Cronache dai Palazzi
Vertice di maggioranza a Palazzo Chigi sulle questioni internazionali e sull’immigrazione e, molto probabilmente, un punto anche sulle Regionali nonostante la casistica complessa, in particolare sul caso Sardegna che sembra spaccare la maggioranza. Il 25 febbraio si terranno le Regionali in Sardegna e il clima è piuttosto caldo in quanto il centrodestra sembra diviso sulla scelta del candidato. La Lega vorrebbe confermare il governatore uscente, Christian Solinas, del Partito Sardo d’Azione mentre Fratelli d’Italia punta su Paolo Truzzu, sindaco di Cagliari dal 2019, che al momento sembra il favorito all’interno della competizione elettorale. Un’eventuale spaccatura tra i due partiti di maggioranza potrebbe riversarsi anche su altre Regioni o città, generando degli effetti conseguenziali. La Lega non vorrebbe rinunciare all’isola. La minaccia velata sembra essere questa: “Se in Sardegna Solinas non va più bene per motivi sconosciuti, bisognerà rivalutare i candidati presidenti” anche nelle altre Regioni. Il partito di Giorgia Meloni ribadisce a sua volta che il candidato di FdI è Truzzu. Schlein e Conte hanno invece raggiunto un accordo sul nome di Alessandra Todde, sottosegretaria nel governo Conte e viceministra nel governo Draghi. Per quanto riguarda le altre Regioni – e quindi le elezioni regionali dopo il 25 febbraio – si guarda anche ai forzisti, come in Basilicata dove Forza Italia non sembra disposta a cedere ma non cede nemmeno FdI non accettando, tra l’altro, l’invito a “consolarsi” con l’eventuale conquista delle “rosse” Emilia-Romagna, Toscana e Campania nel 2025. Per la premier non se ne parla in quanto la partita da giocare è ora, nel 2024. A cascata il risiko interesserebbe anche altre Regioni oltre alla Basilicata: Sicilia, Calabria, Molise, Piemonte, travolte dall’exit strategy.
Altra questione delicata è in Veneto (nel 2025, con Zaia al terzo mandato); Tajani da Forza Italia ha ricordato: “Nelle più grandi democrazie come negli Usa c’è un limite ai mandati”. La proposta leghista prevede per l’appunto che la legge si applichi ai “mandati successivi alle elezioni effettuate dopo la data di entrata in vigore delle leggi regionali di attuazione”. In pratica qualunque presidente già eletto potrebbe arrivare al terzo mandato. Riepilogando le tappe delle Regionali nel 2024 la prima è in Sardegna il 25 febbraio, segue l’Abruzzo il 10 marzo, Piemonte e Basilicata tra aprile e giugno e in Umbria nel mese di ottobre. In definitiva, la vera questione sembra essere il primato nella Destra non le Regionali e in gioco c’è il riallineamento dei rapporti di forza all’interno della maggioranza; per cui se Salvini e Tajani rivendicano la continuità delle nomine e le posizioni esistenti, Giorgia Meloni sembra invece voler puntualizzare il cambio di rotta sancito dalle Politiche del 2022.
Sul fronte delle Europee di giugno (2024) le candidature non hanno ancora un volto: Meloni potrebbe correre mentre Salvini ha espresso chiaramente un ‘no’. Antonio Tajani non ha sciolto la riserva. FdI punterebbe comunque a superare la soglia del 30 per cento, magari regolando un rapporto con gli alleati e mirando a consolidare le posizioni conquistate da quando si è arrivati a Palazzo Chigi. Per Forza Italia, invece, sarà il primo test elettorale per verificare la tenuta post Berlusconi. Salvini a sua volta ha dichiarato: “Sicuramente puntiamo alla doppia cifra: il mio obiettivo è che la Lega prenda un voto in più del M5S”. Un obiettivo a dir poco ambizioso considerando l’ultimo risultato della Lega alle Politiche, 8,8 per cento, e secondo le ultime rilevazioni Ipsos il Carroccio non supererebbe l’8 per cento. Alle ultime Politiche il M5S aveva invece raggiunto il 15,4 per cento ed ora si attesterebbe intorno al 17 per cento. L’avvicinamento della Lega, e quindi la scalata di quasi dieci punti, sembra un obiettivo fin troppo ambizioso. Forza Italia, infine, non dovrebbe scendere al di sotto di una certa soglia che potrebbe essere la soglia del 6%. Per quanto riguarda il fronte di sinistra il partito di Elly Schlein ha definito la cosiddetta “soglia Zingaretti”, ossia il 22,7% del Pd registrato sotto la sua segreteria. In realtà i dem sembrano essere ancorati ad un 19 per cento, anche nei sondaggi. In sostanza un M5S in risalita nei sondaggi mira a superare i dem per poter rivendicare la leadership progressista.
