Pinocchio (Film, 2023)
Diciamo la verità, di un Pinocchio targato Netflix non se ne sentiva proprio la necessità, anzi, dopo il capolavoro di Luigi Comencini (criticato a sproposito dagli intellettuali del tempo) non si sentiva il bisogno di altre opere dedicate a Pinocchio. I nordamericani ci avevano già deliziati con il cartone animato dove si scambiano mostri marini (il pescecane di Collodi) per balene e ci bastava. Benigni aveva provato a calarsi nei panni del burattino con risultati appena sufficienti, poi in quelli di Geppetto nel pessimo lavoro targato Garrone. Adesso arriva Guillermo Del Toro ed è un massacro.
Il libro più bello che mai sia stato scritto viene distrutto capitolo dopo capitolo, al punto che la citazione di Carlo Lorenzini (in arte Collodi) nei titoli di coda stona non poco. Il Pinocchio di Del Toro mette in scena un Geppetto artista di crocifissi lignei con un figlio di nome Carlo, morto sotto le bombe della guerra mondiale, che si costruisce un burattino da un tronco d’albero animato da interventi soprannaturali. Pinocchio parla e si muove, combina disastri, non ascolta il grillo parlante (che è un romanziere di successo) e invece della Fata turchina ha una specie di mostro giapponese al femminile come nume tutelare. Non basta. Il gatto e la volpe vengono soppressi, anzi sostituiti da un cattivo molto americano come il Conte La Volpe – una sorta di turpe Mangiafuoco (pure lui non pervenuto) – che ha come sodale una scimmia (buona) e che impiega nel suo teatro il burattino senza fili Pinocchio, dopo avergli fatto firmare un contratto capestro.
Niente si salva della fiaba più letta nel mondo, pure la storia del ritrovamento di Geppetto nel corpo del pescecane è rivista e aggiornata al volere dello spettacolo. Ambientazione in un’Italia fascista a dir poco ridicola, in un mondo assurdo dove si mangia pop-corn (in Italia sono arrivati con gli americani!), Mussolini è un tappetto arrogante che manda in guerra i bambini e il paese dei balocchi è un campo addestramento reclute. Ultime perle: Pinocchio muore per ben tre volte e risorge per volere soprannaturale, poi diventa un bambino, muore di nuovo, ed è il grillo parlante che con un desiderio di riserva lo fa tornare in vita.
Cosa si salva in questa stop-motion di Del Toro? Davvero poco. La qualità delle animazioni e la fotografia, il montaggio rapido, le sequenze spettacolari. Tutto questo non basta a salvare il massacro di una storia, basata su una sceneggiatura che grida vendetta a ogni sequenza. La morale di Del Toro non ha niente a che vedere con quella di Collodi, lui ci tiene a dire che a volte i genitori dicono ai figli cose che non pensano e che l’amore filiale è importante, viene sempre a galla, nonostante i dissidi del passato. La sola cosa giusta di un lavoro dimenticabile è il titolo originale: Guillermo Del Toro’s Pinocchio. Una cosa è certa, è proprio tutto suo, in questa storia Carlo Lorenzini non c’entra proprio niente. Se da bambini avete amato Pinocchio, questo film vi farà imbestialire. Liberi di vederlo; in fondo, pure io l’ho fatto.
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Regia: Guillermo Del Toro, Mark Gustafson. Soggetto: Carlo Lorenzini (Collodi) (sic!). Sceneggiatura: Guillermo Del Toro, Patrick McHale. Fotografia: Frank Passingham. Montaggio: Ken Schretzmann. Musiche: Alexandre Desplat. Produzione e Distribuzione (Italia): Netflix. Paesi di Origine: USA – Messico, 2022. Genere: Animazione, Fantastico. Durata: 121’. Titolo Originale: Guillermo del Toro’s Pinocchio.
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[NdR – L’autore dell’articolo ha un suo blog “La Cineteca di Caino”]