Un quarto di secolo dalla morte di Craxi
Bettino Craxi morì il 19 gennaio 2000 ad Hammamet, Tunisia, lontano dalla sua terra, che lo aveva prima osannato come il leader di una nuova Italia e poi abbandonato come un paria. Se ne andò con un filo di voce, ma con la dignità di chi si è sempre rifiutato di chiedere perdono, convinto, fino all’ultimo respiro, di essere stato vittima di un processo politico e non solo giudiziario.
Nato nel 1934, Benedetto Craxi iniziò la sua carriera politica tra le fila del Partito Socialista Italiano negli anni ’50, distinguendosi per il suo pragmatismo e la capacità di leggere i cambiamenti della società. Dopo aver scalato i ranghi del partito, divenne segretario del PSI nel 1976, in un momento di crisi per la sinistra italiana e riuscì a traghettare il partito verso una nuova stagione, abbandonando le posizioni più ideologiche per abbracciare una visione più moderna e riformista, che lo rese un attore centrale nel panorama politico della Prima Repubblica.
Durante il sequestro di Aldo Moro nel 1978, Craxi pur non facendo parte direttamente delle istituzioni governative, espresse posizioni che rimasero controverse. Fu tra i pochi a sostenere l’ipotesi di una trattativa con le Brigate Rosse per salvare la vita dello statista democristiano, ponendosi in netto contrasto con la linea dura adottata dalla maggioranza delle forze politiche.
Nel 1983, raggiunse l’apice della sua carriera politica, diventando il primo socialista a ricoprire l’incarico di Presidente del Consiglio. Il suo governo segnò un cambiamento di stile e di sostanza nella politica italiana: sotto la sua guida, l’Italia conobbe una crescita economica e un rafforzamento della presenza internazionale, ma iniziò anche a mostrare i segni di quelle contraddizioni che avrebbero poi caratterizzato la sua parabola discendente.
I suoi governi, tra il 1983 e il 1987, furono un periodo di luci e ombre nella storia politica italiana. Craxi governò con un’alleanza di centro-sinistra, segnando un cambiamento rispetto alla lunga dominazione democristiana. Fu sotto la sua guida che l’Italia conobbe una modernizzazione economica e un periodo di relativa stabilità politica, raramente osservata nella Prima Repubblica. La sua decisione di introdurre il “decreto di San Valentino” del 1984, che tagliava la scala mobile per combattere l’inflazione, rappresentò una svolta epocale, ma suscitò un’opposizione feroce da parte del Partito Comunista Italiano e dei sindacati.
Il Craxi statista incarnava pienamente l’edonismo reganiano che caratterizzava gli anni ’80: ottimismo, consumismo, decisionismo tatcheriano e un’immagine di successo che si rifletteva anche nelle relazioni internazionali. Fu durante il suo governo che l’Italia rafforzò la sua posizione in Europa e si distinse nella scena globale, come dimostrò la gestione della crisi di Sigonella nel 1985, in cui Craxi difese con fermezza la sovranità italiana di fronte alle pressioni degli Stati Uniti.
Tuttavia, l’avvento del crollo del comunismo segnò un cambiamento epocale che avrebbe ridefinito gli equilibri politici italiani. I comunisti italiani, ancora legati a schemi ideologici ormai superati, non riuscirono a comprendere né ad adattarsi al cambiamento portato da Craxi, rimanendo prigionieri di un’ostilità che li rese incapaci di dialogare con un leader che avrebbe potuto essere un alleato nella costruzione di una nuova sinistra moderna. Invece, preferirono ostacolarlo, senza rendersi conto che stavano affossando non solo il leader socialista, ma anche un’opportunità per il loro stesso rinnovamento. Questa incomprensione, unita alle lotte intestine della politica italiana, pose le basi per la fine di Craxi e per il tramonto della Prima Repubblica
Fu, in ogni caso, l’uomo che incarnò, forse più di tutti, gli eccessi della politica dell’epoca. I conti segreti, le tangenti, quella Milano da bere che brillava troppo per non nascondere un’ombra. Quando il castello di carte della Prima Repubblica crollò, fu lui a pagare il conto più salato, trasformandosi nel capro espiatorio di un sistema che tutti avevano alimentato e di cui tutti erano complici.
Craxi morì in esilio, ma non fu mai un esule qualunque. La sua Hammamet non era solo un luogo geografico, ma un simbolo, un confine morale che l’Italia non seppe attraversare. I detrattori lo chiamarono ladro, i suoi fedelissimi lo definirono un profeta incompreso.
E oggi, mentre guardiamo alle macerie della politica odierna, ci chiediamo se Craxi fosse davvero il mostro che tanti dipinsero o solo un uomo del suo tempo, capace di cavalcarne le onde e vittima dei suoi naufragi. Forse, come accade con molti grandi protagonisti della storia, la verità si nasconde nel mezzo. Quello che è certo, però, è che Craxi non chiese mai pietà. E l’Italia, fino ad oggi, non è mai stata capace di riconciliarsi con il suo fantasma.
Un fantasma che, a distanza di anni, non smette di parlarci, ricordandoci che la politica è sempre stata il terreno fertile per le grandi ambizioni e i grandi tradimenti.
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