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Cronache dai Palazzi

Via libera al decreto bollette. Risorse per un trimestre divise equamente tra famiglie e imprese per garantire “un sostegno concreto”. Un meccanismo a scaglioni dovrebbe favorire le famiglie con fasce Isee più basse che riceveranno quindi un aiuto più consistente.

Il decreto bollette è stato approvato dal Consiglio dei ministri venerdì 28 febbraio; un vertice di governo ha sciolto gli ultimi nodi e preso le decisioni politiche, mettendo sul tavolo circa 3 miliardi per fronteggiare l’emergenza del caro-energia. Il governo intende estendere la platea del bonus sociale bollette, alzando la soglia Isee a 25mila euro, per garantire più risorse ai più vulnerabili, “un contributo che andrà a valere sulle bollette, sostanzialmente concentrate temporalmente nel prossimo trimestre”, ha affermato il ministro dell’Economia Giorgetti specificando che il tutto avvenga “nell’auspicio, che peraltro è dimostrato dall’andamento dei prezzi di mercato, che i prezzi dell’energia e del gas si riducano per situazioni di vario ordine e tipo”. Risorse attinte dalla Cassa Servizi Energetici e Ambientali tenendo nel contempo sotto controllo l’indebitamento e il deficit.

I 3 miliardi sono divisi in maniera equa tra famiglie e imprese. Come ha spiegato il ministro Giorgetti il decreto si compone di due parti “una parte contingente per la situazione di eccezionale tensione sui prezzi dell’energia, e quindi sulle bollette, e una parte di interventi strutturali. Le misure adottate complessivamente valgono circa 3 miliardi, ripartite per circa 1.600.000.000 sulle famiglie e 1.400.000.000 sul sistema delle imprese”.

L’esecutivo ha inoltre approvato “un altro importante provvedimento per garantire energia sicura, pulita, a basso costo, capace di assicurare sicurezza energetica e indipendenza strategica all’Italia. Parlo ovviamente dell’energia nucleare sulla quale ora chiediamo al Parlamento di esprimersi”, ha specificato la premier Giorgia Meloni illustrando in un videomessaggio i provvedimenti approvati in Cdm: decreto bollette e legge delega sul nucleare. “Siamo intervenuti per dare una risposta immediata alla necessità del momento, ma abbiamo anche deciso di guardare al futuro con scelte di lungo periodo, perché è questo quello che serve all’Italia: scelte coraggiose e strutturali. È l’impegno che abbiamo assunto con gli italiani ed è l’impegno che intendiamo rispettare”, ha affermato la presidente del Consiglio.

“È un ddl delega che prevede, nei 12 mesi successivi all’approvazione da parte del Parlamento, che venga attuato con gli atti conseguenti normativi. È una completa rottura rispetto alle esperienze precedenti: guardiamo a fusione e a fissione di nuova generazione con strumenti completamente diversi rispetto alle grandi centrali”, ha spiegato il ministro dell’Ambiente e della Sicurezza energetica Gilberto Pichetto Fratin, con l’auspicio di garantire alle future generazioni “energia più pulita, economica e sicura per un’Italia che vuole crescere ed essere più competitiva”. Si tratta di “un progetto ambizioso su cui siamo aperti a confrontarci con tutti coloro che, al di là di ogni impostazione ideologica, hanno davvero a cuore il futuro, la sicurezza e la crescita del Paese”, ha puntualizzato il ministro dell’Ambiente.

Tale provvedimento a favore dell’ambiente ha come obiettivo il raggiungimento dei ‘target’ di decarbonizzazione e sicurezza energetica, come sono delineati dal Piano Nazionale Integrato Energia e Clima, con il contributo di una innovativa fonte di energia, caratterizzata per essere ‘green’, programmabile e continua. Contenere i costi energetici e nel contempo rafforzare la competitività del sistema, in sostanza assicurare energia sufficiente a prezzi accessibili, è ciò che il nuovo nucleare dovrà assicurare.

La delega prevede che entro 12 mesi dall’entrata in vigore il Governo adotti una serie di decreti legislativi, “recanti la disciplina per la produzione di energia da fonte nucleare sostenibile sul territorio nazionale, anche ai fini della produzione di idrogeno, la disattivazione e lo smantellamento degli impianti esistenti, la gestione dei rifiuti radioattivi e del combustibile nucleare esaurito, la ricerca, lo sviluppo e l’utilizzo dell’energia da fusione, nonché la riorganizzazione delle competenze e delle funzioni in materia”. Sperimentazione, localizzazione, costruzione ed esercizio dei nuovi moduli, questo è ciò che prevede il ddl delega sul nucleare. In una prospettiva di economia circolare si dovrà intervenire anche sulla disattivazione lo smantellamento degli impianti esistenti, la gestione dei rifiuti e del combustibile esaurito, la ricerca, lo sviluppo e l’utilizzo dell’energia da fusione, la riorganizzazione di competenze e funzioni, anche con l’istituzione di una Autorità indipendente per sicurezza, vigilanza e controllo. La delega servirà anche a prevedere strumenti formativi e informativi, formare nuovi tecnici e figure professionali del settore, individuare benefici per i territori interessati.

