Le due facce di Rio

Rio de Janeiro è una città bellissima. La natura è rigogliosa le spiagge sono bianche e molto grandi; le colline prepotenti e maestose danno un colpo d’occhio irripetibile. I suoi abitanti sono gentili, sorridenti e pronti ad esserti utili se chiedi loro un’informazione. E poi c’è il cibo (non sono riuscita a capire cosa sto mangiando) e tanta ottima frutta e naturalmente la caipirinha. Il traffico incasinato ha un suo ordine interno fatto di sorpassi estremi e lisci al millesimo. Poi, protagonisti indiscussi, ci sono le brasiliane. Espongono con naturalezza sederi importanti e oscillanti più o meno coperti, accompagnando passi di danza con bellissimi sorrisi. Molte, moltissime sovrappeso ma non si può dire altrimenti è body shaming.

Poi c’è l’altra faccia della medaglia, la favelas. La più grande quella di Rocinha. Una vera baraccopoli. Con un problema drammatico come una situazione sanitaria al limite dell’umano. L’abusivismo sconfinato ha creato l’habitat ideale per la propagazione di malattie tra cui la tubercolosi. Le strade molto strette, la mancanza di luce nelle strade e lo scarico delle acque reflue all’aria aperta hanno creato le giuste condizioni per la propagazione della tubercolosi, ma anche del colera e della meningite.

In quel contesto allucinante si danno battaglia due clan rivali che non sono altro che differenti cartelli della droga. Non è insolito incontrare giovanissimi armati fino ai denti aggirarsi tra bimbetti che vanno a scuola e donne che si fanno le unghie.

Se l’inferno esiste è come Rocinha. E i bravi timorati di dio si voltano dall’altra parte. Anche la statua del Cristo li ignora. Un posto dove ogni diritto è calpestato e dove futuro è solo una parola.

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