Non sarà infine un cammino facile quello della riforma del premierato e quello della legge sull’Autonomia, quest’ultimo un testo alquanto complesso da fronteggiare non solo per quanto riguarda i rapporti tra maggioranza e opposizione, ma anche per certe posizioni non sempre congruenti all’interno del centrodestra. Martedì in Aula.
In questo frangente l’obiettivo più forte del governo sembra comunque essere l’approvazione della “grande riforma dell’elezione diretta del premier”, come viene definita dalla maggioranza, in prima lettura a Palazzo Madama in un tempo vicino alle Europee tanto da poter generare un effetto traino per il voto. Dopo aver ascoltato il parere dei costituzionalisti, sia di centrodestra sia di centrosinistra, che hanno espresso varie posizioni sui nodi principali della riforma, il primo nodo da sciogliere è l’eventuale ridimensionamento dei poteri del Capo dello Stato o il ruolo del Parlamento. Tutto ciò porterà a possibili modifiche per quanto riguarda i punti fondamentali del disegno di legge del governo, tanto che sarà possibile presentare emendamenti fino al 29 gennaio prima di approdare in Commissione e poi in Aula. “L’unico punto irrinunciabile è l’elezione del premier” ha puntualizzato la ministra per le Riforme Elisabetta Alberti Casellati, autrice del testo, ricalcando le posizioni di Palazzo Chigi e aggiungendo: “C’è un’ampia condivisione tra noi, e dopo la discussione generale, se sarà necessario, la maggioranza presenterà emendamenti unitari”. Molto probabilmente verrà cancellata la previsione, in Costituzione, di un premio di maggioranza per la coalizione o il partito del candidato vincente al 55%. Prima ancora dovrà essere portata a termine la legge elettorale che al momento non ha alcuna forma; alla legge elettorale sarà evidentemente riservato il calcolo dei seggi e delle soglie. Altro nodo da sciogliere il limite dei mandati che dovrebbero essere due e non senza limite, come è attualmente previsto nel testo. Occorre invece ancora definire se sarà possibile un eventuale terzo mandato non consecutivo, a distanza di almeno una legislatura, oppure se ci sarà un divieto. Infine, un punto delicato: la possibilità che, in caso di crisi o impossibilità di governare, al premier eletto subentri un secondo capo dell’esecutivo nominato dal Capo dello Stato e selezionato tra i parlamentari di maggioranza in modo da assicurare la continuità del programma di governo. In origine il testo di Casellati prevedeva invece il simul stabunt simul cadent, in pratica tornare alle urne caduto il premier eletto, per rispetto della volontà popolare. Un tentativo di mediazione. In caso di sfiducia si tornerebbe comunque a votare. La ministra per le riforme e FdI sembrano favorire un premierato netto che, nei fatti, affievolirebbe il potere effettivo di scioglimento delle Camere da parte del Capo dello Stato. Il tema di un eventuale depotenziamento dei poteri del Capo dello Stato è in effetti al centro della questione, se non addirittura il cuore del tentativo di riforma.
