Cronache dai Palazzi

La premier Giorgia Meloni invita i suoi follower a “diffidare delle ricostruzioni” sulla legge di Bilancio che è la sua terza manovra; un documento poco superiore ai 25 miliardi di euro. Anche quest’anno i margini sono strettissimi e la legge di Bilancio sarà ridotta “all’indispensabile”. La prossima legge di Bilancio si concentrerà in pratica sulla riduzione delle tasse, il sostegno ai giovani e alle famiglie, e gli interventi per le imprese che assumono. Prevista inoltre la conferma del taglio del cuneo fiscale e contributivo per i redditi fino a 35 mila euro per fronteggiare l’inflazione. Tra le ipotesi ci sarebbe anche quella di tentare di estenderlo ai redditi fino a 50-60 mila euro.

“Le cose si fanno se e quando ci sono le risorse”, si ripete a via XX Settembre. In sostanza dovrebbe essere una manovra rivolta ad aiutare il potere d’acquisto delle famiglie, in particolare quelle più numerose, e a offrire sgravi fiscali alle imprese disposte a generare forza lavoro. Nel corso del primo Consiglio dei ministri dopo la pausa estiva e in seguito al vertice di maggioranza, l’esecutivo ha tracciato dei punti fermi che dovranno essere rispettati per non far saltare i conti. Le risorse sono limitate. L’Ufficio Parlamentare di Bilancio ha stimato che solo per confermare gli interventi finanziati lo scorso anno occorrono circa 18 miliardi, di cui poco meno di 11 per il taglio del cuneo.

Si ipotizza anche una riduzione delle tax expenditure, un insieme di centinaia di esenzioni, detrazioni, crediti d’imposta, aliquote agevolate. Nel 2016 uno studio per conto del Senato ha censito – sommando tributi erariali e tributi locali – oltre 600 misure diverse, con un impatto finanziario pari a quasi 80 miliardi di euro.

La prima legge di Bilancio con le nuove regole Ue richiede da parte delle diverse forze politiche uno sforzo ulteriore orientato al dialogo: occorre guardare oltre le divergenze e non si possono disperdere risorse per sventolare bandierine.

Le opposizioni, a loro volta, si stanno preparando a dare battaglia in Aula. “Siamo preoccupati del fatto che il governo non abbia ancora dato risposte su cosa intenda fare con questa manovra. E siamo ancora più preoccupati dalle voci che si rincorrono sul fatto che farebbero cassa ancora una volta sulle pensioni”, puntualizza la segretaria dem Elly Schlein aggiungendo: “Non possiamo accettare di vedere ancora una volta tagliare l’indicizzazione delle pensioni”. Tra i banchi dei Cinquestelle, il capogruppo alla Camera Francesco Silvestri afferma: “La coperta non è corta, lo è la stoffa dei politici del governo Meloni. Stanno tagliando tutti gli investimenti strategici per il Paese, man non toccano gli extraprofitti bancari, non fanno la digital tax e lasciano che i salari dei cittadini diminuiscano sempre di più. Dicono che la coperta è corta, eppure continuano a spendere soldi per le armi”. Le opposizioni si dicono inoltre preoccupate per i possibili tagli alla sanità e gli effetti fiscali di alcune misure.

Nel vertice di maggioranza i partiti di governo hanno a loro rinnovato il patto di coalizione rafforzando i propri obiettivi. “È stata ribadita l’unità della coalizione e sono determinati a continuare il lavoro avviato per tutta la legislatura, portando a compimento le riforme messe in cantiere e attuando il programma votato dai cittadini”, dice una nota congiunta. I leader – viene spiegato – hanno rinnovato il “patto di coalizione, garanzia di efficacia e concretezza dell’azione di governo”. Il centrodestra conferma il suo “appoggio a Kiev ma si dice contrario a ogni ipotesi di interventi militari fuori dai confini ucraini”. Si parla di “totale sintonia su tutti i dossier, a partire dalla politica estera”. Infine si spiega che “la prossima legge di Bilancio, come le precedenti, sarà seria ed equilibrata, e confermerà alcune priorità come la riduzione delle tasse, il sostegno a giovani, famiglie e natalità, e interventi per le imprese che assumono”. La nota si conclude ribadendo che “da trent’anni il centrodestra conferma la propria solidità e compattezza, con la capacità di trovare sempre la sintesi tra le diverse identità che lo compongono e dare risposte ai cittadini”.

“Sarà una legge di Bilancio ispirata, come quelle precedenti, al buon senso e alla serietà. La stagione dei soldi gettati dalla finestra e dei bonus è finita e non tornerà fin quando ci saremo noi al governo”, ha puntualizzato Meloni nel corso del Cdm. “Tutte le risorse disponibili devono a mio avviso – ha aggiunto la premier – continuare a essere concentrate nel sostegno alle imprese che assumono e che creano posti di lavoro, e per rafforzare il potere di acquisto delle famiglie, con la solita attenzione particolare a quelle con bambini”.

