Canagliate
Alle volte mi chiedo se il Paese che ho servito per oltre quarant’anni, presumendo che fosse un Paese serio non sia diventato, in quest’ultimo decennio, il Paese di Pulcinella. Anzi, dei due Pulcinella. Ricordate il commento del Financial Times dopo le elezioni dello scorso anno, riferito a Grillo e Berlusconi? “Enter the clowns”, entrano i pagliacci. Allora la frase parve offensiva e il Presidente della Repubblica dignitosamente rifiutò di ricevere il leader socialista tedesco che l’aveva ripresa. Purtroppo, però, da allora i due clown ci hanno fatto assistere a numeri di ogni genere, piroette e comiche finali, che nemmeno al Circo Togni, in cui è più bravo chi la spara più grossa.
In qualsiasi Paese al mondo (per lo meno in Occidente) due personaggi del genere, ineleggibili per legge a qualsiasi incarico pubblico, sarebbero obbligati al silenzio. Ma noi, malgrado gli sforzi meritori di alcuni, non siamo sempre un Paese serio. Non lo siamo quando andiamo appresso all’ultimo pifferaio e applaudiamo alle comiche da torta in faccia. Non lo siamo quando, se i giudici condannano il politico di una certa parte, non ci chiediamo se per caso era giusto, ma strilliamo di persecuzione. Non lo siamo quando, appena fatto un Governo, gli stessi che lo hanno voluto cominciamo a disfarlo. Non lo siamo quando, rieletto a larga maggioranza un Presidente, gli stessi che lo hanno eletto – anzi, supplicato di restare – si mettono a insultarlo.
Ma i pagliacci non fanno solo ridere: sono, ahimè, capaci di autentiche canagliate che hanno obiettivi ben precisi: l’Europa e le istituzioni. Non a caso, perché sono gli argini alle loro dilaganti dissennatezze, quelli che ci impongono un minimo di serietà, per cui i debiti non si moltiplicano, si pagano e gli impegni si rispettano; quelli che continuano a tenere insieme un Paese che a loro converrebbe veder saltare in aria. E i pagliacci diventano davvero pericolosi quando uniscono le loro truppe, perché insieme dispongono di centinaia di deputati e senatori (non tutti servi sciocchi, è vero, ma la maggior parte sì). E meno male che, dalla parte del buon senso, della dignità, del rispetto delle istituzioni, dell’Europa, c’è quella che, grazie anche ai coraggiosi di NCD, è tuttora la maggioranza.
L’ultima canagliata in ordine di tempo (ma quante altre ne vedremo!) è aver sollevato il polverone di un complotto di Napolitano per destituire Berlusconi nell’estate del 2011, basandosi sulle “ricostruzioni” di Alain Friedman fondate a loro volta su presunte “confidenze” di Carlo Debenedetti e Romano Prodi; costruendo attorno a questa bufala di seconda o terza mano una indegna gazzarra in cui l’intera FI si è allineata a Grillo nello sparare a zero sul nostro Presidente. E vi si sono prestati personaggi “ufficiali” come i due capigruppo di FI. Il Capo dello Stato, nella lettera inviata al Corriere, ha ristabilito la verità, rievocando in modo garbato ma puntuale la situazione di quel tempo, una situazione che, ovviamente, Romani e Brunetta conoscono benissimo (ma mentire deve essere una seconda natura): nell’estate del 2011 il Governo Berlusconi stava entrando sotto gli occhi di tutti in una crisi terminale. La maggioranza che lo sorreggeva si era dissolta dopo l’uscita di Futuro e Libertà. In seno al Governo si era aperto un conflitto tra il Presidente del Consiglio e il suo Ministro dell’Economia. Il differenziale coi titoli tedeschi era schizzato oltre i 500 punti, il che significava che la fiducia dei mercati verso l’Italia stava finendo, non avremmo avuto più credito o l’avremmo pagato con tassi proibitivi e presto non avremmo potuto fare fronte ai nostri pagamenti. Per questo, il Governo era sotto il tiro della Banca Centrale Europea e della stessa Banca d’Italia, che avvertivano: se si va avanti così salta tutto. L’8 novembre di quell’anno, il Governo perdette la maggioranza alla Camera e Berlusconi si recò la sera stessa al Quirinale per rassegnare le dimissioni (Napolitano, per discrezione, non lo dice, ma lo sanno tutti che il Cavaliere non chiese il reincarico, né le elezioni, ma convenne sulla necessità di una via d’uscita che vedesse la collaborazione delle principali forze politiche; mica scemo! Allora le elezioni sarebbero convenute al PD, e quanti hanno rimproverato a Bersani di non aver colto, per senso di responsabilità verso il Paese, l’occasione buona).
