Camera di Consiglio
LA FUNZIONE COMPENSATIVA DELL’ASSEGNO DIVORZILE – Il caso in esame tra origine dalla sentenza di scioglimento del matrimonio tra due coniugi, in virtù della quale i Giudici di merito avevano stabilito a carico dell’uomo, oltre al contributo al mantenimento per la figlia minore, anche il pagamento della somma di euro 800,00 mensili a favore dell’ex moglie a titolo di assegno divorzile.
L’uomo proponeva ricorso, ma la Corte d’Appello lo rigettava ed il caso veniva radicato avanti alla Corte di Cassazione sulla base di vari motivi di censura. In particolare, l’uomo si doleva del fatto che, a suo dire, non vi fossero motivi affinché l’ex moglie ottenesse l’assegno divorzile, assumendo che i Giudici di merito fossero in un evidente errore di valutazione ed interpretazione delle prove dedotte dalla medesima. Secondo il ricorrente, infatti, alla donna non sarebbe spettato l’assegno divorzile nella sua componente “compensativa” non avendo l’ex moglie fornito prova alcuna del fatto di aver sacrificato la propria vita professionale per agevolare l’attività del marito in ragione della scelta maturata all’esito del matrimonio e condivisa di dedicarsi alla famiglia.
La Corte riteneva il ricorso inammissibile. Invero, dal quadro probatorio emerso in sede di merito, emergeva chiaramente che durante i 25 anni di matrimonio, l’uomo aveva aperto una clinica veterinaria con una collega per dedicarsi alla propria attività lavorativa, mentre la donna, anch’essa medico veterinario, aveva iniziato il praticantato presso altra clinica ma, per agevolare l’attività professionale del marito, si era trasferiva a vivere presso l’abitazione del marito lasciando il lavoro, per cercarlo in luogo diverso dalla clinica del marito (per volontà del medesimo, circostanza mai contestata). Poco dopo le nozze, la donna rimaneva incinta dei due figli della coppia e per volontà condivisa con il marito, lasciava il proprio lavoro per dedicarsi integralmente alla famiglia, così “contribuendo nei 25 anni di vita matrimoniale a soddisfarne i bisogni con il suo lavoro di casalinga e vivendo interamente mantenuta dal marito circostanza sulla quale non è stato documento il contrario”.
Quest’ultima, dunque, con il proprio lavoro casalingo apportava un grande contributo economico al marito, aiutandolo nei risparmi che le avevano permesso l’acquisto della clinica ove quest’ultimo svolgeva la professione e rinunciando addirittura ai canoni di locazione maturati dal 1994 al 2016, anch’esse circostanze mai contestate.
Alla luce di ciò, la Suprema Corte sanciva che l’assegno divorzile dovesse spettare alla donna non in funzione assistenziale, “bensì in funzione perequativa-compensativa proprio per le scelte operate dalla stessa durante il matrimonio, avendo sacrificato la sua attività di veterinario iniziata a novembre 2015 solo a seguito della separazione”, richiamando granitica giurisprudenza, secondo la quale: “La funzione equilibratrice del reddito degli ex coniugi, anch’essa assegnata dal legislatore all’assegno divorzile, non è finalizzata alla ricostituzione del tenore di vita endoconiugale, ma al riconoscimento del ruolo e del contributo fornito dall’ex coniuge economicamente più debole alla formazione del patrimonio della famiglia e di quello personale degli ex coniugi”.
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