Altra questione delicata riguarda il divieto in arrivo sulle intercettazioni, tornato in auge tra l’altro nel giorno in cui l’Unione europea ha lanciato l’allarme contro la depenalizzazione dell’abuso di ufficio, suscitando l’esaltazione dei leghisti per “l’ennesima e grave intromissione”. Mentre la replica del ministro Nordio è stata: “Non cediamo di un pollice”. In Commissione Giustizia a Palazzo Madama viene approvata una norma che obbliga a non trascrivere, nei verbali di intercettazione, il nome degli indagati. La protesta dei 5 Cinquestelle arriva puntuale: “Chi all’inizio può apparire estraneo nel prosieguo può rivelarsi pienamente coinvolto”. Le opposizioni arduamente definiscono la norma “salva Salvini”. Il forzista Gasparri ribadisce: “Basta con le barbarie di sbattere in prima pagina persone che non c’entrano, travolte dalla macchina del fango”. Il ministro vuole andare oltre e, durante il question time, annuncia ad esempio anche provvedimenti sul trojan in grado di trasformare il telefonino in una microspia: “È un vulnus alla nostra privacy e all’articolo 15 della Costituzione”.
Ed ancora l’inviolabilità della “segretezza della corrispondenza e di ogni altra forma di comunicazione” che può essere limitata solo “per atto motivato dell’autorità giudiziaria con le garanzie stabilite”. La cosiddetta “legge bavaglio” per cui i giornalisti non potranno pubblicare per intero o per estratto le intercettazioni contenute nelle ordinanze di custodia cautelare fino alla conclusione delle indagini o all’udienza preliminare. I giornalisti potranno pubblicare solo le intercettazioni il cui contenuto sia “riprodotto dal giudice nella motivazione di un provvedimento o utilizzato nel corso di un dibattimento”, non quelle agli atti di Polizia e PM. Il traffico di influenze, invece, viene “limitato a casi particolarmente gravi” ma la pena minima passa da un anno e sei mesi a quattro anni e sei mesi.
Il ministro preannuncia infine anche una norma per fronteggiare le esternazioni dei giudici: “Hanno raggiunto livelli di intollerabile denigrazione dell’intera magistratura”. Nordio non manca inoltre di difendere il proprio ddl anche a proposito delle critiche arrivate da Bruxelles, ed afferma: “L’Europa non ci chiede la reintroduzione dell’abuso d’ufficio, ma di combattere la corruzione in tutte le sue manifestazioni, e abbiamo un arsenale normativo e repressivo all’avanguardia per le fattispecie e per gravità delle pene”. Bruxelles osserva che la riforma “prevede modifiche alle disposizioni sui reati contro le pubbliche amministrazioni” che “depenalizzerebbero importanti forme di corruzione e potrebbero incidere sull’efficacia dell’individuazione” di vari episodi, come ha sottolineato un portavoce Ue ribadendo la direttiva che mira ad estendere a tutti il reato di abuso d’ufficio (è in 25 Paesi su 27). Via libera in Commissione anche al divieto di impugnazione delle assoluzioni in primo grado, per reati non gravi. Ed ancora l’obbligo, prima dell’arresto cautelare, di ascoltare l’indagato, se si ritiene che non ci sia pericolo di fuga, di reiterazione e di inquinamento delle prove. A proposito di arresto, inoltre, un collegio dovrebbe supportare le decisioni del Gup. L’asse Lega-FI, infine, sostenuto da Bongiorno e Zanettin, mira ad introdurre nei decreti attuativi la misura sui “test attitudinali per i magistrati”.
Sulla riforma si pronuncia anche l’Associazione nazionale magistrati (Anm) enunciando in pratica una bocciatura: “Come può il diritto penale restare indifferente a un pubblico funzionario che abusa dei suoi poteri, che prevarica i diritti dei cittadini, che assume comportamenti di angheria nei confronti dei diritti dei privati? Questo è inaccettabile”, ammonisce il presidente Santalucia.
Secondo l’agenda di Palazzo Chigi dei prossimi giorni la premier Giorgia Meloni potrebbe essere ricevuta all’Eliseo prima della fine di gennaio. Entro il primo mese dell’anno dovrebbe raggiungere anche il presidente Erdogan in Turchia, per affrontare tra le altre cose la questione in Medio Oriente. Nella prima settimana di febbraio si prevede un incontro bilaterale con il presidente giapponese, Fumio Kishida, dal quale eredita la presidenza del G7. L’unica data certa è quella del primo febbraio quando la premier sarà a Bruxelles per un Consiglio europeo straordinario, nel corso del quale occorrerà raggiungere un compromesso per quanto riguarda il nuovo bilancio europeo e le risorse finanziarie da destinare all’Ucraina.
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