Cronache britanniche

Londra – A meno di otto mesi dal referendum l’opinione pubblica scozzese è ancora altamente divisa sulla questione dell’indipendenza. Un ultimo sondaggio di ICM vede ancora i contrari prevalere di poco, mentre la percentuale dei favorevoli è salita al 47%. Blair Jenkins, leader dei Yes Scotland, afferma che un distacco così ridotto a otto mesi dal voto è un risultato eccellente e conferma il momento di generale supporto per una Scozia indipendente.

Sondaggi a parte le questioni sul tavolo rimangono varie e complicatissime, difficili da sintetizzare in uno spazio ridotto. Certamente una delle “materie di studio” è quella dell’educazione. Infatti, come ricordato recentemente dal ministro dell’educazione David Willetts, oltre 20.000 studenti britannici avrebbero accesso a un’educazione universitaria gratuita in Scozia in caso d’indipendenza. I dati suggeriscono che solo l’1.5% di studenti domiciliati nel resto del Regno Unito studia attualmente in Scozia, ma la percentuale potrebbe salire vertiginosamente fino a raggiungere l’80% del totale dei posti a disposizione. La spiegazione è semplice: si attuerebbe il fenomeno dei “fee refugees”, ovvero di coloro costretti a pagare 9.000 sterline all’anno per frequentare le università britanniche. Lo stesso Sir Christopher Snowden, presidente di Universities UK, ammette che un tal elevato livello di tasse universitarie non è “francamente sostenibile” nel lungo termine e sta causando danni all’intero sistema universitario.

Un’altra questione scottante è sicuramente quella del risvolto fiscale e finanziario per una Scozia indipendente. Tra i politici e business leader a esprimersi ultimamente in ordine di tempo, ci sono stati Vince Cable, ministro dello sviluppo economico, e Bob Dudley, amministratore delegato di BP. Il primo, ha suggerito che il quartier generale di RBS (Royal Bank of Scotland) sarebbe trasferito definitivamente a Londra dove già lavora gran parte del top management, perché la banca preferirebbe domiciliarsi dove è protetta dal rischio di collasso. Il secondo, invece, ha sollevato la questione monetaria e fiscale, sottolineando i rischi legati agli extra costi a causa del nuovo regime tributario, e aggiungendo che l’indipendenza genererebbe inoltre una situazione di “profonda incertezza” per gli investimenti dovuta alla scelta della valuta da adottare in caso di rifiuto da parte di Westminster di condividere la sterlina. Un avviso inoltrato dallo stesso Mark Carney, governatore della Banca d’Inghilterra, il quale ha suggerito che il piano di Alex Salmond di mantenere la sterlina priverebbe una Scozia indipendente di poteri fondamentali. Forse al CEO di BP, non sono servite le rassicurazioni del PM scozzese, che ha affermato che una Scozia indipendente gestirebbe le proprie risorse di petrolio e gas meglio di Westminster, promettendo addirittura la creazione di un fondo sul modello norvegese.

Insomma i dubbi rimangono e rimarranno probabilmente fino alla fine, e anche se l’ago della bilancia sembra tendere leggermente a favore del No per questione economiche dove Londra è riuscita a far valere la “voce grossa”, la situazione si rovescia completamente vista da una prospettiva ideologica e da quella dei servizi pubblici, quali istruzione e sanità.

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