Cronache dai Palazzi

Con 99 voti favorevoli, 65 contrari e 1 astenuto il Senato ha approvato in via definitiva il decreto sui flussi migratori. Il provvedimento aveva superato l’esame della Camera lo scorso 27 novembre; contestato, già bocciato dal Csm e sotto osservazione da parte della Corte di cassazione, in attesa delle decisioni europee.

Il decreto Flussi elenca i cosiddetti “Paesi sicuri”, tra cui Bangladesh, Egitto e Marocco verso i quali è previsto il rimpatrio di migranti irregolari; per quanto riguarda la convalida del trattamento dei richiedenti asilo la competenza è ora delle Corti d’Appello e non più dei Tribunali speciali; prevista infine la secretazione dei contratti pubblici di fornitura di mezzi e materiali per il controllo delle frontiere e delle attività di soccorso in mare.

In sostanza il decreto Flussi è l’atto governativo che di anno in anno stabilisce il numero massimo di cittadini stranieri (le cosiddette quote) che provengono dai Paesi extra Ue e, ogni dodici mesi, arrivano in Italia per lavorare. Nel 2024 i Paesi previsti sono stati identificati come i Paesi sicuri e i trattenimenti in Albania rappresenterebbero la soluzione per gestire i flussi migratori. Aggiornato anche il numero degli ingressi dei lavoratori stagionali.

Al centro dell’attenzione proprio i centri di permanenza in Albania bocciati dalle sezioni speciali per l’immigrazione dei tribunali, un nodo da sciogliere e intorno al quale c’è scontro. Il Csm ha a sua volta espresso un parere negativo (non vincolante) al ministro della Giustizia per quanto riguarda una dovuta responsabilità che provocherebbe “allungamento dei tempi nelle Corti d’appello, e dunque mancato raggiungimento degli obiettivi fissati dal Pnrr, e rischio che a giudicare siano magistrati privi delle competenze necessarie”. Inoltre con il provvedimento in questione “si incrina il consolidato assetto giurisdizionale in tema di convalida dei trattenimenti”.

Secondo le opposizioni il decreto Flussi “è già azzoppato” dopo il giudizio del Csm. La maggioranza, invece, va avanti per la sua strada convinta delle azioni in Albania e sul fatto di dover trovare una soluzione per arrestare gli sbarchi.

Per ora è comunque tutto fermo, in attesa del giudizio della Corte di Giustizia dell’Unione europea e per quanto riguarda la definizione di Paesi sicuri il pg della Cassazione ha chiesto di sospendere il giudizio dei Supremi giudici. Situazione confermata anche dal ministro dell’Interno, Matteo Piantedosi, che spiega: “Gli 880 posti in Albania sono un’opportunità e i centri riducono le spese di gestione dell’accoglienza, nel 2023 circa due miliardi di euro. Siamo a lavoro per mettere a punto soluzioni in grado di superare gli ostacoli incontrati e di consentire la piena funzionalità, consapevoli della complessità di una operazione che presenta profili inediti”.

In questo contesto “attendiamo le decisioni della Cassazione e della Corte di Giustizia Ue confidando che si possa trovare una composizione giuridica nel quadro normativo di riferimento”, ha aggiunto il ministro dell’Interno. Le Ong non sono sulla stessa lunghezza d’onda: “Il vero obiettivo del provvedimento è limitare e ostacolare la presenza delle navi umanitarie e arrivare ad un piano di definitivo abbandono del Mediterraneo”. Dura anche la posizione della Cei: “Una legge che segnala la volontà non di tutelare, ma di respingere i richiedenti asilo: un grave passo indietro della nostra democrazia”, ha ammonito il presidente della Commissione sull’immigrazione monsignor Gian Carlo Perego.

Altro tasto dolente l’Autonomia differenziata. La sentenza della Consulta non riscrive l’elenco delle materie che si possono trasferire alle Regioni ma interpreta l’articolo 116 della Costituzione, mettendo in evidenza che il “regionalismo differenziato”, o “regionalismo asimmetrico” – che consente ad alcune Regioni di dotarsi di poteri diversi dalle altre – non può incidere su materie e funzioni unitarie in quanto competenza Ue o in quanto costituzionalmente competenze dello Stato. Come emerge dal testo riformato nel 2001, tra l’altro in un periodo di piena espansione dell’Unione europea, tra le materie costituzionalmente garantite vi sono scuola, ambiente, trasporti e commercio estero. L’istruzione è tra i nodi da sciogliere: le norme generali devono essere le stesse su tutto il territorio in quanto la formazione risulta “intimamente connessa al mantenimento dell’identità nazionale”, e quindi deve essere uniforme in tutte le Regioni. La tutela dell’ambiente è a sua volta normata dall’Unione europea. Il commercio con l’estero, invece, sarebbe competenza dell’Ue. Porti, aeroporti e grandi reti di trasporto sono, infine, parti di un sistema “euronazionale” che dispone dei finanziamenti provenienti da Bruxelles.