Altra questione spinosa e urgente le nomine Rai, mentre a proposito dei Balneari l’esecutivo sembra faticare a trovare una quadra e del decreto salva-infrazioni con le prime norme per determinare un ordine nel settore se ne discuterà nei prossimi giorni. Premierato, Giustizia e Autonomia sono le altre sfide attese in Parlamento, che si accinge a riprendere le proprie attività dopo la pausa estiva.

Balneari e nomine Rai rischiano di slittare oltre metà settembre, manca anche l’accordo con le opposizioni, indispensabile per il voto in Vigilanza. Ci sono poi le pensioni e la questione della cittadinanza, su cui FI conferma l’intenzione di presentare una proposta organica. Ed ancora le Regionali, con la maggioranza che prepara una serie di sondaggi sulla candidatura migliore per la Liguria, e il governo che “raccomanda” alle Regioni un election day autunnale.

“Concentrate tutte le risorse sulle misure indispensabili”: è in definitiva il monito di Palazzo Chigi a proposito della manovra. Per aumentare le pensioni minime servono circa 2 miliardi. Altre risorse sarebbero necessarie per riaprire gli scivoli pensionistici, portare la flat tax a 100 mila euro, concedere nuove agevolazioni alle imprese, ridurre l’Irpef anche al ceto medio (servono 4 miliardi) e confermare alcune misure del 2024. Servirebbero circa 50 miliardi per fare tutto ciò e tutti questi soldi non ci sono.

Nello specifico, il rifinanziamento del cuneo fiscale anche per il 2025, per i dipendenti sotto i 35 mila euro, e gli sgravi Irpef sui redditi più bassi rappresentano delle priorità e servono circa 11 miliardi di euro per poterle concretizzare. Una proroga prevista per ora per 12 mesi. Molto dipenderà dal gettito fiscale di inizio settembre grazie all’emergere di un tesoretto, iniziando dalle spese fiscali che dovrebbero generare un paio di miliardi fin da subito. Una parte consistente dell’extragettito dovrebbe essere strutturale e potrebbe servire per misure strutturali. Con eventuali risorse in più il governo potrebbe decidere di anticipare parte delle spese previste per il prossimo anno come accadde l’anno scorso con un decreto a dicembre concedendo aumenti salariali ai dipendenti pubblici e concretizzando il conguaglio delle pensioni. Si tratta però solo di ipotesi per ora.

Forza Italia chiede con decisione l’adeguamento delle minime oltre alla rivalutazione per l’inflazione che quest’anno risulta essere piuttosto bassa (è già stato corrisposto un anticipo del 5,4%). La Lega preme a sua volta sulla flessibilità dei requisiti per poter accedere alle pensioni rigettando eventuali ipotesi di stretta come l’allargamento delle finestre per l’uscita dal mondo del lavoro.

Smentito inoltre l’annullamento dell’Assegno unico per i figli che potrebbe però subire una riarticolazione e potrebbero essere esclusi i redditi più elevati; si esclude anche l’estensione del bonus agli immigrati. Il costo dell’Assegno unico è di circa 20 miliardi. Una gestione oculata delle risorse a disposizione è comunque d’obbligo anche perché il sentiero è stretto e la necessità di alleggerire il debito pubblico – che sta per raggiungere l’emblematica cifra di 3 mila miliardi – sempre impellente.

Messe a punto le indicazioni della maggioranza, il ministro dell’Economia definirà quindi il Piano di Bilancio per i prossimi sei sette anni e su di esso si strutturerà la prossima manovra. Il Programma strutturale di bilancio (Psb) dovrà essere varato intorno al 10 settembre, essere inviato al Parlamento per il parere e il 20 settembre essere trasmesso a Bruxelles. Camera e Senato avranno quindi una decina di giorni per approvare la risoluzione del Piano. La data del 20 settembre non è comunque un ultimatum e potrebbe anche slittare ma per ora il nostro Paese non prevede di chiedere un eventuale rinvio. Il 13 e il 14 settembre il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti sarà inoltre a Budapest per partecipare alla riunione informale dei ministri Ecofin e dove avrà anche un primo confronto con la Commissione e i partner sul Piano.

Il Psb modifica in sostanza procedure e strumenti della sessione di bilancio che si conclude con il varo della legge di Bilancio. Per anni il documento sul quale basarsi per definire gli spazi della manovra è stato il Dpef sostituito in seguito con il Def (ad aprile) e la Nadef (a settembre) destinati a sparire. L’obiettivo per il deficit resterà implicito e non verrà per nulla definito dal Programma strutturale di bilancio sulla base del quale verrà invece strutturato un target di riduzione di spesa.