In queste condizioni, che il Capo dello Stato si preoccupasse per il Paese e si guardasse attorno per capire se ci fosse un’alternativa e prepararla in caso di necessità era, non un suo diritto, ma un suo preciso dovere. La Costituzione non fa del Presidente un semplice notaio. Ne fa il garante delle istituzioni e del loro funzionamento, un riferimento centrale quando si blocca il normale gioco politico, la figura istituzionale a cui incombe vegliare al bene del Paese al di sopra delle parti (“Il Presidente della Repubblica rappresenta l’Unità Nazionale”). Nello svolgimento di questo compito, la Costituzione non gli pone limiti specifici (“Il Presidente della Repubblica nomina il Presidente del Consiglio”. Punto! Non dice ”Se fa comodo a Berlusconi”); nessun limite, ovviamente, che non sia quello che viene dalla necessità che il Governo ottenga poi la fiducia delle Camere. Nella circostanza, il Presidente usò del suo potere di scelta, già usato in passato da Presidenti come Gronchi, Pertini e Scalfaro, incaricando il più autorevole dei nostri economisti, di alto prestigio in Europa, uomo del centro-destra liberale e cattolico, non certo sgradito a Berlusconi che lo aveva nominato Commissario europeo nel 1994, e attorno al quale aveva constatato un’ampiezza di consensi che andavano dalla sinistra alla destra moderate. A fine ottobre di quell’anno, quando di Monti non si parlava ancora pubblicamente, a me capitò di scrivere che egli sarebbe stato, se la situazione fosse giunta al collasso, la persona giusta per prendere in mano il Governo (senza saperlo, dovevo far parte anch’io “a mia insaputa”, servo della signora Merkel, del losco complotto). Questi i fatti. Il resto, il Presidente lo definisce garbatamente: “fumo, fumo”. Io lo definirei “Balle, balle”. Balle, però, che molta gente, normalmente di sano giudizio, è disposta a bersi come un uovo crudo, tutta intera, come si è bevuta e continua a bersi tutte le fandonie del Cavaliere.
C’è però un lato positivo in questa canagliata: che la vergognosa combutta tra i due clown, tra i due populisti, è diventata innegabile. Fino a che punto si spingerà? Nella tranquilla sicurezza che il Parlamento farà giustizia della delirante richiesta di impeachment, vedere come si comporterà Forza Italia non sarà meno rilevante. Servirà a capire in modo conclusivo se è quella forza liberale, moderata ed europea che pretende di essere, o se è la corte pretoriana degli sfasciacarrozze. E i potenziali alleati “moderati” del Cavaliere, a cominciare da Casini, dovranno rifletterci.
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Un Commento
PS di aggiornamento. Questa nota è stata scritta prima del voto in Commissione sull’impeachment. Nel quale l’indegna montatura si è dissolta, ha detto qualcuno, “come neve al sole”. (Non ho capito se la squallida vicenda è finita in Commissione o deve andare in aula, ma poco importa: politicamente il verdetto c’è: era una bufala!). La figuraccia, però, non l’ha fatta solo Grillo. L’ha fatta (cvd) anche Berlusconi. Perché dopo aver tuonato contro il Capo dello Stato ed evocato fantasmi di cospirazione, al momento buono gli sono mancati la coerenza, il coraggio e l’elementare onestà di andare fino in fondo. Ora i due capocomici e i loro comprimari continuano a ripetere, come un disco rotto, che il nostro Presidente dovrebbe lo stesso andarsene (davvero non c’è nulla di più patetico della rabbia impotente). No, signori miei, avete voluto un “giudizio di Dio” e l’avete perduto, adesso statevene tranquilli!