Cronache dai Palazzi
Una “rivoluzione silenziosa” quella portata avanti dalle donne, definizione dell’economista premio Nobel Claudia Goldin, citata dal Capo dello Stato durante la cerimonia al Quirinale in occasione della Giornata Internazionale della Donna 2024. “È stata la rivoluzione della libertà femminile che ha avuto le donne come protagoniste e le ha condotte a sancire il diritto pieno alla parità, anche nel campo artistico”.
Il Quirinale ha per l’appunto dedicato la Giornata Internazionale della Donna 2024 alle “Donne dell’arte”. “La rivoluzione silenziosa continua anche ai nostri giorni. Sono sempre di più le donne scrittrici che scalano le classifiche di diffusione o che lavorano al vertice delle case editrici”, ha affermato il presidente Sergio Mattarella. Per affermarsi, “per esprimersi e realizzarsi”, le donne hanno però “dovuto affrontare un supplemento di fatica, un più di impegno, quasi un onere occulto e inspiegabile sulla loro attività”, ha sottolineato il Capo dello Stato.
Alle donne viene sempre richiesto un impegno più oneroso in ogni campo, “un fenomeno purtroppo ben noto, ampiamente studiato, che affonda le radici in pregiudizi e stereotipi sulle donne che tuttora riaffiorano anche nelle società che si ritengono avanzate”, ha affermato Mattarella. Come se alle donne “fossero richiesti obblighi ulteriori e dovessero continuamente superare esami e giudizi più rigorosi”, per dimostrare il proprio valore e le proprie capacità. Le donne, il loro “sguardo” di certo “ha attraversato i millenni” rappresentando la “spinta al cambiamento” sin dai tempi antichi. Le donne sono molto spesso “il volto della speranza”, basti pensare alle rivoluzioni condotte dalle donne in Paesi dove sono loro negati dei diritti anche con la violenza.
Non a caso “vi è una ragione per la quale, nella rappresentazione della realtà, sono prevalse protagoniste femminili per esprimere l’inquietudine di un’epoca, pur essendo altrettanto protagoniste nella vita reale della società, o forse appunto per questo, per interpretare le aspirazioni”.
Circa 131 anni ancora per colmare la parità di genere: è il global gender gap stimato dalle istituzioni europee. Secondo i dati Eurostat il tasso di occupazione femminile in Italia (51,1%) è inferiore alla media europea (64,9%) e, in aggiunta, il tasso di inattività femminile nel nostro Paese (43,6%) è ben al di sopra della media Ue (30%). Continua inoltre ad essere evidente la disparità salariale tra uomo e donna per cui una donna guadagna meno di un collega uomo e la differenza salariale è pari al 10,7%. La presenza femminile nei cda di società quotate in Italia non raggiunge nemmeno il 50% fermandosi al 43,5%. Secondo i dati della Ragioneria di Stato, infine, negli enti locali è donna il 56% del personale amministrativo e tra i laureati sono di più le donne (37%) rispetto ai colleghi uomini (27%); nonostante questo i ruoli di maggiore peso sono affidati più agli uomini (59%) che alle donne (41%).
Nell’ambito del lavoro l’Italia sembra essere la Nazione che versa nelle peggiori condizioni in Europa con 65 punti, quasi 9 sotto la media. Si registrano evidenti difficoltà di acceso al mondo del lavoro, Eurostat rileva che il nostro è lo Stato membro in cui si registra la minore partecipazione femminile al mondo del lavoro: appena il 55% delle donne nel 2022 è occupato contro il 75% degli uomini.
Secondo l’Eige, l’Istituto europeo per l’uguaglianza di genere che ha coniato l’indice di uguaglianza di genere o gender equality index – uno strumento per monitorare la disparità tra uomini e donne nei principali ambiti in cui tale disparità può articolarsi – l’Italia è al tredicesimo posto nella classifica dei Paesi Ue per parità di genere con un punteggio pari a 68,2 e quindi 2 punti al di sotto della media. I valori più elevati si registrano nei Paesi dell’Europa nord-occidentale, prima tra tutti la Svezia con un punteggio pari a 82,2. Agli ultimi posti invece alcuni Paesi dell’Europa orientale e centrale, in particolare Romania (56,1), Ungheria (57,3) e Repubblica Ceca (57,9).