Il “piano fiscale strutturale” dell’Italia atteso a Bruxelles entro il 20 settembre sarà in sostanza il nuovo formato della legge di Bilancio per il 2025. Un progetto di sei sette anni che va oltre il termine dell’attuale legislatura e per cui il Governo intende coinvolgere anche l’Ufficio parlamentare di bilancio e le parti sociali; non si tratta di passaggi obbligatori ma Palazzo Chigi opterà di farli proprio perché il Piano abbraccia un orizzonte temporale piuttosto vasto, che si estende oltre il tempo dell’attuale esecutivo, ed inoltre il Piano potrà essere modificato solo in circostanze particolari. Attraverso il Psb l’esecutivo mira a risanare i conti e attuare interventi mirati sull’economia reale. In pratica d’ora in avanti i Paesi dell’area euro non potranno limitarsi a mettere in evidenza obiettivi di deficit o debito. Cambierà inoltre anche la natura dei documenti di bilancio e molto probabilmente sarà opportuna una norma per definirli. Il Psb sarà strutturato nello specifico sulla base di una determinata traiettoria della spesa pubblica e non del deficit programmatico come è accaduto fino ad oggi. Il deficit sarà implicito e occorrerà garantire comunque la sua riduzione.

Nella pratica non sarà più sufficiente indicare obiettivi di deficit e di debito e occorrerà definire quale dovrà essere la strategia di crescita dopo la fine del Piano nazionale di ripresa e resilienza, fra meno di due anni. Il confronto tra Commissione europea e ministero dell’Economia, anche nel corso dei mesi estivi dopo la procedura per deficit eccessivo scattata a luglio, ha portato per l’appunto a pensare di strutturare un piano distribuito nell’arco di sette anni che al risanamento dei conti unisca una lista di riforme per supportare la crescita – come tra l’altro prevedono le nuove regole – invece di una correzione aggressiva su quattro anni fondata esclusivamente su interventi di finanza pubblica. In definitiva l’Italia accetta una correzione del deficit di circa 13 miliardi l’anno fino al 2031 cercando di limitare l’aumento del volume in euro della spesa pubblica al di sotto dell’1,6% in media annua. Tra le “raccomandazioni” che la Commissione ha rivolto all’Italia a giugno emerge la razionalizzazione degli sgravi e delle esenzioni fiscali per cui i partiti della maggioranza devono necessariamente trovare un accordo.

Di certo c’è urgente bisogno di una strategia di crescita. Il nostro Paese pur essendo tornato a crescere affronta una crescita lenta che fatica a superare l’1%, anche in questo 2024 in cui gli sforzi sul Pnrr sono al massimo e sussiste ancora un’ottima spinta da parte del Superbonus. In questo contesto Giorgetti mira a far approvare a fine settembre al Parlamento un documento di circa trenta pagine in cui sono illustrate misure strutturali sulle quali impegnarsi, a partire dalla maggioranza. I tecnici di via XX Settembre ribadiscono comunque a Bruxelles che la strategia di crescita non dipende solo dai calcoli ministeriali. La Commissione, a sua volta, “raccomanda” all’Italia di finanziare anche gli sgravi sul lavoro aggiornando i valori catastali; creare una maggiore concorrenza nelle professioni e nel commercio al dettaglio; studiare una strategia contro il declino demografico. Tutti elementi il cui compimento non si esaurisce per l’appunto con l’inserimento tecnico all’interno di un formulario ministeriale da destinare all’Unione europea.

Infine fumata bianca, peraltro unanime, per Raffaele Fitto, indicato come candidato italiano per il ruolo di Commissario europeo chiamato a rappresentare l’Italia. Si attende la ratifica europea ma a meno di clamorosi colpi di scena Fitto prenderà il posto di Paolo Gentiloni (che fu nominato dal governo Conte bis come frutto dell’accordo politico con il Pd), e durerà in carica per cinque anni. “Sono pronto a dare il mio contributo per raggiungere gli obiettivi che ci poniamo”, è stato il primo commento di Fitto.

“È una scelta dolorosa per me, credo anche per lui, e per il governo, ma è una scelta necessaria”, ha affermato Giorgia Meloni, illustrando la designazione di Raffaele Fitto in Cdm, auspicando nel contempo un atteggiamento di responsabilità da parte di tutte le forze politiche a favore del Paese Italia, superando ogni divisione per mettere al primo posto gli interessi nazionali da difendere a Bruxelles. La partita a Bruxelles non è chiusa ma il governo italiano insiste inoltre per una vicepresidenza esecutiva, in quanto “nazione fondatrice, seconda manifattura e terza economia europea, terzo Stato membro per popolazione, con primati in tantissimi campi”. Infine, sottolineano da Palazzo Chigi, il nostro Paese “oggi può contare anche su una ritrovata stabilità politica e una solidità economica che pochi altri hanno nel resto d’Europa”.

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