Rapporto Prometeia luglio 2014
L’ECONOMIA ITALIANA NEL NUOVO CONTESTO GEOPOLITICO – Lo scorso 5 luglio Prometeia, il prestigioso think tank fondato da Beniamino Andreatta, ha proposto il suo periodico rapporto previsionale, con un panel composto da Lorenzo Forni, Segretario Generale di Prometeia Associazione; Stefania Tomasini, Senior Partner; Lorena Vincenzi, Associate Partner; con la partecipazione da remoto del prof. Tito Boeri, Università Bocconi, per il tema: Quando il lavoro non basta.
La presentazione del Rapporto è iniziata con l’analisi del Segretario Generale Lorenzo Forni che ha aperto illustrando un quadro generale in cui prosegue il rallentamento dell’economia globale, ma mentre gli Stati Uniti cresceranno quest’anno oltre il 2%, l’area dell’euro al di sotto dell’1%. I risultati delle recenti elezioni europee renderanno i prossimi passi verso una maggiore integrazione dei mercati dei capitali e del settore della difesa più complessi. In questo contesto l’Italia beneficia di una ritrovata stabilità politica, ma vede i margini di manovra fiscali ridursi sostanzialmente con il ritorno in vigore delle regole fiscali europee. Il Pil dell’economia USA sarà quest’anno del 2,3%, scenderà all’1,8% il prossimo anno, risalirà al 2% nel 2026 e riscenderà all’1,8% nel 2027. In calo l’inflazione: dal 4,1% del 2023 al 3% quest’anno, fino al 2,3% nel 2027. Un dato che negli States fa discutere è l’aumento del prezzo della benzina. +33% rispetto al 2019.
Lo scenario mondiale previsto da Prometeia è questo: Pil al 3,2% (2024), 2,9% (2025), 3% (2026), 2,9% (2027); commercio mondiale a +2,1% (2024), +3% (2025), +3,3% (2026), +3,2% (2027); inflazione al 3,7% (2024), 3,1% sia nel 2025 che nel 2026 e 2027. Parlando delle elezioni statunitensi e francesi, al momento della presentazione era ancora Joe Biden candidato e si attendeva il secondo turno delle elezioni francesi. A oggi sappiamo che Kamala Harris è subentrata a Biden, e i sondaggi stanno premiando la scelta dei democratici. Anche il Francia la barrière che ha unito tutto l’arco costituzionale per fare da diga al RN ha funzionato, anche se la situazione politica è tuttora confusa, perlomeno si è rimandata la resa dei conti con la Le Pen e Bardella alle presidenziali, dove la diversa forma di voto potrebbe provocare amare sorprese.
Restando all’economica, il dott. Forni ha evidenziato il forte aumento del debito pubblico francese, letteralmente esploso nel periodo post-covid, che imporrà politiche di rientro a Parigi, che come altri 6 paesi, tra i quali l’Italia, è sotto procedura di infrazione per debito eccessivo. A livello europeo si sta parlando di un prestito da 50mld all’Ucraina, ma anche qui non mancheranno le tensioni politiche per contrarre ulteriore debito da veicolare verso Kiev. Resta il discorso dei diversi approcci sistemici verso la Cina messi in atto da Europa e USA, mentre gli Stati Uniti hanno imposto un dazio del 100% sulle automobili elettriche importate dalla Cina, l’Europa si è limitata a dazi differenziati mirati a pareggiare le sovvenzioni alle case cinesi da parte di Pechino, differenziati per marca, colpendo anche la Tesla.
Due diversi approcci quindi, una chiusura verso il gigante asiatico che, con una eventuale presidenza Trump, diverrebbe ancora più forte; un’apertura al dialogo, viceversa, da parte dell’Europa. A margine è doveroso ricordare che alla fine i costi ricadono sui consumatori che rivolgendosi al mercato dell’auto elettrica non possono trovare nulla al di sotto dei € 30.000 in ambito non cinese, e che le politiche dei dazi non hanno mai avuto successo, oltre generare contenziosi di fronte al WTO, come la dottrina macroeconomia insegna.