L’Italia sarebbe lo Stato membro che nell’arco dell’ultimo decennio ha registrato il miglioramento più elevato registrando un incremento pari a +14,9 punti in termini di parità di genere dal 2013 al 2023, ma molta strada resta ancora da fare per garantire la parità sul lavoro. In sostanza non è ancora abbastanza in quanto le donne incontrano maggiori difficoltà, rispetto agli uomini, ad accedere al mondo del lavoro o a ricoprire posizioni di potere e di rilievo e, molto spesso, guadagnano meno dei loro colleghi di genere maschile. Nell’ambiente domestico sono ancora considerate le principali responsabili del lavoro di cura e, molto spesso, le donne abbandonano il lavoro con l’arrivo dei figli anche perché il proprio stipendio, in molti casi, copre a malapena i costi per asilo nido e babysitter.
“Abbiamo aiutato le donne che hanno due figli in su. Una donna può fare la madre e può lavorare, ma deve essere messa in condizioni di farlo”, ha affermato il vicepremier Antonio Tajani e riguardo al “problema della retribuzione delle donne” ha puntualizzato: “Non è giusto che le donne guadagnino meno degli uomini. Basta vedere quanto guadagna un manager uomo e quanto una manager donna. È una perdita di opportunità per l’Italia”. In pratica “è soprattutto una questione culturale, ma quella economica non è secondaria”, ha sottolineato Tajani.
A proposito di ruoli più prestigiosi, cosiddetti apicali, nella Pubblica amministrazione e in generale nel mondo dell’economia e delle finanze, in occasione dell’8 marzo il ministero dell’Economia delle Finanze, con l’iniziativa “Il Mef al fianco delle donne’, ha aperto un dialogo sulla condizione femminile in particolare nel mondo del lavoro nella società contemporanea. Come si apprende da una nota del Mef, “le donne e gli uomini che hanno partecipato si sono interrogati e dato opinioni sulle difficoltà (ancora tante) per raggiungere una vera parità di genere a tutti i livelli: sociale, economica soprattutto e personale”. La facciata del Palazzo di via XX Settembre rimarrà illuminata di viola fino al 10 marzo con una soluzione a basso impatto energetico.
Dal ministero della Difesa, rivolgendosi alle donne in divisa, il ministro Crosetto ha invece affermato: “Siete un esempio di forza, di perseveranza e di abnegazione, e la vostra presenza all’interno della Difesa è un motivo di orgoglio per tutta la Nazione”. Crosetto ha sottolineato “impegno”, “dedizione” e “professionalità” delle donne in divisa che contribuiscono “in maniera determinante al successo di tutte le missioni e di tutte le attività svolte dalle Forze Armate e dal Comparto Difesa. Dalla vostra tenacia e dal vostro coraggio, traggono ispirazione le nuove generazioni di donne che aspirano a indossare la divisa e a servire l’Italia”, ha affermato il ministro ribadendo l’urgente “impegno a contrastare ogni forma di discriminazione e di violenza contro le donne, e a promuovere una cultura di rispetto e di pari opportunità in tutti gli ambiti della vita sociale e lavorativa”.
In definitiva “le pari opportunità saranno raggiunte quando smetteranno di sottolineare che si tratta della prima donna che ha raggiunto questo o quell’obiettivo, che ha rotto uno dei tanti soffitti di cristallo, e potremo celebrare non il riconoscimento di meriti eccezionali, ma di quelli più comuni”, ha sottolineato la ministra Roccella presente al Quirinale l’8 marzo. In sostanza “quando non ci sarà bisogno di essere speciali, straordinariamente talentuose e particolarmente motivate, ma basterà avere meriti sufficienti”. Citando la pittrice americana Grace Hartigan, Roccella, ministra per la Famiglia, la natalità e le pari opportunità, ha ribadito: “La parità sarà raggiunta quando basterà essere brave, e non eccezionali, per essere apprezzate e considerate”.
Libertà e autodeterminazione sono due principi cardine della “rivoluzione silenziosa” portata avanti dalle donne in diversi Paesi sottomessi, come in Iran (e non solo), dove le donne hanno combattuto e ancora combattono, strenuamente, per difendere i loro diritti a costo della vita.
“Le ansie di crescita, di emancipazione, l’anticipo del cambiamento recano il segno delle donne”, ha sottolineato il presidente Mattarella l’8 marzo al Quirinale nella cerimonia dedicata alle “Donne dell’arte”.
