Cronache dai Palazzi
La riforma del premierato è tornata in Parlamento. Dopo lunghi tira e molla sono stati formulati gli emendamenti della maggioranza al testo di riforma costituzionale sull’elezione diretta del premier. È stata definita una bozza di accordo ma occorre ancora attendere il via libera dei leader. Inoltre, restano comunque dei nodi da sciogliere.
Il nodo più delicato riguarda l’eventualità che al premier eletto possa succedere un altro premier eletto dal Capo dello Stato tra i parlamentari eletti dalla coalizione vincente, nel caso in cui subentrino degli impedimenti determinanti (morte, impossibilità di governare, o anche le dimissioni). FdI, come anche Forza Italia, avrebbe preferito applicare il principio simul stabunt, simul cadent, tornando automaticamente alle urne, evitando che al “secondo premier” non eletto siano conferiti più poteri che al premier eletto in precedenza dai cittadini.
Su pressione della Lega si è giunti ad una mediazione: il premier eletto potrà essere sfiduciato dalla maggioranza, ma solo in virtù di una mozione ad hoc che sia motivata. Eventualmente sfiduciato da una mozione ad hoc, il premier potrà prendersi una settimana di riflessione – come sarà previsto dalla Carta Costituzionale – e chiedere al Capo dello Stato lo scioglimento delle Camere. Il premier sfiduciato potrà però anche dimettersi e in tal caso potrebbe subentrare il “secondo” premier che dovrebbe essere scelto all’interno del perimetro della maggioranza. “Non basta che venga bocciata una legge per sfiduciare il premier, serve una scelta della maggioranza”, ha affermato il ministro Calderoli.
“Se vogliamo un governo che funzioni, che rimanga in carica e sia efficiente, bisogna dare potere al premier, fermo restando che il Presidente della Repubblica non perde i suoi poteri”, ha affermato invece Antonio Tajani. In questo contesto, tra le ipotesi, si discute del potere del premier di revocare i ministri.
Di fatto il potere di scioglimento delle Camere da parte del premier sussisterebbe solo se fosse defenestrato dalla sua maggioranza e non se messo sotto torchio su ogni legge. Un principio che non è stato messo nero su bianco ma deducibile dagli articoli. Si deduce anche che l’eventuale premier non “eletto”, che dovrebbe succedere in caso di impedimento o dimissioni, non avrebbe il potere di scioglimento. Non è comunque ancora chiaro cosa accadrebbe nel caso in cui il secondo premier fosse sfiduciato.
Un’altra novità riguarda il potere del premier di proporre al Capo dello Stato nomina e revoca dei ministri. Sarebbero poi due i possibili mandati per il premier, che diventerebbero tre nel caso in cui nei due precedenti abbia governato per meno di 7 anni e 6 mesi. Con la riforma scomparirebbe inoltre il semestre bianco per il Capo dello Stato, che in caso di sfiducia tramite mozione del premier dovrebbe sciogliere le Camere fino al termine del mandato. Viene infine indicato un premio di maggioranza per il sistema di voto senza però definirlo nei dettagli.
Si discute anche sui poteri del Parlamento che rischierebbe di soccombere al presidente del Consiglio al quale è legata la sopravvivenza della legislatura. La riforma del regolamento della Camera in gestazione, che comprende il contingentamento della discussione per la conversione dei decreti, si inserisce in questo contesto anche se su un altro fronte. Non è invece prevista una riduzione del numero dei decreti ma per quanto riguarda la discussione sul regolamento di Montecitorio si discute della soppressione del “tempo di decantazione”, ossia le 24 ore che devono trascorrere tra la dichiarazione di fiducia e il relativo voto. Per ciò che concerne il premierato, il voto di fiducia potrebbe essere nei confronti del governo e non del premier comunque eletto dai cittadini. Ma in tale situazione il Parlamento assumerebbe un ruolo anche nella formazione dell’esecutivo. Lunedì è il termine per presentare gli emendamenti. In definitiva, si tratta di “dare forma costituzionale alle cose che ci siamo detti nella maggioranza. E poi, di sottoporle ai responsabili dei partiti”, ha affermato Maurizio Gasparri (FI).
In sostanza le opposizioni non condividono un eventuale premier di serie B, come è stato definito il premier che subentrerebbe, eventualmente, al primo premier decaduto. Sotto osservazione, inoltre, il principio dello scioglimento delle Camere e altri poteri ora nelle mani del Presidente della Repubblica. I dem, in primo luogo, si dicono “contrari” all’elezione diretta del presidente del Consiglio e, difendendo i principi di una Repubblica parlamentare, mirano a preservare i poteri del Capo dello Stato, l’essenzialità della sua funzione super partes.
“No a questa riforma” quindi, dichiarandosi disposti anche al referendum, che si potrebbe svolgere nel 2025. “Possono cambiare quello che ritengono per i loro scambi interni, ma con l’elezione diretta del premier avranno dal Pd l’opposizione più ferma e dura che possiamo mettere in campo”, ha dichiarato la segretaria dem Elly Schlein. Aperture solo da parte di Italia viva.
Su un altro fronte, la settimana si è aperta con il vertice Italia-Africa a Palazzo Madama, dove sono stati ospitati venticinque Capi di Stato e di governo africani. Presenti anche i vertici delle istituzioni europee e degli organismi internazionali. In tale occasione la premier Meloni ha presentato il piano Mattei ribadendo “il diritto a non dover essere costretti a emigrare e a recidere le proprie radici in cerca di una vita migliore, che è sempre più difficile da raggiungere in Europa”, e quindi la necessità di mettere in campo le condizioni affinché ciò possa accadere.