Stefania Tomasini, economista di Prometeia, mostra come il Pil sarà, in Italia, dello 0,9% quest’anno, così come nel 2025, mentre nel 2026 scenderà allo 0,7% e nel 2027 allo 0,4%. Quindi una crescita debole ma pur sempre con un dato positivo non scontato in una situazione di incertezze internazionali. Inoltre incide la brusca frenata dell’edilizia, che aveva contribuito alla ripresa post-Covid, ma che sconta un netto ridimensionamento con la fine del Superbonus. Quanto all’industria manifatturiera, il suo fatturato dovrebbe stabilizzarsi sui 1.160 miliardi di euro nel 2024: +250 miliardi rispetto al 2019 con una crescita dell’export al 2,6%. L’inflazione appare sotto controllo, anche se dall’1,2% di quest’anno salirà al 2,1% il prossimo per assestarsi al 2% nel 2025 e all’1,9% nel 2027.
L’inflazione italiana si colloca al livello più basso in Europa e nel biennio 2022-2023 l’inflazione complessiva è stata del 13% e l’aumento dei prezzi del 30% e a differenza che in altri Paesi non c’è stato un adeguato recupero e non si sono ancora nemmeno raggiunto il Pil del 2007. Tutti gli indicatori sono positivi, il che rende il quadro economico favorevole, con una certa fiducia di riuscire a gestire l’impatto che avranno le nuove regole europee di stabilità. Senza tensioni con l’Europa lo spread si assesterà, prevedibilmente, sui 180 punti, ma resta il fatto incontrovertibile che l’Italia ha il più alto debito pubblico in Europa, e a settembre si valuterà il piano di rientro del governo a questo riguardo, alla luce del fatto che si dovrà ricorrere al rifinanziamento del debito pubblico senza più contare sul salvagente BCE, quindi a tassi superiori. Curiosamente, si nota che in Italia, al contrario di Francia e Germania, le imprese hanno un saldo positivo, dovrebbero raccogliere risparmio e investire, ma questo non avviene nel nostro paese, incidendo negativamente sulla crescita. Le imprese hanno usato il risparmio riducendo la leva e investendo in campo finanziario, ovvero, acquistando titoli pubblici.
Lorena Vincenzi, economista di Prometeia, illustra un’economia che sembra in una posizione di attesa, decelera quella americana, è in difficoltà quella europea, frena quella cinese. C’è da attendersi che solo nel 2025 vi sarà una significativa riduzione dei tassi, per altro l’inflazione non è del tutto sotto controllo e la politica di tassi della Fed difficilmente cambierà in maniera netta, probabilmente Powell non vuole disperdere il credito guadagnato durante la gestione della pandemia unitamente al timore che i salari crescano eccessivamente, problema non presente in Europa.
Rimangono alti i prezzi delle materie prime e dei noli, l’indice Baltic Dry non arriva ai massimo dell’esplosione del conflitto tra Israele e Hamas, ma resta un trend di crescita, dovuto anche alle tensioni causate dagli attacchi Houti. Mentre restano in una situazione sospesa di attesa le materie prime industriali, sono in aumento quelle alimentari. Resteranno sostenuti gli investimenti in ambito tech e manifattura, ma il calo delle costruzioni porterà a un saldo zero per il totale degli investimenti privati. Resta in forte affanno la Germania, che sconta la frenata della Cina, il cui andamento del Pil è inferiore all’obiettivo governativo: +5,1% quest’anno, +4,3% nel 2025, +4,1% nel 2026, +4,2% nel 2027.
