La fine del chavismo?

La natura è stata generosa col Venezuela: un Paese con terreni fertili, foreste rigogliose e straordinariamente ricco di risorse del sottosuolo. Le faide della sua politica interna hanno tuttavia condannato il suo popolo, in buona parte di discendenza italiana, a privarsi di un governo genuinamente dedito ai bisogni dei cittadini. L’ultima ideologia – il chavismo – oggi incarnato dal dittatore Maduro, ha fatto sprofondare i 28 milioni di abitanti (ma 6 milioni di Venezuelani hanno abbandonato il Paese negli ultimi anni) in un baratro segnato da povertà e da abusi condotti da bande criminali appoggiate dal governo e conniventi coi cartelli del narcotraffico. Un’opposizione eroica guidata da Corina Machado, sostenuta dal sempre più diffuso malcontento, ha candidato un valido ex diplomatico, Edmundo González, alle ultime elezioni presidenziali.

La commissione elettorale, emanazione del Governo, nell’incapacità di smentire le accuse di brogli dell’opposizione, ha sospeso la proclamazione ufficiale del vincitore, L’esito tuttavia è quantomeno dubbio perché l’opposizione ha prove valide dei brogli che secondo Maduro gli avrebbero dato il 51 per cento dei consensi.

A caratterizzare la polemica è significativamente l’eco internazionale suscitata dalla vicenda: il Venezuela è al centro di una contesa che vede l’asse tradizionale antioccidentale (Russia, Iran, Cina, Corea del Nord) riconoscere la vittoria di Maduro ed Europa e Stati Uniti chiedere la verifica del processo elettorale. È tuttavia significativo che altrettanto venga oggi chiesto da governi sudamericani ideologicamente non affini all’occidente, come quelli del Messico e del Brasile.

È probabile che il chavismo sia quindi prossimo al capolinea. Bisognerà vedere se la fine giungerà attraverso un abbandono del potere di Maduro concordata, oppure se l’epilogo sarà violento e con il suo eventuale arresto da parte della giustizia americana che lo accusa di traffici internazionali illegali anche di droga.

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