Mattarella ha per l’appunto sottolineato che “l’arte, difatti, è libertà: libertà di creare, libertà di pensare, libertà dai condizionamenti. Risiede in questa attitudine il suo potenziale rivoluzionario: e non è un caso che i regimi autoritari guardino con sospetto gli artisti e vigilino su di loro con spasmodica attenzione, spiandoli, censurandoli, persino incarcerandoli. Le dittature cercano in tutti i modi di promuovere un’arte e una cultura di Stato, che non sono altro che un’arte e una cultura fittizia, di regime, che premia il servilismo dei cantori ufficiali e punisce e reprime gli artisti autentici”.
Donne “imprigionate e sottoposte a vessazioni, a divieti intollerabili in tante parti del mondo. Dobbiamo sentirci coinvolti nella loro condizione e nelle loro aspirazioni. Le donne – con la loro sensibilità e la loro passione – hanno dato e danno molto all’arte, alla letteratura, allo spettacolo, a ogni ambito della cultura”.
Da bandire “recinti, barriere che limitino la creatività delle donne e la loro libera capacità di scelta”. Nonostante sia “una nuova primavera” per l’affermazione delle donne, non si possono omettere “i tanti ostacoli che tuttora esistono – di natura materiale e culturale – per il raggiungimento di una effettiva piena parità”, ha sottolineato il capo dello Stato. “Senza ignorare che sono ancora frequenti inaccettabili molestie, pressioni illecite nel mondo del lavoro, discriminazioni, così come da anni viene denunciato. Senza perdere memoria delle violenze”.
In questo contesto, e aprendo una nuova prospettiva, “occorre una profonda azione culturale per far acquisire a tutti l’autentico senso del rapporto tra donna e uomo” e per fare questo l’arte, nello specifico, si rivela “un veicolo efficace e trainante di formazione e di trasmissione dei valori della vita”.
Guardando alla cruda realtà sociale, politica e finanziaria del nostro Paese in questi giorni non si può non annoverare l’indagine perugina sul mercato delle informazioni riservate, definito “un verminaio” dato ciò che sta emergendo dalle indagini. Tra il 2019 e il 2022 consultate 4.122 Sos; elaborate schede di analisi su oltre 1.500 persone fisiche e 74 persone giuridiche; effettuate ricerche all’interno del sistema delle Agenzia delle Entrate. Oltre 33.500 i file scaricati anche se viene specificato: “Non tutti illeciti”. Si tratta comunque di cifre “mostruose e inquietanti” per cui l’interrogativo chiave è: “Che fine hanno fatto gli atti prelevati?”, dato che nei computer della Dna non comparirebbero. Infine occorre comprendere il grado della fuga di informazioni verso destinazioni oltre nazione, anche se per ora non sono stati registrati evidenti contatti con l’estero.
Per ora sarebbero circa 10 mila gli accessi accertati e 165 i vip “spiati”, tra cui persone della politica, dello spettacolo, dello sport e della finanza. Un’attività difficilmente imputabile all’iniziativa di un singolo ma sul sistema di relazioni sottostante si continua ad indagare. “Qualche segnale di ricerche strane c’è, e dire che tutto è limitato ai contatti con i giornalisti non sarebbe corretto”, ha affermato il procuratore di Perugia, Raffaele Cantone, sottolineando che non vi è alcuna intenzione di attacco alla libertà di stampa. “Fare chiarezza” è comunque il messaggio trasversale a tutte le forze politiche anche se tale vicenda del “dossieraggio” ha provocato non poche divisioni tra maggioranza e opposizioni, per di più in piena campagna elettorale per le regionali e a ridosso di nuove elezioni. I dem invitano la destra a “non strumentalizzare politicamente una vicenda inquietante”, mentre il leader dei leghisti (tra i maggiormente “spiati”) sottolinea di voler “sapere chi erano i mandanti”. Di situazione “allarmante”, “inquietante”, “scandalosa”, parlano i parlamentari di FdI, di Forza Italia e di Italia viva.
In questo contesto il ministro della Giustizia Carlo Nordio ha proposto l’istituzione di una Commissione parlamentare d’inchiesta, una questione che ha creato ulteriori diverbi all’interno del mondo della politica in quanto, data l’esistenza di altri organi già preposti al controllo, occorrerà ponderare compiti e divisioni cercando di evitare un accavallamento o, ancor di più, una confusione dei ruoli. Il rischio potrebbe essere che, invece di “fare chiarezza”, si creino ulteriori condizioni per confondere dati e notizie. Il dibattito ruota attorno al binomio quantità/qualità degli organismi di sicurezza e controllo.
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