In tale prospettiva, la presidente del Consiglio ha annunciato la convocazione di una “Cabina di regia” per “far partire in modo operativo le prime squadre, e per essere concreti immediatamente”. Meloni, inoltre, ha chiarito: “Non ho la pretesa di affrontare il tema da sola”; all’Africa “serve l’Europa”.
Meloni ha comunque sottolineato: “A partire da oggi possiamo fare la differenza”. Il fatto che il vertice Italia-Africa dia il via alla presidenza italiana del G7 rimarca la centralità che il governo italiano attribuisce al continente africano, e il Piano Mattei ne è la prova. Ma un “piano così ambizioso non potrà funzionare senza il coinvolgimento di tutto il sistema-Paese nel suo complesso, a partire dalla cooperazione allo sviluppo e dal settore privato che è fondamentale coinvolgere nella nostra strategia”, ha sottolineato Meloni. Per tale motivo, ha spiegato la premier, “abbiamo intenzione di creare entro l’anno un nuovo strumento finanziario per agevolare insieme a Cassa depositi e prestiti gli investimenti del settore privato nei progetti del Piano Mattei”. A Palazzo Madama erano presenti, per l’appunto, anche i vertici delle più grandi partecipate di Stato: dall’Eni all’Enel, da Snam a Leonardo.
Tra le iniziative concrete messe in campo i 700 accordi di collaborazione con gli Atenei africani. “Con il continente africano abbiamo già creato reti molto solide sotto il profilo accademico, della ricerca e della formazione artistica”, ha spiegato il ministro dell’Università e della Ricerca, Anna Maria Bernini. “Questa è la prima direzione che vogliamo dare alla nostra cooperazione. Questa sinergia è un denotatore di pace e sicurezza, oltre che di sviluppo”, ha sottolineato Bernini.
Il ministro dell’Agricoltura, della Sovranità alimentare e delle Foreste, Francesco Lollobrigida, ha invece annunciato che “in qualità di presidente del G7 Agricoltura, l’Italia lancerà due iniziative specifiche rivolte all’Africa in materia di sviluppo del settore sementiero e per la formazione delle nuove generazioni”. In pratica “si tratta di azioni rivolte ai giovani africani che operano nel settore agricolo e che vogliono accrescere la propria conoscenza attraverso percorsi formativi che li mettano in contatto con esperti internazionali e permettano loro di fare dei periodi di studio all’estero, in particolare qui in Italia”.
Anche se si tratta di “un cammino molto lungo”, il vertice ha rappresentato “un ponte per una crescita comune”. La premier Meloni ha annunciato “un nuovo modello di cooperazione fondato su rispetto e fiducia” enumerando i settori in cui collaborare, in particolare: cooperazione economica, sicurezza e immigrazione. La premier ha inoltre specificato che “il perimetro della collaborazione” potrebbe essere “più ampio” ma occorre “definirlo con tutte le nazioni interessate e con il contributo delle organizzazioni multilaterali a cominciare dall’Unione africana”. In quest’ottica è necessario lavorare per dare “immediato seguito” alle idee, per questo partiranno delle “missioni esplorative nei Paesi dei progetti pilota” e in quelli eventualmente interessati al Piano.
“Non abbiamo una scatola chiusa da presentare – ha affermato Meloni -, ma un’idea da condividere e ci interessa capire se è un’idea condivisibile dai nostri interlocutori”. Il presidente dell’Unione africana, Azali Assoumani, ha a sua volta esortato il governo alla concretezza rispetto al cosiddetto Piano Mattei, sottolineando che con l’Italia si lavorerà “in sinergia”: “Riponiamo molta speranza nella presidenza italiana del G7, per “la riduzione delle diseguaglianze, la riduzione dei conflitti, lo sviluppo dell’imprenditoria”, con l’obiettivo “di stimolare gli investimenti e migliorare l’offerta di infrastrutture nei Paesi a basso reddito e reddito medio”, ha spiegato Assoumani rimarcando l’importanza di “una cooperazione franca e sincera, su interessi comuni, che l’Italia con una leadership illuminata mantiene con l’Unione Africana”. Italia e Africa sono unite da “legami storici”, in virtù di “investimenti italiani in Africa che contribuiscono alla creazione di posti di lavoro e lo sviluppo di infrastrutture”.
È comunque necessario “passare dalle parole ai fatti, non ci accontentiamo di semplici promesse che poi non sono mantenute”, ha ribadito Moussa Faki Mahamat, presidente della Commissione dell’Unione Africana. “L’Africa vuole perorare un cambiamento di paradigma per un nuovo modello di partenariato per aprire la strada verso un mondo più giusto e coerente e per costruire la pace attraverso l’amicizia e non attraverso le barriere. Questa è l’unica strada possibile”, ha chiarito Faki puntualizzando che gli africani non sono dei “mendicanti” e auspicando che “l’Italia sia sempre più coinvolta” insieme al continente africano in tale operazione di crescita e di costruzione della prosperità.
La premier Meloni ha a sua volta spiegato che l’Italia fa una “scelta di politica estera precisa, che porterà a riservare all’Africa un posto d’onore nell’agenda della nostra presidenza del G7, con la consapevolezza dell’interconnessione del destino dei due continenti, impegnandosi a “scrivere una pagina nuova” per quanto riguarda le “relazioni” tra Italia e Africa e, con il sostegno dell’Unione europea, sviluppando “una cooperazione da pari a pari, lontana da ogni tentazione predatoria e approccio caritevole”. Tra poche ore la premier Meloni volerà verso il Giappone dove erediterà per l’appunto la presidenza del G7.
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