Cronache dai Palazzi

Una manovra per famiglie con un eventuale un rafforzamento dell’Assegno unico. Il piano allo studio di via XX Settembre mira a potenziare gli aiuti alla natalità ricevendo anche il beneplacito delle opposizioni. Non ci si limiterà alle detrazioni fiscali in quanto sarebbero esclusi i contribuenti incapienti che avendo poche o zero imposte da pagare non usufruirebbero di eventuali benefici. L’Assegno unico istituito due anni fa aveva per l’appunto l’obiettivo di includere diverse situazioni, spazzò via le detrazioni per i figli fino a 21 anni e i vecchi assegni familiari appannaggio esclusivo per i lavoratori dipendenti del valore di circa 4,7 miliardi di euro. Ora l’ipotesi è potenziare l’Assegno unico garantendo un bonus che va da 2.100 a 600 euro per il primo figlio minorenne e variabile tra 1.020 e 180 euro per i figli successivi. Tale bonus potrebbe essere finanziato con una nuova stretta sulle detrazioni.

Il ministro dell’Economia propone inoltre un “cap”, ossia un tetto massimo alle spese che possono essere portate in dichiarazione dei redditi per ridurre le imposte. Il tetto sarà articolato in base al reddito e al numero dei figli. Per Giorgetti e il governo il sostegno alla natalità, nello specifico, è un pilastro fondamentale per l’equilibrio a medio termine e nella riunione informale dei ministri delle Finanze di Budapest si discuterà anche di “impatto del cambiamento demografico sulla sostenibilità del debito dei Paesi”, attraverso un ampio dibattito contemporaneo. A proposito di figli il bonus mamme potrebbe essere esteso anche alle Partite Iva, un bonus contributivo per le lavoratrici madri con almeno due figli sotto i 10 anni. La misura prevista per il 2024 era destinata esclusivamente alle lavoratrici dipendenti ed era solo per un anno.

Il suddetto “cap” alle detrazioni fiscali, ipotizzato dal ministro dell’Economia, favorirebbe nel contempo di controllare in maniera più oculata la spesa pubblica. Dopo l’esperienza del Superbonus, una valanga incontrollabile, ogni incentivo fiscale e ogni forma di spesa devono fondarsi su risorse certe. La manovra potrebbe inoltre comprendere anche i bonus per le ristrutturazioni edilizie che devono essere riordinati tenendo presente la Direttiva Ue Case Green. Tra i diversi provvedimenti vi è anche il rinnovo del taglio del cuneo fiscale per i redditi fino ai 35 mila euro e si cercano risorse per supportare il ceto medio ossia la fascia tra i 35 mila e i 60 mila euro. Per le imprese che assumono, anche per il 2025, è confermata la super deduzione al 120% dei contributi sulle nuove assunzioni a tempo indeterminato. Dubbi invece per quanto riguarda un eventuale ampliamento della flat tax per gli autonomi. In questo contesto la Lega vorrebbe portare il tetto oltre gli 85 mila euro ma le risorse non sono sufficienti.

Nel frattempo il Mef prosegue il proprio lavoro di simulazioni e valutazioni a proposito della manovra. Le detrazioni fiscali valgono nello specifico 80 miliardi di euro l’anno e secondo l’Ufficio Parlamentare di Bilancio il 50 per cento dei contribuenti meno abbienti beneficia di appena il 15 per cento del totale delle detrazioni, mentre la platea dei più ricchi, circa il 10 per cento, gode del 26 per cento delle detrazioni totali.

A proposito di pensioni il governo cerca risorse e decide di intervenire nuovamente. È molto probabile che l’esecutivo metta in atto un taglio di un miliardo di euro per quanto riguarda le pensioni degli italiani. Una “strategia” già usata lo scorso anno che ha previsto la sottrazione di 10 miliardi nel 2023, dovuto al minore adeguamento all’inflazione previsto dalla legge di Bilancio approvata a fine dello scorso anno. Ecco cosa cambia. Sarebbe tramontata Quota 41 e potrebbero arrivare delle modifiche su Quota 103 eventualmente rimodulata con finestre di uscita prolungate.

In definitiva siamo all’alba di una nuova era per quanto riguarda i diritti e la parità di genere a partire dal mondo del lavoro. “La gente che paga le donne meno degli uomini per fare lo stesso lavoro, sa che sta andando contro la Costituzione?”, afferma l’ex presidente del Consiglio Mario Draghi intervistato dal direttore del Corriere della Sera Luciano Fontana nel corso dell’evento “Al tempo delle donne”. Nel suo Rapporto sulla competitività, con le proposte per tentare di rilanciare l’Ue, si chiede all’Europa “se vuole essere padrona del suo destino oppure no?”.

