Berlinguer, un successo della DC
Ogni tifoso di una squadra di calcio sarebbe ben felice sapere che l’acerrima rivale ha scelto e mantiene in carica un allenatore perdente; il paragone calcistico sembra calzare a pennello per descrivere la vicenda politica di Enrico Berlinguer ultimamente ricordato in un film.
Dal 1972 al 1984, Berlinguer è stato il volto del Partito Comunista Italiano, il simbolo di un’opposizione rigorosa e morale alla Democrazia Cristiana. Durante il suo mandato, ha affrontato cinque tornate elettorali — dal 1968 al 1983 — senza mai riuscire a portare il PCI al governo, mantenendo la posizione di forza di opposizione. Un leader sicuramente carismatico e rispettato, ma che, nel confronto con la DC, ha raccolto una serie di sconfitte che hanno segnato non solo la sua carriera politica, ma anche la storia del Paese.
Tutte le elezioni politiche del periodo in cui Berlinguer guidò il PCI raccontano un fenomeno singolare: il partito non raggiunse mai un consenso che gli permettesse di governare, ma non scese mai al di sotto della soglia del 25%, con un picco storico del 34,4% nelle elezioni del 1976.
Berlinguer ereditò una situazione che sembrava cristallizzata: la Democrazia Cristiana aveva stabilito un dominio quasi inossidabile sulle istituzioni italiane. Eppure, il suo approccio non fu mai passivo. Lanciò l’idea del compromesso storico, un tentativo di collaborazione tra le due grandi anime popolari del Paese, quella cattolica e quella comunista, per affrontare le emergenze nazionali.
Diamo atto che durante la sua segreteria il Partito Comunista Italiano si trovò a fronteggiare una delle stagioni più oscure della storia repubblicana: quella del terrorismo. Gli anni di piombo non furono solo un attacco allo Stato, ma anche una sfida al PCI, messo in difficoltà dal terrorismo di matrice comunista che pretendeva di agire in nome di un’ideologia vicina a quella del principale partito di opposizione ancorché distorta. La definizione delle BR come “Compagni che sbagliano” è uno dei casi più gravi di fuoco amico che, verosimilmente, contribuì a alienare molti consensi.
Berlinguer si trovò a camminare su un filo sottile. Da un lato, doveva difendere l’identità del partito come forza democratica e riformista, nettamente contraria alla violenza; dall’altro, doveva affrontare il sospetto che settori radicali della sinistra extraparlamentare potessero trovare ispirazione nel linguaggio e nei simboli di una sinistra rivoluzionaria. Berlinguer fu categorico: nessuna indulgenza verso il terrorismo, nessuna possibilità di giustificazione per chi metteva bombe, sequestrava e uccideva.
Il rifiuto del terrorismo si legava anche a un altro tema cruciale: la necessità di un’autonomia ideologica rispetto al modello sovietico. Berlinguer, con la sua idea di Eurocomunismo, cercò di distanziare il PCI dalle derive autoritarie e violente che caratterizzavano i regimi comunisti dell’Est. Il suo celebre discorso sulla “questione morale” metteva in evidenza l’esigenza di un rinnovamento etico della politica, in netta contrapposizione con i metodi del terrorismo e del totalitarismo.
Berlinguer rimane una figura centrale della storia italiana, il leader che riuscì a portare il comunismo italiano oltre le sue contraddizioni. Ma, ironia della sorte, la sua battaglia per un’Italia più giusta e morale finì per lasciare intatto quel sistema di potere democristiano che voleva abbattere. E in questo, il miglior successo della DC fu proprio lui: un avversario troppo rispettabile per essere temuto davvero, troppo grande per essere ignorato, ma mai abbastanza per abbattere il vecchio ordine. Forse, in un altro contesto, Berlinguer avrebbe potuto guidare un cambiamento, ma alla fine divenne il miglior alleato di un sistema che sembrava eterno.
Ma, oltre alle sconfitte elettorali, Berlinguer era segretario anche quando avvenne un episodio la cui importanza viene troppo sottovalutata e che è, probabilmente, il primo grande segnale del crollo del PCI in Italia e del segno di un cambiamento che si stava preparando: la Marcia dei quarantamila a Torino nel 1980.
Avrebbe dovuto cogliere in quell’evento l’occasione per un cambio radicale delle politiche del PCI e appoggiare i ceti medi invece di difendere i sindacati e, con loro, un’ideologia che dieci anni dopo venne travolta pesantemente. Un errore che la sinistra continua a fare oggi.
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