PAC, le proteste degli agricoltori
Varata nel 1962, la Politica agricola comune (PAC) rappresenta una stretta intesa tra agricoltura e società, tra l’Europa e i suoi agricoltori, è gestita e finanziata a livello europeo con risorse del bilancio dell’UE. Si prefigge di sostenere gli agricoltori e migliorare la produttività agricola, garantendo un approvvigionamento stabile di alimenti a prezzi accessibili; tutelare gli agricoltori dell’Unione europea affinché possano avere un tenore di vita ragionevole; aiutare ad affrontare i cambiamenti climatici e la gestione sostenibile delle risorse naturali; preservare le zone e i paesaggi rurali in tutta l’UE; mantenere in vita l’economia rurale promuovendo l’occupazione nel settore agricolo, nelle industrie agroalimentari e nei settori associati. Dal 2023 al 2027 i produttori e i territori rurali italiani potranno contare su un sostegno di oltre 35 miliardi tra contributi comunitari e nazionali, dal bilancio dell’Unione europea arriveranno 26,6 miliardi, da quello nazionale 8,5 che saranno fondamentali per sostenere lo sviluppo e la competitività delle aziende agricole italiane. Degli aiuti PAC, 672 milioni andranno ai giovani agricoltori, quasi 3 miliardi alle misure ambientali nei piani di sviluppo rurale, 4,4 miliardi a pagamenti diretti per pratiche ecosostenibili, 413 milioni per progetti di sviluppo locale partecipativo, e 1,8 miliardi di sostegno supplementare alle aziende più piccole. Il piano prevede l’assegnazione dal bilancio comunitario di oltre 23 miliardi, di cui 17,4 miliardi in aiuti diretti e 5,9 miliardi in fondi per lo sviluppo rurale, cui si aggiungerà il cofinanziamento dello Stato e delle Regioni.
La PAC 2023-2027 attua una strategia definita dalla commissione come “fairer, greener and more performance-based“. Ovvero incentrata sulla necessità di garantire una maggiore giustizia a livello sociale e salariale, nonché una maggiore attenzione alla questione climatica (in linea con la strategia Farm to fork). Per i finanziamenti sono previsti due diversi fondi: il fondo europeo agricolo di garanzia (Feaga) e il fondo europeo agricolo per lo sviluppo rurale (Feasr). Il Feaga si occupa principalmente di pagamenti diretti agli agricoltori e delle campagne di informazione e promozione di prodotti agricoli, lo scopo del Feasr è quello del sostegno allo sviluppo rurale.
In questi primi mesi del 2024 è esplosa la protesta degli agricoltori, in realtà piccole frange molto rumorose e aizzate da promesse fatte da politici di lungo corso e basso livello, in Italia il grosso degli agricoltori, raccolto nella Coldiretti, grande elettore del ministro Lollobrigida, non ha aderito, preferendo usare le vie istituzionali. Ma in tempo di elezioni politiche, sia nazionali, che europee, si è molto sensibili ai titoli dei giornali. La realtà è che l’agricoltura genera appena il 2% del Pil europeo, ma assorbe ben il 31% del bilancio comunitario, qualunque altro settore interessato che godesse di questi numeri ne sarebbe ben felice. Grande sponsor della PAC è la Francia, da sempre in primo piano su questo versante, il ministro dell’agricoltura francese ha ricordati ai protestatari con il trattore quanti miliardi ricevano dall’Europa. Ovviamente ci sono anche giuste ragioni alla base delle proteste, la distribuzione dei fondi può certamente essere migliorata, ma resta il problema del nanismo e la frammentazione che pervade tutto il tessuto economico italiano, l’agricoltura non è da meno. E’ doveroso ricordare anche l’impatto della GDO sul mercato, che porta a forti divari tra quanto viene pagato all’agricoltore, e il prezzo finale che i consumatori devono affrontare quanto acquistano i generi alimentari.
Secondo Eurostat, nell’Ue ci sono poco più 9 milioni di aziende agricole, di cui quasi il 60 per cento è concentrato in tre Paesi: Romania (32 per cento), Polonia (14,4 per cento) e Italia (12,5 per cento). La stragrande maggioranza di queste aziende ha piccole dimensioni: nell’Ue il 64 per cento delle aziende agricole ha infatti una superficie inferiore ai 5 ettari, pari a circa sette campi da calcio (in Italia la percentuale è la stessa). Solo il 4 per cento delle imprese opera invece su terreni grandi oltre i 100 ettari. La dimensione media di un’azienda agricola europea è di 17,4 ettari, ma solo il 18 per cento delle aziende supera questa soglia. Il 95 per cento delle aziende agricole in Europa, poi, è a conduzione familiare, ossia almeno la metà della forza lavoro che ogni azienda impiega arriva da componenti che fanno parte della stessa famiglia. In Italia le imprese agricole a conduzione familiare raggiungono quasi il 98 per cento sul totale. In Europa il settore agricolo impiega circa 8,6 milioni di lavoratori, un numero pari a poco più del 4 per cento del totale dei 210 milioni di occupati nei 27 Stati membri. In Italia questa percentuale si aggira intorno al 3 per cento, così come in Spagna, mentre in Francia e Germania l’agricoltura ha un peso leggermente più basso sull’occupazione, rispettivamente intorno al 2 e all’1 per cento. In Romania questa percentuale supera invece il 20 per cento e in Bulgaria il 15 per cento.
