Popolo, piazza con “monnezza”
«Quando a Roma si varca la porta del Popolo e si arriva nell’omonima piazza, ci si pone una domanda: ho forse sbagliato città? Sono forse a Marrakech o a Il Cairo? O forse al mercato di Portobello a Londra?
Oppure ho fatto un salto nel passato? Nella Roma papalina che vedeva la piazza luogo di giochi, fiere, spettacoli per il popolo (da qui partiva la corsa dei “berberi” durante il carnevale) e anche di esecuzioni capitali. Ora tutto è tornato come prima con l’aggravante della globalizzazione. Si trovano appassionati percussori di latte, di coperchi e di pentole; soffiatori di bolle giganti che, con lunghi bastoni rendono la piazza un’anticamera di un pronto soccorso ortopedico; falsi fachiri indiani immobili su trespoli camuffati: sembrano meditare invece ronfano per riprendersi dal viaggio in Metro dalla periferia più periferica al cuore della città.
“FELICI FAUSTOQUE INGRESSUI MDCLV”, per un ingresso felice e fausto, una scritta incisa in occasione dell’arrivo a Roma di Cristina di Svezia, accoglie i visitatori che giungono dal nord attraversando la facciata interna della porta opera del Bernini.
Sui leoni del Valadier che fanno la guardia alla fontana, frotte di ridenti turisti si fanno fotografare a cavalcioni, felici della preda tra le loro inutili gambe; e nessuno, dico nessuno, che li inviti a scendere o che li frusti per vilipendio a opera d’arte.
Una volta, prima del sindaco invisibile, c’erano dei ragazzi che facevano un po’ di guardia e che stavano attenti al decoro. Ora è un luogo ideale per mangiatori di kebab e di gruppi di scolari in gita. Qualcuno più audace lascia anche traccia di sé con il pennarello. Un qualunque Charles è stato qui.
L’obelisco egizio di Ramesse II, dopo i fasti del passato, malinconico guarda tutta questa umanità variopinta farsi gioco della storia; i venditori di rose usano le vasche come rinfrescatoi per i loro prodotti e in caso di estate torride, anche per un veloce bidè. La piazza è degna di paesi magrebini; nell’aria anche l’odore dei loro cibi. Poi, come non bastasse, si affacciano i cercatori di firma contro la droga o i salvatori delle balene antartiche che, sorridenti e giovani cercano di salvare il mondo. Ma prima dei cetacei proverei a salvare la piazza. All’imbrunire invece escono i musicisti; il rocchettaro che suona come uno dei Kiss; il nostalgico centenario che sciorina tutto il repertorio di Venditti; il clone di Jackson che si agita come una marionetta rotta.
Un disagio emotivo ti prende e non ti lascia più. L’incuria è sovrana, il menefreghismo dilaga. Anche i migliori turisti del nord Europa, quelli abituati alle regole, arrivati qui si siedono sui leoni, mangiano hamburger e gettano le carte in terra.
Non c’è più salvezza, si può confidare solo sull’ira divina; la parola civiltà è declinata solo verso quelle antiche, scomparse. Sulla porta leverei la scritta di benvenuto e scriverei: benvenuti a Piazza dei Popolino, quello che un grande Alberto Sordi una volta apostrofò come Monnezza!»
©Futuro Europa®
Un Commento
… quando l’aspirante sindaco motteggiava “cambiamo tutto”: intendeva forse mettere l’esponente allo squallore dilagante per farne un apoteosi di squallore emergente? O forse, ha solo smesso di aspirare? Com’è, come non è: mancano solo le vacche al pascolo e le scimmie col piattino per l’elemosina agli incantatori di serpenti… Voglio un sindaco della famiglia Asburgo Lorena, un Hohenstaufen… anche un Papa Re saprebbe fare, al caos.