Camera di Consiglio

ASSEGNO DI MANTENIMENTO DEI FIGLI MAGGIORENNI – Con una recentissima sentenza, n. 24391/2024, depositata a settembre, la Corte di Cassazione è tornata sul diritto al mantenimento del figlio maggiorenne. Se è vero che da una parte, per i figli vi è il diritto di essere educati, mantenuti, istruiti dai genitori secondo le proprie aspirazioni e capacità; d’altra parte, il diritto all’essere mantenuti non può esistere “sempre e per sempre”.  Come noto, il problema fondamentale è quello di determinare quando un figlio possa definirsi economicamente autosufficiente. Secondo il Codice Civile, il figlio non autonomo “può” essere destinatario di un assegno periodico da parte del genitore. Tale decisone è rimessa al Giudice, che dovrà vagliare ogni caso concreto; tuttavia, non è tollerato dall’Ordinamento che i figli giungano ad una sorta di parassitismo nei confronti dei genitori, che saranno sempre più anziani.

Già nel 2020 la Suprema Corte aveva sancito che, a differenza del passato, il riferimento per ritenere il figlio autosufficiente dal punto di vista economico non poteva più rappresentare la sua capacità di provvedere a sé stesso con appropriata collocazione nel corpo sociale, alla luce del peggioramento della situazione del mercato del lavoro, sempre più precario. Pertanto, anche l’età avanzata del figlio avrebbe potuto divenire un criterio determinante. Ritenere che un figlio abbia diritto ad un impiego all’altezza della sua professionalità ed idoneo allo stesso tempo a garantire una appropriata collocazione nel contesto economico-sociale di riferimento, adeguato alle sue aspirazioni può valere in un mondo ideale.

Nel caso di specie, un padre si rivolgeva alla autorità competenti per chiedere la revoca dell’assegno di mantenimento per i figli maggiorenni e il Giudice di merito gli dava ragione,  evidenziando come la figlia a distanza di 2 anni dal conseguimento della maturità, nel 2018, si era iscritta in vari corsi di laurea in Germania, senza dare alcun esame se non una prova scritta in un seminario, poco prima del termine del procedimento di primo grado, e che il secondo figlio aveva appena concluso, con un ritardo di 3 anni, la scuola professionale e che, come apprendista, aveva comunque lavorato e conseguito un proprio reddito, seppur modesto.  In entrambi i casi, dunque, ad opinione della Corte di merito, mancava la prova dell’impegno e del successo nello svolgimento del percorso formativo/professionale, per cui la Corte ha ritenuto insussistente l’obbligo di mantenimento in capo al padre.

La madre ricorreva per Cassazione, sulla base di vari motivi di censura, e la Suprema Corte le dava parzialmente ragione. Secondo la Corte Nomofilattica, infatti, se, dunque, il figlio è neomaggiorenne e prosegue nell’ordinario percorso di studi superiori o universitari o di specializzazione, già questa circostanza è di per sé idonea a fondare il suo diritto al mantenimento. Viceversa, per il “figlio adulto” in ragione dell’oramai granitico “principio di autoresponsabilità”, sarà particolarmente rigorosa la prova a carico del medesimo delle circostanze, oggettive ed esterne, che rendano giustificato il mancato conseguimento di una autonoma collocazione. Rappresentava la Corte che, tuttavia, è sempre necessario ed imprescindibile tenere conto della situazione personale e familiare dei figli, della loro personalità, delle comprovate attitudini e aspirazioni – proprio alla luce delle loro attuali esigenze, ai sensi dell’art. 337 ter, comma 4, c.c. – che hanno la massima rilevanza quando, come nel caso in esame, si tratta di giovani che hanno da poco raggiunto la maggiore età e vanno via via lasciando il posto al principio di autoresponsabilità con il passare del tempo.

Non avendo la Corte di merito effettuato tale valutazione in concreto e nell’attualità e non aveva tenuto conto della giovanissima età dei figli al momento della presentazione del ricorso, oltre ad ulteriori e comprovati concreti impegni da parte dei figli, diversamente da quanto prospettato dal padre.

Pertanto, il principio di autoresponsabilità va sempre valutato caso per caso, tenendo, altresì conto, dell’impegno profuso nella scuola e nel lavoro e delle capacità ed inclinazioni dei figli.

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