“Questa è una giornata storica per l’Italia”, ha affermato il vicepremier Tajani spiegando che “con l’approvazione della legge delega sul nuovo nucleare comincia un percorso, in Parlamento e nel Paese, verso il futuro energetico sostenibile”. Antonio Tajani nello specifico afferma: “Chiedo agli italiani di guardare a questo provvedimento con uno spirito propositivo e non pregiudiziale: di fronte non c’è il vecchio nucleare del passato, ma una fonte innovativa, pulita e sicura”.

Alla luce degli ultimi fatti si prevede anche un incremento delle spese per la Difesa, una decisione che attraversa la stessa Unione europea, allargandosi al Regno Unito. L’obiettivo di fondo è fronteggiare la situazione ucraina per garantire “una pace giusta e duratura”, come ha ribadito la premier Meloni, a difesa dei pilastri della civiltà occidentale. “Ogni divisione dell’Occidente ci rende tutti più deboli e favorisce chi vorrebbe vedere il declino della nostra civiltà. Non del suo potere o della sua influenza, ma dei principi che l’hanno fondata, primo fra tutti la libertà. Una divisione non converrebbe a nessuno”, dichiara Palazzo Chigi. Di conseguenza si rende “necessario un immediato vertice tra Stati Uniti, Stati europei e alleati per parlare in modo franco di come intendiamo affrontare le grandi sfide di oggi, a partire dall’Ucraina, che insieme abbiamo difeso in questi anni, e di quelle che saremo chiamati ad affrontare in futuro”. È questa la proposta che il nostro Paese intende fare ai suoi partner nelle prossime ore alla luce del vertice di Londra di domenica 2 marzo.

“La discussione a livello europeo, a livello Nato, è una discussione molto accesa con punti di vista molto diversi e quindi dobbiamo andare al tavolo negoziale consapevoli della situazione e delle possibili evoluzioni di quello che potrebbe essere conveniente anche per il nostro Paese, per come è fatto il nostro bilancio. Quando discutiamo di un aumento delle spese per la difesa io ho sicuramente un contraccolpo sul mio bilancio ma vorrei avere anche un’evidenza di quello che può derivarne in termini di crescita economica”, ha puntualizzato il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti, aggiungendo: “Si parla moltissimo della riconversione dell’automotive al sistema di difesa, non si può ignorare che la spesa per la difesa e gli investimenti della difesa hanno anche una ricaduta in termini di crescita economica. Questo è l’elemento da cui devo partire per quanto riguarda gli interessi del mio Ministero”. Immaginando un vero e proprio “Recovery Plan per la difesa” il ministro dell’Economia sottolinea che “aumentare la spesa per la difesa deve essere un obiettivo teso a rilanciare l’industria e la crescita”. Nella pratica “se ogni Paese inizia a muoversi autonomamente aumenteranno inevitabilmente i costi per lo Stato in modo irrazionale”. Un piano di Difesa comune prevederebbe 30 mila peacekeeper europei dispiegati in territorio ucraino per garantire la sicurezza dopo il cessate il fuoco, con gli Stati Uniti che dovrebbero garantire il loro scudo.

Un nuovo piano per una Difesa comune sarà al centro del Consiglio straordinario che si terrà il 6 marzo a Bruxelles ma se ne discuterà già a Londra da Keir Starmer. Il premier inglese accoglierà i principali leader Ue tra cui la premier Meloni, che ha sottolineato “gli sforzi che tutti insieme stiamo portando avanti per gettare le basi di una pace giusta e duratura in Ucraina”. La pace, ha spiegato Meloni, è “un obiettivo che per noi è possibile da raggiungere solamente se a Kiev verranno fornite adeguate garanzie di sicurezza. Per essere certi che quello che abbiamo visto in questi tre anni non accada di nuovo e per essere certi che anche le nazioni europee che più si sentono minacciate possano invece sentirsi al sicuro”. I leader europei dovranno comunque confrontarsi in primo luogo a proposito della cornice all’interno della quale muoversi ed operare, cornice che per l’Italia rimane sempre e comunque il contesto dell’Alleanza Atlantica.

In definitiva l’Ue è pronta a “garantire” la pace e, dopo l’incontro con il premier inglese a Londra, giovedì 6 marzo i capi di Stato e di governo dei Ventisette si riuniranno a Bruxelles per un vertice straordinario proprio per approfondire la questione di una Difesa comune e analizzare quale strategia adottare per l’Ucraina, in sostanza “su come sostenere ulteriormente l’Ucraina e sui principi da rispettare in futuro”, come ha specificato nella lettera di invito ai leader il presidente del Consiglio Ue António Costa. “L’Ue e i suoi Stati sono pronti ad assumersi maggiori responsabilità per la sicurezza dell’Europa”, ha sottolineato il portoghese Costa, e i Ventisette dovranno “essere preparati a un possibile contributo europeo alle garanzie di sicurezza che saranno necessarie per una pace duratura in Ucraina”.

Il nodo da sciogliere, anche per Bruxelles, rimane ciò che decideranno di fare dall’altra parte dell’oceano. L’impressione è che Washington tenda a trasferire a Londra la gestione della protezione (in armi) dell’Ucraina. Nel nuovo scenario geopolitico che si va delineando Downing Street (passando per l’Eliseo) potrebbe trasformarsi nel perno di una Difesa comune da condividere tuttavia, passo passo, con tutti i leader del Vecchio Continente – Italia, Polonia e Germania soprattutto – inserendo l’asse Parigi-Londra all’interno dell’architettura europea sotto l’egida della Nato.

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