UE, popolazione sempre più anziana

L’Unione Europea sta affrontando una trasformazione demografica senza precedenti: la popolazione sta invecchiando a un ritmo sempre più rapido. Questo fenomeno, noto come “ingrigimento” della popolazione, ha profonde implicazioni sociali, economiche e politiche per tutti i Paesi membri. Il numero medio di figli per donna è in costante calo in molti Paesi europei, ben al di sotto del tasso di rimpiazzo del 2,1 necessario per mantenere stabile la popolazione.

Grazie ai progressi della medicina e alle migliori condizioni di vita, le persone vivono sempre più a lungo e l’invecchiamento della popolazione rappresenta una sfida complessa che richiede un approccio multidisciplinare e una collaborazione a livello europeo. Le proiezioni indicano che entro il 2100 1 europeo su 3 avrà 65 anni o più, sottolineando la necessità di affrontare le varie conseguenze di questo cambiamento demografico. La popolazione dell’Ue, che all’inizio di quest’anno superava di poco i 448 milioni di persone, dovrebbe raggiungere il suo picco intorno al 2026 e poi diminuire gradualmente, perdendo 57,4 milioni di persone in età lavorativa entro il 2100. Tuttavia, questa sfida può anche essere vista come un’opportunità per ripensare i nostri sistemi sociali ed economici e costruire una società più inclusiva e sostenibile per tutte le generazioni.

Le migrazioni legali aiutano, ma non sono sufficienti a contribuire e mitigare gli effetti dell’invecchiamento in modo efficace, in molti casi non sono sufficienti a compensare il calo delle nascite. Un numero crescente di pensionati e un numero decrescente di lavoratori in età attiva mettono sotto pressione i sistemi pensionistici, rendendoli meno sostenibili nel lungo termine. La diminuzione della forza lavoro potrebbe portare a una carenza di manodopera in alcuni settori, rallentando la crescita economica e aumentando il rapporto tra persone in età lavorativa e persone non più in età lavorativa, con conseguenti impatti sulla sostenibilità dei sistemi di welfare.

L’invecchiamento della popolazione modifica la struttura sociale, con un aumento del numero di anziani e una diminuzione del numero di giovani. Questo può avere un impatto sulla cultura, sui consumi e sulle dinamiche familiari. L’aumento della domanda di servizi sanitari per gli anziani richiede maggiori investimenti nel settore e una riorganizzazione dei sistemi di cura. Con l’invecchiamento della popolazione si rendono necessari investimenti nell’assistenza sanitaria, sviluppando servizi di assistenza domiciliare, promuovendo l’invecchiamento attivo e supportando la ricerca biomedica. Si dovrebbero adottare una serie di misure come incentivare la natalità attraverso misure quali i congedi parentali più lunghi, asili nido accessibili e sostegno economico alle famiglie. Sarebbe sicuramente utile promuovere la formazione continua per permettere agli anziani di rimanere attivi sul mercato del lavoro più a lungo.

Per la sostenibilità economica del sistema è necessario dismettere le varie quote introdotte negli ultimi anni a puri scopi propagandistici, aumentando eventualmente l’età pensionabile, introducendo sistemi pensionistici a capitalizzazione e incentivando l’occupazione degli anziani. Tutto questo non dovrebbe ricadere economicamente sui cittadini che accedono alla quiescenza, come invece il governo in carica sta perseguendo da tre anni con la riduzione dell’indicizzazione. Questo sistema, che era stato riportato alla piena copertura da Draghi, serve a pareggiare – in parte, visto che opera ex-post – gli effetti dell’inflazione a danno di una categoria come i pensionati che non godono di rinnovi contrattuali. Complessivamente tale voce di spesa è pari a oltre il 10% del Pil europeo, ed è in aumento da anni e nel corso di un decennio è aumentata del 34,8%, anche se il suo rapporto con il prodotto interno lordo è rimasto stabile.

L’Italia è il primo paese in Europa per spesa per anziani in rapporto al Pil (13,7%). Seguono Finlandia, Austria e Francia (sopra il 13%). Ultima invece l’Irlanda (3,1%). Tre paesi dell’Europa orientale (Romania, Bulgaria e Lituania) hanno invece visto l’aumento più pronunciato tra 2013 e 2022: in dieci anni, la spesa è più che raddoppiata. Solo in Grecia si è verificato un calo, benché lieve: -3,3%. Mentre l’Italia è, dopo la Svezia, lo stato membro che ha visto l’incremento più contenuto: +19,1% in un decennio. Nel nostro paese questa voce di spesa ammonta a più di 266 miliardi di euro, pari al 24,4% della spesa totale. In Finlandia, la quota supera il 25%.

Dubravka Šuica, vicepresidente della Commissione responsabile per la Democrazia e la Demografia, ha dichiarato: “Ogni Stato ha le proprie sfide da affrontare, nei Paesi Bassi, la sfida principale è rappresentata dalla densità abitativa e dalla popolazione, mentre in alcune regioni della Spagna è il declino demografico. In Italia, il problema principale è il calo delle nascite, insieme all’invecchiamento della popolazione. La Grecia è lo Stato membro con il più rapido invecchiamento, la Croazia è alle prese con l’emigrazione dei più giovani“.

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