C’eravamo tanto amati (Film, 1974)

Ettore Scola (1931-2016) è stato tra i registi della migliore commedia all’italiana, erede di molte tematiche neorealiste che supera in un discorso filmico originale. Nasce come sceneggiatore di commedie, debutta alla regia con Se permette parliamo di donne (1964) interpretata da Vittorio Gassman, ma il suo tratto d’autore va ricercato nella critica di costume con i meccanismi della commedia. Film come Riusciranno i nostri eroi a ritrovare l’amico misteriosamente scomparso in Africa? (1968), Il commissario Pepe (1968) e Dramma della gelosia, tutti i particolari in cronaca (1969).

C’eravamo tanto amati (1974) è uno dei suoi migliori lavori, soffuso di malinconica ironia, attraverso le vite incrociate di tre personaggi innamorati della stessa donna racconta trent’anni di storia italiana, rappresenta il crollo delle ideologie e rende omaggio al cinema italiano. C’eravamo tanto amati va oltre la commedia all’italiana e compone un affresco mirabile che mette al centro il sentimento del tempo che passa analizzando gli ideali traditi. Il film è scritto e sceneggiato dal regista con la collaborazione di Age (Agenore Incrocci) e Furio Scarpelli, il montaggio è dell’esperto Raimondo Crociani, mentre la fotografia è di Claudio Cirillo. Armando Trovajoli compone una delle sue migliori colonne sonore, soffusa di malinconia e nostalgia del passato, tra pezzi d’epoca che ricordano la storia musicale italiana.

La pellicola ha subito un’operazione di restauro con la collaborazione del regista ed è considerata un documento di interesse nazionale, perché in poco meno di due ore compone un quadro dei principali eventi della storia italiana dal 1944 al 1974. Si comincia con la guerra partigiana che ci fa conoscere i tre amici interpretati da Nino Manfredi, Stefanio Satta Flores e Vittorio Gassman, legati per la vita da un’importante esperienza di lotta. “Volevamo cambiare il mondo, invece il mondo ha cambiato noi”, è la malinconica espressione di Gassman, al tavolo di una trattoria, nella rimpatriata con i vecchi compagni. “La nostra generazione ha fatto veramente schifo. Era meglio morire sui monti. Noi lottavamo per creare una società più giusta…”, conclude.

Stefania Sandrelli è la donna contesa tra Manfredi, Gassman e Satta Flores, infine moglie soddisfatta di Manfredi, consapevole di aver vissuto cercando di trovare la sua strada. Gassman è l’arrivista arricchito che sposa senza amore la figlia (Giovanna Ralli) di un imprenditore nostalgico fascista (un grande Aldo Fabrizi) per costruirsi una posizione. Alla fine, sarà il più povero di tutti, perché resterà solo con l’odiato suocero, dopo la morte della moglie in un incidente, abbandonato dai figli, a ricordare un grande amore non colto per inseguire la ricchezza. Satta Flores è l’intellettuale idealista che perde l’occasione della sua vita a Lascia o Raddoppia, abbandona la famiglia e vive da solo a Roma dove campa scrivendo sotto pseudonimo critiche cinematografiche. Manfredi è il poveraccio del gruppo, idealista ignorante ma sincero, capace di perdonare e di mollare tutto per amore, senza tradire le sue idee.

Ettore Scola racconta sentimenti e lotta politica, vita quotidiana e grandi temi, piccole cose, amori perduti, rimpianti, sotterfugi, arrivismo e idealismo, senza retorica ma con sentimento. Il regista segue le vite parallele dei tre amici che a volte si intersecano, raccontando i punti salienti della storia d’Italia: referendum tra monarchia e repubblica, prime elezioni repubblicane, il boom e gli imprenditori di pochi scrupoli, referendum sul divorzio.

Eccellenti le parti oniriche e lo stratagemma teatrale di mettere in primo piano il personaggio, come se fosse sotto la luce dei riflettori, quando racconta la sua versione della storia. Stupenda la scena centrale realizzata in piano sequenza per immortalare i protagonisti che prendono ognuno la loro strada. Suggestiva l’idea di raccontare il passato in bianco e nero e di far tornare il colore quando il regista narra i tempi moderni e l’Italia del boom dei primi anni Sessanta. Alcuni personaggi interpretano loro stessi, come Mike Bongiorno, che finge di presentare la popolare trasmissione Lascia o raddoppia, ma anche Federico Fellini, Marcello Mastroianni, Anita Ekberg e Vittorio De Sica regalano un piacevole cammeo. Un altro momento di cinema nel cinema vede la Sandrelli abbandonare la carriera di attrice e impiegarsi come maschera in un cinema: Manfredi è in sala e guarda la pellicola, ma i personaggi raccontano la loro storia d’amore.