Su tale Rapporto sulla competitività le istituzioni auspicano di costruire le nuove politiche dell’Unione. “L’idea è nata tre anni fa, su un panorama che è cambiato. Un continente che ha basato la sua crescita sull’export e ha investito poco in infrastrutture trascurando la domanda interna”, spiega Mario Draghi. L’Europa è composta da circa 400 milioni di persone “divise in tanti piccoli mercatini” nazionali, un assetto complesso che non agevola la crescita in generale e la crescita delle imprese in particolare. Anche per quanto riguarda il mondo dell’Università e della Ricerca, per cui l’Europa detiene un livello “di prim’ordine”, “mancano grandi aggregazioni tra Università, Centri di ricerca e industria” Un’altra domanda di Draghi: “Come mai il 40% delle imprese europee è andato negli Stati Uniti?”

Occorrerebbe inoltre essere indipendenti dagli altri colossi mondiali su vari fronti “ma per questo bisogna avere una comunità di vedute. Se si guardano i governi la visione è scoraggiante, anche perché sono deboli”, ammonisce Draghi. In questo contesto i “Trattati intergovernativi” possono essere un valido strumento quando si tratta di prendere decisioni tra i 27, per esempio a proposito di investimenti, si legge nel Rapporto. Ma, in concreto, gli 800 miliardi che servirebbero per decollare dove si possono attingere? “Noi risparmiamo tanto, più degli americani, ma bisogna fare in modo che il mercato del capitale sia integrato. Sono cifre gigantesche ma realistiche, sono state fatte simulazioni dal Fondo monetario e dalla Commissione. Il risultato è che si può fare. Il paragone con il Piano Marshall è per dare l’idea della grandezza”. Si può fare ma “bisogna farlo con un debito comune, altrimenti è un peso troppo alto per i singoli Paesi. E sarebbe un disastro”. L’Italia lo sa bene.

L’Europa è un cantiere complesso ma è anche un bel giardino, “fuori dal quale però c’è la giungla e non è che le liane della giungla non si infilino”. L’Unione del Vecchio continente non è comunque un traguardo non raggiungibile, utopico, bensì “un fatto da coltivare”. La strategia vincente è coniugare concretezza e visione.

Per quanto riguarda l’Italia a proposito di parità di genere il differenziale di partecipazione al mondo del lavoro sfiora il 20 per cento, un dato non trascurabile (in negativo). In definitiva, però, “la parità non si fa per decreto, ma bisogna costruire le condizioni”, ribadisce Draghi. “Creare il tempo per la donna perché possa lavorare, se non c’è l’asilo nido, ad esempio, quel tempo non ce l’ha”. La frase “mi va in maternità” raccoglie molti pregiudizi “consci e inconsci”, come li definisce l’ex premier e puntualizza: “Non so se le persone sanno che se pagano meno le donne vanno contro la Costituzione”.

La questione delle quote non deve essere infine una forma di vantaggio, esse rappresentano bensì uno strumento come ve ne sono tanti altri destinati tra l’altro a soggetti diversi. In pratica “le quote hanno a che fare con la differenza dei livelli di partenza. Avere le quote non significa far emergere donne non qualificate, ma far emergere donne qualificate che altrimenti non avrebbero quell’occasione”. Occorre un cambiamento culturale dato che “il modo di vedere il mondo del lavoro (e non solo ndr) al maschile c’è da secoli”. In questo contesto “bisogna fare molto di più”.

Le donne, a loro volta, devono essere consapevoli di “quello che non va” ma con “la speranza che migliori”. Ed ancora, mai rinunciare a “parlare per farsi sentire, per proporsi, per affermarsi. Non tenersi le cose dentro”. Come l’ha definita la presidente della Bce Christine Lagarde, l’analisi sull’Europa di Mario Draghi è “dura, ma giusta”, vengono illustrate e indicate “proposte concrete per le riforme strutturali” finalizzate a “rafforzare l’Europa” e, nel contempo, si potrebbero rivelare “molto utili” per la Bce per “ottenere risultati migliori con la politica monetaria”. Lagarde definisce infine “complementari” i Rapporti di Mario Draghi e di Enrico Letta in quanto entrambi illustrano Politiche strutturali tra cui l’Unione dei mercati dei capitali, riguardo alla quale la Banca centrale europea “ha una forte visione”.

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