Camera di Consiglio

TESTAMENTO OLOGRAFO, INTERPRETAZIONE E CONDIZIONI – Il caso in esame trae origine dalla stesura da parte del de cuius di un testamento olografo (ossia scritto di suo pugno), con il quale esprimeva la volontà di lasciare tutto quanto in suo possesso ai due nipoti, a condizione che costoro si impegnassero ad accudirlo sino alla fine dei suoi giorni.

Nel merito veniva escluso che il predetto testamento costituisse un “patto successorio”, vietato ex lege, e che lo stesso fosse viziato da errore, violenza o dolo. In primo grado, il Giudice adito dagli altri coeredi, esclusi dalla successione, decideva che l’impegno per l’accudimento rappresentasse un mero desiderio del testatore, privo di qualsivoglia condizione. Invero, il de cuius aveva rifiutato categoricamente di trasferirsi nel paese natio e di essere accudito dai nipoti, facendo venir meno qualsivoglia condizione.

In sede di Appello, tuttavia, veniva parzialmente modificata tale decisione: in particolare, per il Giudice di secondo grado, doveva escludersi che il testatore volesse esprimere un mero desiderio, trattandosi invece di una condizione sospensiva, divenuta impossibile per successivo fermo volere dello stesso disponente.

Il caso arrivava avanti alla Corte di Cassazione tramite ricorso da parte di tutti gli altri coeredi, i quali deducevano, in particolare, la violazione dell’art. 1362 c.c. (id est i principi che governano l’interpretazione del contratto) e dell’art. 1359 c.c., secondo il quale “La condizione si considera avverata qualora sia mancata per causa imputabile alla parte che aveva interesse contrario all’avveramento di essa”.

Circa il primo motivo di censura, la Suprema Corte affermava come non avesse alcun senso, dal punto di vista giuridico, disquisire se la prestazione richiesta fosse condizione o meno, poiché venuta meno per il comportamento del de cuius medesimo, anche alla luce del fatto che il testamento consiste in un negozio giuridico unilaterale (ossia non richiedente una pluralità di parti per la sua costituzione).

Anche il secondo motivo di censura veniva dichiarato inammissibile. Secondo la Suprema Corte il richiamo a tale normativa non poteva ritenersi condivisibile poiché l’istituto della condizione regola i rapporti fra le parti di un contratto “così da impedire che la parte che resterebbe favorita dal non avveramento, si adoperi, ai danni dell’altra parte, perché ciò avvenga”.

Ancora una volta, si ribadiva come la natura di negozio giuridico unilaterale del testamento rendesse impraticabile l’estensione della predetta regola (relativa al contratto, che è negozio giuridico bilaterale, richiedente, per il proprio perfezionamento, il consenso di più parti).

In ogni caso, era necessario, secondo la Cassazione, preservare la volontà del testatore, principio immanente per l’interpretazione del testamento, a meno che le presenti non fossero impossibili, contrarie a norme imperative, all’ordine pubblico o al buon costume, così come nel caso in esame. Pertanto, i ricorrenti venivano condannati alla rifusione delle spese di lite a favore dei nipoti designati unici eredi dal testatore.

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