C’eravamo tanto amati è un film cinefilo, perché attraverso il personaggio di Stefano Satta Flores il regista cita capolavori come Ladri di biciclette (1948) di Vittorio De Sica, ma anche frasi storiche come “I panni sporchi si lavano in famiglia”, pronunciate da Andreotti per condannare il neorealismo. Un’altra parte vede Satta Flores raccontare per immagini La corazzata Potëmkin (1926) di Sergej M. Ejzenštejn e provare empiricamente alcune sequenze mentre Stefania Sandrelli ascolta affascinata. La dolce vita (1960) di Federico Fellini è citata in diretta, perché una breve parte del film si svolge sul finto set mentre il regista gira la scena del bagno di Anita Ekberg e Marcello Mastroianni nella Fontana di Trevi. Giovanna Ralli cita il cinema di Michelangelo Antonioni e soprattutto L’avventura (1960) con il suo personaggio di donna alla ricerca di sé stessa.

Un film da recuperare per capire la società italiana e i suoi vizi di fondo, sorridendo dei nostri stessi difetti. Ettore Scola, in una intervista rilasciata ad Alain Elkann per La Stampa disse: “I film ai quali mi sento più affezionato sono: C’eravamo tanto amati, La famiglia, Una giornata particolare, Ballando ballando, un malloppo compatto, come se avessi fatto un solo film, temi a me cari costantemente cambiati, perfezionati e ambientati in epoche diverse”.

Ettore Scola è stato un regista che difficilmente ha sbagliato un film e quando è uscito con una nuova opera ha avuto sempre qualcosa da dire. Sono ottimi anche Brutti, sporchi e cattivi (1976), sgradevole e cinica operazione per presentare i problemi degli immigrati, La terrazza (1980), che segna la fine della commedia all’italiana, e Passione d’amore (1981), insolito film in costume per raccontare una storia di emarginazione. Il capolavoro di Ettore Scola resta Una giornata particolare (1977), una superba interpretazione di Marcello Mastroianni e Sophia Loren in un dramma psicologico consumato durante un breve incontro nel giorno della visita di Hitler a Roma. Sono interessanti alcuni film successivi sulla realtà italiana come Maccheroni (1985), amara riflessione sull’amicizia, La famiglia (1987), racconto di ottant’anni di storia privata, Che ora è (1989), sulla difficoltà di comunicare tra padre e figlio, e Mario, Maria e Mario (1993), storia pubblica e privata ai tempi della fine del partito comunista. Tra gli ultimi lavori va citato La cena (1998), pellicola girata in un’unità di tempo e di luogo per raccontare diverse esistenze prese a simbolo della realtà contemporanea. Gente di Roma (2003) è il suo ultimo film, girato in digitale e visto da pochi, ma non è all’altezza di tanti lavori precedenti, anche se si sforza di raccontare la società multietnica.

Ettore Scola si segnala come regista impegnato e animato da una sincera coscienza civile che realizza cinema da metabolizzare e riflettere per comprendere la nostra storia. Il regista lascia il mondo del cinema nel 2011: “A ottant’anni sono stanco del cinema, ma soprattutto non mi riconosco più in certe logiche produttive. Mi manca tutto del mio cinema, dagli attori come Sordi, Manfredi, Gassman, Tognazzi che erano anche autori, a sceneggiatori come Age, Scarpelli e Sergio Amidei. Adesso che sono vecchio vorrei fare qualcosa di inutile ma di importante in favore del cinema, magari andare in una cittadina dove venti persone manifestano perché non chiuda l’unico cinema destinato a diventare un supermercato. Non immaginavo la vecchiaia in un Paese così scempiato e allo stremo, ma spero molto nei giovani che da qualche tempo stanno dando iniezioni di vitalità e motivo di resistere anche ai vecchi”. (da La Stampa del 22 aprile 2011, intervista rilasciata ad Alain Elkann).

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[NdR – L’autore dell’articolo ha un suo blog La Cineteca di Caino”]

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