante trattativa all’interno del suo stesso partito. È stata proprio una modifica regolamentare approvata in quel frangente che ha permesso a un solo parlamentare repubblicano di sottoporre una mozione di sfiducia che, votata da 8 colleghi di partito e da tutti i Democratici, ha gettato la politica washingtoniana nel caos.

Ora un Congresso acefalo deve entro il 17 novembre confermare o emendare la “finanziaria” appena approvata con la mediazione di McCarthy, ma prima ancora deve eleggere il suo nuovo Speaker. Si aprono così due terreni di scontro in cui la lotta sarà probabilmente radicale, soprattutto all’interno dello schieramento repubblicano che, nell’era Trump, paga l’alto costo legato alla ricerca della sua natura (isolazionista? protezionista? antiabortista?).

D’altro canto, più compatto appare il Partito Democratico che, seppur avrebbe potuto contare su qualche dissenziente pronto a sostenere il traballante McCarthy, lo ha affondato con una strategia che può solo mirare a gettare nello scompiglio il campo avversario così da incassare il dividendo politico che ne conseguirebbe. L’antico detto “muoia Sansone con tutti i Filistei” probabilmente a Washington non lo hanno tenuto presente.

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