I moderni roghi di libri

In una delle tante versioni che narrano la distruzione della Biblioteca di Alessandria, si racconta che il califfo Omar, interrogato sul destino di quel patrimonio immenso, avrebbe risposto che, se i libri contenevano le stesse verità del Corano erano inutili, e se invece se ne discostavano erano pericolosi. È probabile che sia solo una leggenda, e che la Biblioteca sia stata distrutta da un incendio, ma questa storia è diventata un monito eterno contro la follia di chi teme il sapere. Non è difficile ritrovare quella mentalità oggi, anche se sotto nuove spoglie: non sono più i despoti in armi a decidere cosa possiamo leggere, ma i sacerdoti moderni del politicamente corretto, pronti a incendiare – metaforicamente – ciò che non rientra nei loro dogmi.

In Florida, per esempio, il puritanesimo woke ha portato alla rimozione di migliaia di libri dalle biblioteche scolastiche. I bersagli? Tutto ciò che non si conforma a una visione univoca: dai grandi classici come 1984 di Orwell e Anna Karenina di Tolstoj, ai testi che esplorano la diversità e l’identità. Ogni giustificazione si rifugia nella tutela dei giovani, ma viene da chiedersi: stiamo davvero proteggendoli, o li stiamo privando della capacità di pensare? È ironico che opere come 1984, scritte proprio per denunciare i pericoli della censura e del pensiero unico, siano finite nella lista dei proibiti.

Ma non serve guardare oltreoceano per vedere episodi di autolesionismo culturale. In Italia, una scuola ha deciso di esentare alcuni studenti musulmani dallo studio di Dante Alighieri, ritenendo che alcuni passaggi della Divina Commedia fossero offensivi per la loro fede. Una scelta che tradisce non solo Dante, che è un pilastro della nostra identità culturale, ma anche gli stessi studenti, privandoli di un’occasione di confronto e di arricchimento. La cultura non è mai monologo, è dialogo: nasce dallo scontro di idee, dalle differenze che si incontrano e si interrogano a vicenda.

E non ci accontentiamo più di riscrivere la storia, vogliamo anche proibire i suoi simboli. C’è chi propone di bannare Shakespeare perché “machista” e “oppressivo”, come se le opere che hanno formato la cultura occidentale dovessero passare al setaccio dei nostri sensibili tempi. Ma non ci fermiamo lì: la Capanna dello zio Tom, considerata un’opera che perpetua stereotipi razzisti, è ormai sotto accusa, così come altri capolavori che, pur appartenendo alla nostra storia, non sono più in linea con le sensibilità del giorno d’oggi. L’obiettivo è cancellare dal nostro immaginario i grandi scrittori, i film che raccontano il passato, e le statue che li celebrano. La statua di Cristoforo Colombo? Offensiva per chi ha scelto di riscrivere la storia degli indigeni. Quella di Giorgio Washington? Un simbolo di schiavitù. E non parliamo dei classici del cinema, da Via col vento che oggi vengono rimossi per il loro “contenuto problematico”. In nome della purificazione ideologica, sembra che l’unica via sia quella di vivere in una realtà parallela, dove il passato non ha diritto di esistere, a meno che non sia conforme alle ideologie contemporanee della minoranza di moda del momento.

Se leggessimo il Mein Kampf, probabilmente non ripeteremmo gli errori tragici che quell’ideologia ha generato. Studiarlo non significa condividerne i contenuti, ma comprendere come si possa arrivare a giustificare l’indicibile. Allo stesso modo, leggere Dante non dovrebbe essere motivo di esclusione, ma un’occasione per allargare gli orizzonti di tutti, senza che nessuno si senta attaccato. Come possiamo davvero crescere se eliminiamo tutto ciò che potrebbe turbare la nostra sensibilità o contraddire le nostre convinzioni?

La cultura non è un terreno sterile dove tutto deve essere comodo e rassicurante: è un campo arato dal confronto, spesso duro, ma necessario. Bruciare simbolicamente i libri, che si tratti di Dante o di Hemingway, significa incendiare anche le basi su cui si costruisce una società libera e consapevole. Se la storia ci ha insegnato qualcosa, è che i roghi, fisici o metaforici, non distruggono solo i libri, ma le menti.

Resta una domanda: cancellando il passato, che cosa ci rimarrà? Un vuoto? Una neutralità che ci impedisce di affrontare le contraddizioni della storia? Sarebbe più saggio riflettere su ciò che i grandi autori e le opere ci dicono, contestualizzando le loro contraddizioni, piuttosto che eliminarle, e non certo una “politically correctness” che riscrive a piacimento le intenzioni degli autori.

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