I giudici rivedono anche l’essenziale ruolo del Parlamento esaltandone la funzione e privilegiando la sede parlamentare rispetto a quella governativa. La Corte costituzionale, che il 14 novembre scorso è intervenuta chiedendo di correggere ben sette punti del testo, mette inoltre in chiaro che le leggi che dovrebbero conferire ulteriori funzioni alle Regioni dovranno essere emendabili. I Lep (Livelli essenziali di prestazione), in particolare, non si possono strutturare partendo da deleghe in bianco e rappresentano molto di più di una garanzia minima essendo definiti, per l’appunto, “essenziali”. L’analisi della Corte ridimensiona infine le materie non Lep per le quali la devoluzione di funzioni può avvenire senza aver prima definito i Livelli essenziali ma, ovviamente, devono essere tali per cui non incidano sui diritti. La Corte tiene conto anche dell’aspetto finanziario e, in particolare, del principio dell’equilibrio di bilancio dal quale le Regioni che conseguono uno stato di autonomia differenziata non possono ritenersi esonerate, al contrario. In pratica il concorso agli obiettivi di finanza pubblica non può essere ritenuto facoltativo.

In definitiva la legge Calderoli dovrà essere corretta in Aula, ad esempio dovranno essere definiti per via legislativa i limiti ai trasferimenti. La sentenza della Corte ha messo in evidenza delle mancanze che dovranno essere colmate e la legge va quindi rivista per poter essere applicata.

Il referendum abrogativo, infine, rimane una questione controversa. Stando a ciò che è stato stabilito dalla Consulta, la Cassazione dovrà valutare se il referendum richiesto risulta superato, se i principi ispiratori e i contenuti normativi essenziali sono mutati. Qualora non lo fosse la Consulta dovrà decidere riguardo all’ammissibilità dei quesiti e decidere per il giudizio di legittimità.

In ultima istanza Palazzo Chigi ha accolto il vicepresidente esecutivo della Commissione europea appena eletto, Raffaele Fitto, con delega alla Coesione e alle riforme. Ricevuto in precedenza al Quirinale, Fitto ha condiviso anche con la premier Meloni le “sfide future” della nuova legislatura guidata da Ursula von der Leyen, in particolare le riforme e gli investimenti per rilanciare la crescita dell’Europa dei 27. La presidente del Consiglio ha ribadito “il contributo pragmatico dell’Italia” che comunque non esiterà ad intervenire affinché le scelte di Bruxelles “non finiscano per penalizzare i cittadini”. Al centro del dibattito vi è anche la questione delle spese militari dato che il nostro Paese (insieme ad altri cinque) risulta essere in coda alla classifica europea. Il 2% del Pil da spendere per la Difesa è ancora un traguardo da raggiungere, molto probabilmente entro il 2028.

“Non ci si è resi conto della gravità dei tempi in cui viviamo e della necessità di aumentare gli investimenti nella Difesa”, ha affermato il ministro della Difesa, Guido Crosetto, lamentando la “traiettoria decrescente” della spesa militare nella nuova manovra economica. “Il Parlamento mi ha messo a disposizione, finora, con la Finanziaria, l’1,57% del Pil. Tutti i governi sono impegnati ad arrivare al 2% entro il 2028”, ha sottolineato Crosetto ammonendo: “Non posso che manifestare la mia preoccupazione per la possibilità di arrivare a quel risultato, se non cambieremo le regole europee”.

Sul fronte europeo il Patto di Stabilità risulta la solita nota dolente. Come ha rimarcato anche il ministro degli Esteri Antonio Tajani, il governo italiano chiede alla Commissione Ue di poter scorporare le spese militari dal calcolo del deficit; in sostanza per raggiungere l’obiettivo del 2% sarebbero necessari dieci miliardi l’anno. Allo stato attuale, però, “non c’è un piano concreto della Commissione per riaprire il quadro attuale”, ha sottolineato il commissario europeo per l’Economia, Valdis Dombrovskis, gelando le aspettative italiane a proposito dell’eventuale scorporo delle spese per la Difesa dalle regole di bilancio appena riformate.

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