Nuovo patto di stabilità, conti pubblici e PNRR
Dopo due anni di tensioni fra Paesi più rigoristi e Paesi mediterranei più flessibili, il nuovo Patto di stabilità e crescita è stato approvato e presto entrerà in vigore. Le criticità in tema di conti pubblici e le sfide che si pongono dinanzi all’Italia.
Cosa è il Patto di stabilità – Il Patto di stabilità è un accordo del 1997 che prevede specifici obblighi e sanzioni a carico di quei Paesi che non rispettino determinati criteri di bilancio, quali un rapporto deficit/PIL del 3% ed un rapporto debito/PIL del 60%. Nel 2020, a seguito della crisi pandemica, i criteri del vecchio Patto di stabilità furono sospesi fino alla fine del 2023. Ciò detto, si può tentare di fare un’analisi punti di forza e punti di attenzione sul nuovo Patto.
Punti di forza – Elasticità: Sicuramente, il nuovo Patto appare più elastico rispetto al Patto precedente, in quanto si prevede l’individuazione di specifiche traiettorie di rientro dal deficit e dal debito, da concordare preventivamente fra ciascun Paese e la Commissione europea. Più in particolare, i Paesi presenteranno entro il prossimo 20 settembre il loro piano di rientro, indicando anche gli investimenti che intendono fare nei settori prioritari e le riforme che prevedono di attivare a tutela della crescita. Gradualità: i citati piano saranno di massima a 4 anni, ma sarà possibile estenderli fino a 7 anni. Nella fattispecie, l’Italia presenterà un piano a 7 anni per evitare che i nuovi criteri di bilancio possano mortificare una crescita ancora troppo fragile.
Punti di attenzione – I nuovi criteri quantitativi: Sotto la spinta dei paesi frugali del Nord Europa, il nuovo Patto contiene dei criteri quantitativi che i Paesi dovranno rispettare: 1) i Paesi con un rapporto debito/PIL superiore al 90%, quindi Italia, Francia, Spagna, Grecia, etc. dovranno comunque ridurre il debito dell’1% annuo fino ad arrivare al 60%; 2) i paesi con un rapporto deficit/PIL superiore al 3%, quindi Italia, Francia, Spagna eccetera, dovranno ridurre il debito a tappe forzate, oltretutto non puntando più al limite del 3% come previsto dal vecchio Patto, ma ad un target dell’1,5% e, quindi, molto più basso. L’idea è quella di obbligare in questo modo i Paesi a costruire delle riserve di deficit da utilizzare in caso di shock o di crisi esterne.
Conseguenze per l’Italia – Per quanto riguarda l’Italia, sicuramente il nuovo Patto richiederà da parte del governo una grande attenzione sui nostri conti pubblici, essenzialmente per due motivi. Il primo riguarda le nostre previsioni di crescita non eccezionali: il Fondo Monetario prevede che l’Italia crescerà nel 2025 dello 0,7% contro una media dell’Eurozona dell’1,5%. Il che vuol dire che servirà tutto l’equilibrio del Ministro Giorgetti per evitare che il rispetto dei nuovi criteri di bilancio possano creare dei danni collaterali, spingendoci verso uno scenario di stagnazione economica. Il secondo motivo riguarda il fatto che i nuovi criteri, si applicheranno in uno scenario in cui l’Italia evidenzia un rapporto deficit/PIL tra i più alti d’Europa (7,4%) ed una traiettoria del debito ancora in crescita.
Conclusione – Posto che, verosimilmente, non si poteva ottenere di più nell’ambito della revisione del Patto di stabilità, rimane il fatto che le parole d’ordine devono continuare ad essere: niente finanza allegra e PNRR.
[NdR – Fonte Teleborsa.it che si ringrazia per la collaborazione – Andrea Ferretti è docente al Master in Scienze economiche e bancarie europee LUISS Guido Carli]
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