Cinquant’anni di divorzio
Volete che sia abrogata la legge 1º dicembre 1970, n. 898, “Disciplina dei casi di scioglimento del matrimonio”? il quesito al quale gli elettori vennero chiamati a rispondere il 12 maggio del 1974.
E gli Italiani risposero. Affluenza 87,72%, un risultato che oggi sembra improponibile. Vinse il No con quasi il sessanta per cento dei voti e il risultato non fu solo quello di mantenere in vita la legge che permetteva di divorziare, ma anche un segnale realmente epocale del cambiamento dei tempi, di una mentalità passata e della nuova direzione che stava prendendo la società.
Ad introdurre il divorzio in Italia, a dire il vero, si era provato già molti anni prima. Un noto sostenitore del divorzio in quei tempi fu, nel 1877, il politico e giornalista Agostino Bertani aveva presentato una proposta di legge che non fu approvata. Ci riprovò sempre senza esito, circa dieci anni dopo, il deputato Luigi Luzzatti. Tuttavia, anche questa proposta incontrò una forte opposizione, in particolare dalla Chiesa cattolica e da settori conservatori della società, e non venne adottata. Anche nel 1946 vi furono timidi tentativi ma l’opposizione del Vaticano li fece naufragare tutti.
L’entrata in vigore della legge sul divorzio nel 1970, detta Fortuna-Baslini dal nome dei primi due firmatari rappresentò pertanto un momento di svolta nella storia sociale e politica italiana. Sebbene il divorzio fosse stato introdotto per consentire la dissoluzione del vincolo matrimoniale, la sua adozione non fu priva di controversie, soprattutto da parte di molti cattolici che fedeli agli insegnamenti che sancivano l’indissolubilità del matrimonio, si opposero vigorosamente all’introduzione del divorzio in Italia.
Come facile immaginarsi, anche per l’eco non ancora sopito dei movimenti del Sessantotto, il dibattito in un Paese che pare nato apposta per litigare e creare fazioni, esplose con veemenza.
Gli antidivorzisti, tuttavia, cercarono di argomentare la loro posizione in termini laici, cercando almeno formalmente di staccarsi dalla Chiesa, basandosi sull’essenza stessa del matrimonio come istituto di diritto naturale, piuttosto che come sacramento religioso.
Il dibattito si sviluppò e scivolò in un contesto più ampio, dove le questioni civili si intrecciavano con il panorama politico del momento. Il fronte divorzista non vedeva solo la legge come un mezzo per ampliare le libertà civili, ma anche come un’opportunità per portare avanti un cambiamento più ampio e libertario nel quadro politico nazionale, uscendo da schemi dettati dalla tradizione cattolica e dall’invasività della Chiesa nel quotidiano.
Le cronache parlano di preti attivamente coinvolti nella campagna elettorale e, del resto, il Segretario della democrazia Cristiana, Amintore Fanfani, impegnò sé stesso e il suo partito per l’abolizione della Legge.
La vittoria del “No” nel referendum del 1974 fu solo un capitolo della lunga lotta tra sostenitori e oppositori del divorzio in Italia. Tuttavia, questa vittoria non fu solo una sconfitta per i divorzisti; rappresentò anche un momento di svolta politica.
Nel periodo successivo al referendum, si assistette a importanti conquiste elettorali delle forze di sinistra nel 1975 e nel 1976, che culminò nella nascita di governi con l’appoggio esterno del Partito Comunista Italiano (PCI) prima nel 1976 e poi nel 1978.
Seguì la legge sull’aborto e un secondo referendum che sancì la sconfitta, più che degli antiabortisti, di un sistema ormai non più compatibile con il nuovo mondo che si stava manifestando e della sua inevitabile evoluzione.
La legge sul divorzio, quindi, non solo ebbe un impatto diretto sulla vita delle coppie italiane, ma si rivelò anche uno dei fattori catalizzatori di cambiamenti politici significativi. La sua adozione rappresentò una trasformazione nella percezione della società italiana e nei rapporti tra Chiesa e Stato, sottolineando la complessità e l’interconnessione di questioni sociali, culturali e politiche.
Altre conseguenze? Da persona coerente e fedele ai suoi impegni, Amintore Fanfani si dimise dalla carica di Segretario politico del partito.
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