Calcio, questione di poesia più che di numeri

Combi, Rosetta, Calligaris. Olivieri, Foni, Rava. Tutto cominciò con i primi due mondiali vinti in pieno Ventennio dalla nazionale allenata da Vittorio Pozzo. Forse è da allora che leggere la formazione della squadra del cuore è come recitare una poesia e, probabilmente, per qualcuno ricordare quei nomi anni dopo era un piccolo brivido che riportava a tempi andati. Magari dell’infanzia o della gioventù quando i nomi dei calciatori erano attribuiti ai tappi delle bottiglie con cui si inventavano formazioni più o meno improbabili e, per i più fortunati, ai calciatori con pose plastiche di giochi come il Subbuteo.

Poi fu la volta delle squadre di club. Per gli interisti sovviene la triade Vieri, Bellugi, Facchetti del mago Herrera. I milanisti ricorderanno il muro della squadra di Sacchi formato da Galli, Tassotti e Maldini a cui si aggiungevano Costacurta e Baresi. Molte squadre possono ricordare anche la linea degli attaccanti; a Napoli resta celeberrimo il trio Maradona, Giordano e Careca anche se non avevano i numeri di maglia in successione.

Si iniziava dal portiere per poi proseguire la filastrocca. Era impensabile di vedere un portiere che non indossasse il numero uno. Il 2 era di diritto del terzino destro ed il 3 di quello sinistro. Il 10 era proprietà esclusiva del fantasista o comunque di un leader in campo e le due ali, rispettivamente a destra e sinistra, non potevano prescindere dal 7 e dall’undici.

Quando, per un breve periodo, Rivera indossò al Milan il numero 7 qualcuno pensò che il mondo si capovolgesse. Immaginiamoci cosa sarebbe accaduto a Cagliari se Riva (anzi, Giggirriva!) fosse sceso in campo con un numero diverso dal suo 11. Ma non è stato sempre così.

Agli albori i calciatori erano individuati solo per il ruolo e la posizione. L’Inghilterra è stato uno dei primi paesi dove i numeri fissi sulle maglie vennero utilizzati. Nel 1928, l’Arsenal fu tra i primi a utilizzare numeri fissi in una partita amichevole contro il Chelsea. Anche in Argentina i numeri fissi furono introdotti prima che in Italia. L’Associazione del Calcio Argentino (AFA) adottò i numeri fissi sulle maglie dei calciatori nel 1926. L’Uruguay è stato uno dei pionieri nel calcio e ha iniziato a utilizzare numeri fissi sulle maglie già negli anni ’20 così come la Svezia.

In Italia furono l’Associazione Calcio Fascista (ACF) fu tra le prime a imporre i numeri fissi sulle maglie dei calciatori nel 1928. Le altre federazioni li introdussero solo in seguito. In Inghilterra la Football League lo fece nel 1939, ma l’adozione fu interrotta a causa dello scoppio della Seconda Guerra Mondiale e la pratica fu reintrodotta nel 1947. In Spagna, i numeri fissi furono resi obbligatori nel 1949 e in Francia nel 1950, in coincidenza con la Coppa del Mondo FIFA di quell’anno.

Il primo campionato del mondo in cui vennero usati i numeri fissi fu quello del 1954 in Svizzera e l’Italia utilizzò una numerazione che individuava i titolari e chi le riserve (anche se il termine è improprio, non erano ammesse le sostituzioni).

Divenne più semplice ricordare le formazioni nel loro susseguirsi di idoli che si legavano indissolubilmente ad un numero che diventava una bandiera sulla pelle. Bologna ricorda ancora l’8 di Bulgarelli e a Roma Bruno Conti resterà per sempre il 7 e Falcao al 5, numero che era di solito assegnato allo stopper.

I mondiali divennero una strana occasione in cui si potevano vedere giocatori con numeri non ortodossi rispetto alla sequenza dall’uno all’undici. Per l’Italia, ricordiamo i mondiali dell’82 in Spagna con il compianto Scirea numero otto ed il venti di Paolo Rossi. Ma forse nell’immaginifico collettivo resta il ricordo di Gianni Rivera che segna il gol del 4 -3 di Italia Germania con il 17. Cruyff fu il primo ad avere un numero fuori dalla sequenza e l’Ajax ha ritirato il 14; Pelè è e rimane per sempre l’immagine del 10.

Poi, grazie anche alle necessità di merchandising, tutto è cambiato e da oltre venti anni i numeri sono solo un’opinione e una scelta dovuta anche all’immagine come il 7 di Cristiano Ronaldo. Forse è più scenografico, ma di sicuro c’è qualcosa di meno magico del ricordare Zoff, Gentile, Cabrini o Domenghini, Nenè, Gori, Greatti, Riva oppure Chinaglia, Frustalupi e D’Amico.

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