Restano poi le sfide aperte sul fronte del lavoro, a cominciare dal fatto che, nonostante una crescita dell’occupazione generalizzata, i bassi salari e stagnanti ormai da tre decenni continuano ad alimentare la povertà. C’è una domanda che non incontra l’offerta, soprattutto nelle posizioni di profilo ingegneristico, tech, economics, e si crea molto lavoro, ma povero. A questo fattore strutturale bisogna aggiungere che l’ondata di pensionamenti dei baby boomers genererà significative uscite dal mercato del lavoro che non riusciranno ad essere compensate dai nuovi ingressi per la minore numerosità delle coorti più giovani.
Tito Boeri, in collegamento remoto dalla Bocconi, evidenzia come il PNRR non abbia ancora prodotto risultati sul fronte occupazione, mentre i salari, come già detto, scontano un aumento nominale del 6%, a fronte di un’inflazione al 15% e sintetizzandosi in una perdita di salario reale pari al 9%. Questo si è tradotto in un minor costo del lavoro per le imprese del 10%, che hanno anche aumentato gli investimenti in macchinari del 3%, malgrado l’aumento dei tassi.
L’Italia, oltre una altissima percentuale di bassa occupazione femminile, vanta anche il non invidiabile primato di essere al primo paese europeo per NEET (Not in Education, Employement or Training), un capitale umano di persone, anche qui con una percentuale molto maggiore di donne, che non sono presenti in ambito lavorativo, ma nemmeno nell’istruzione o apprendimento. Si evidenziano in questi numeri le criticità dei limiti nella contrattazione collettiva italiana, assenza di salario minimo, clausole di non concorrenza, bassa mobilità del lavoro. Si è in presenza di una moltiplicazione dei contratti collettivi nazionali, ma con la presenza di alcuni contratti privati con riduzioni del 40% del salario rispetto i minimi salariali, grazie alla connivenza di alcuni imprenditori con sigle sindacali compiacenti. Per quanto ridotta numericamente questa forma di contratto pirata, contribuisce ad abbassare tutta la struttura contrattuale ‘legale’. Boeri pone l’accento sul problema delle scuole professionali, che in vari indirizzi sono un vero e proprio vicolo cieco, tutto questo si trasferisce nel non fare incontrare domanda e offerta nel mercato del lavoro. L’IA potrebbe fornire un forte supporto in questo campo.
Rispondendo a una domanda del Presidente Romano Prodi, presente in sala, riguardo la rappresentanza reale dei sindacati, il prof. Boeri informa che hanno tentato di quantificare i numeri veri, al di là delle dichiarazioni dei sindacati stessi. Mentre negli altri paesi i numeri dichiarati e quelli verificati tramite indagini campionarie risultano grosso modo coincidenti, in Italia emerge una differenza sostanziale, i sindacati dichiarano di coprire un terzo dei lavoratori come iscritti alle sigle, mentre i numeri risultanti dall’indagine stimano ad appena un 10%.
Abbiamo posto due domande al prof. Boeri, rispetto la carenza di profili STEM e sul fatto che gli italiani che lavorano all’estero rispondono sempre che dove sono guardano solo alle capacità, mentre in Italia l’età è un fattore discriminante, e la gerontocrazia che vediamo ovunque ne è la dimostrazione. La risposta del prof. Boeri è che in effetti le aziende cercano molto i profili STEM e sicuramente meno quelli umanistici, per quanto siano arricchenti sotto molti punti di vista. Si è notato anche come le donne si autoescludano dai profili STEM, il che aumenta ulteriormente il divario tra domanda e offerta. La fuga dei cervelli, come viene definita, è un aspetto della globalizzazione, ma è vero che dovremmo essere anche attrattivi, esportiamo molti cervelli in più rispetto quelli importati. Esiste anche la discriminante culturale italiana rispetto l’età che è un altro fattore di criticità.
©Futuro Europa® Riproduzione autorizzata citando la fonte. Le immagini utilizzate sono tratte da Internet e valutate di pubblico dominio: per segnalarne l’eventuale uso improprio scrivere alla Redazione