Alla radice delle proteste troviamo sempre il Green Deal, un progetto sacrosanto nei fini che persegue, ma che dimostra sempre di più come sia sbagliato per tempi e modi. Dopo le forti proteste che il passaggio all’elettrico comporta per l’industria europea in cui si prevedono 600.000 posti di lavoro in meno, per i consumatori che non trovano auto BEV a meno di € 30.000, per la mancanza di materie prime che non siano in mani cinesi, il processo tocca anche l’agricoltura. Si comincia con il contestato 4% di superficie da lasciare incolto e da destinare alla biodiversità; si prosegue con il sistema degli ecoschemi, che nella Pac prevede un minimo del 25% dei pagamenti diretti collegato a regimi ecologici, con più incentivi a favore di pratiche agricole rispettose di clima e ambiente. La Pac 2023-27 attualmente in vigore prevede anche che il 35% dei fondi per lo sviluppo rurale sia destinato a misure ambientali e al benessere degli animali; uno dei temi che ha suscitato maggiori polemiche è l’obiettivo della riduzione dei pesticidi chimici e il dimezzamento dell’uso dei fitofarmaci pericolosi per la salute entro il 2030. Meno prodotti chimici significa meno resa per ettaro, ma visto che uno dei temi portato avanti dalla rivolta dei trattori è proprio cibo e salute, consumare fitofarmaci e pesticidi alla propria tavola è un bene?
Alla spasmodica ricerca del sostegno al suo secondo mandato, Ursula Von der Leyen ha preso le difese dei ‘trattori’: “Gli agricoltori dell’Ue mettono sulle nostre tavole il cibo migliore e più sano del mondo. Li sosteniamo con 386,7 miliardi di euro della Politica Agricola Comune (Pac) e nelle difficoltà troviamo soluzioni comuni, gli agricoltori europei sono la spina dorsale del sistema di sicurezza alimentare dell’Ue.”. La Presidente ha trovato subito la sponda della destra, nel Consiglio europeo straordinario a Bruxelles, il leader della Lega Matteo Salvini ha condiviso alcune immagini delle proteste e si è schierato «dalla parte di agricoltori e produttori che si fanno sentire per chiedere lo stop a decisioni ideologiche e lontane dalla realtà». Sulla stessa linea anche il ministro Francesco Lollobrigida, che ha bollato come «semplicemente folli» le politiche «dell’Unione Europea, avallate dai Governi che ci hanno preceduto» e che usano «la sostenibilità ambientale come una clava». Antonio Tajani, ministro degli Esteri e segretario di Forza Italia, ha accusato invece Bruxelles di «sacrificare l’uomo e il lavoro in nome del nuovo panteismo» in difesa del clima.
Il clima elettorale ha sortito i suoi effetti con la proposta della Commissione di una proroga per tutto il 2024 alla deroga di alcune misure previste dalla Pac che li obbligano a mantenere almeno il 4 per cento di alcune aree non produttive, ovvero non occupate da colture per aiutare a ripristinare natura e biodiversità. Si aggiunge la decisione di prorogare di un anno, fino a giugno 2025, anche la sospensione dei dazi all’importazione, dei contingenti e delle misure di difesa commerciale sulle esportazioni ucraine verso l’Unione europea, le cosiddette misure commerciali autonome (ATM), che nei mesi scorsi hanno provocato la forte reazione dei Paesi di frontiera, in particolare Polonia, Ungheria, Bulgaria, Slovacchia e Romania che hanno denunciato strozzature logistiche e accumuli eccessivi di grano e altri cereali sui loro mercati agricoli, contribuendo a svalutarne anche i prezzi. Nella comunicazione sugli obiettivi climatici per il 2040, la Commissione Ue ha poi evitato di definire un target preciso per l’agricoltura: rispetto alle prime bozze in circolazione, che fissavano l’obiettivo di riduzione delle emissioni in agricoltura al 30 per cento rispetto ai livelli del 2015, nel testo finale è stata scelta una formula più vaga: “L’agricoltura è fondamentale per garantire la sicurezza alimentare in Europa e, con politiche efficaci che premino le buone pratiche e un sostegno adeguato, può anche contribuire a ridurre le emissioni”.
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