Politica

Cronache dai Palazzi

“L’unico modo per garantire la pace è quello di avere la prontezza nel dissuadere coloro che vorrebbero farci del male”, mette nero su bianco la Commissione europea all’inizio del “Libro bianco per la difesa europea-readiness 2030”, con l’obiettivo di potenziare le strutture militari degli Stati membri favorendo nel contempo l’industria europea della difesa, oltre che per garantire il sostegno a Kiev. Il piano mira alla realizzazione di progetti industriali europei e al rafforzamento delle alleanze globali con partner come Australia, Canada, Giappone, Nuova Zelanda e Corea del Sud. Il Regno Unito è invece definito “un alleato essenziale”. L’Ue e il Regno Unito stanno lavorando “per avere questa partnership di difesa e sicurezza”, ha spiegato l’Alto rappresentante Ue per gli Affari Esteri Kaja Kallas, auspicando che sia raggiunta “per il vertice tra Ue e Uk di maggio”.

Un’Europa coesa e pronta a rinnovarsi a partire dalla Difesa comune, anche se il debito divide i diversi leader. In questo contesto risulta fondamentale il ruolo (moderatore) del primo ministro britannico Keir Starmer, dato che dopo l’incontro a Londra tra i capi di Stato maggiore della Difesa di “più di 25 Paesi” – tra cui l’Italia, ma senza gli Stati Uniti – Starmer ha apertamente dichiarato che i piani per difendere un eventuale cessate il fuoco tra Ucraina e Russia “stanno prendendo forma”. L’obiettivo finale è dare espressione concreta all’“intenzione politica” di offrire garanzie di sicurezza all’Ucraina. “Che si tratti di ciò che potrebbe accadere in mare o in aria o nella difesa dei confini, questi piani stanno prendendo forma”. Nello specifico una “coalizione di volenterosi” verrà mandata in Ucraina ma l’Italia ha più volte ribadito di non essere disposta ad inviare dei propri soldati in territorio ucraino.

Un punto fermo sembra essere non ripetere l’esperienza degli accordi di Misk, che dopo la conquista russa di Crimea nel 2014 ha congelato eventuali obiettivi di pace concreti e duraturi, una situazione che non ha impedito l’esplosione del conflitto tra Ucraina e Russia nel 2022. “Ci sono stati accordi in passato che non avevano garanzie di sicurezza e Putin non ne ha tenuto conto”, ha sottolineato Starmer.

Per l’Italia meno debiti e più strumenti “davvero comuni”, e una spinta alla partecipazione del capitale privato, è la situazione che potrebbe riassumere la posizione italiana a proposito del riarmo europeo, posizione che la premier Giorgia Meloni ha espresso alla presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen. Il governo italiano condivide inoltre il Safe, 150 miliardi di euro di prestiti per gli Stati membri e una “clausola” per scorporare una parte delle spese dal Patto di Stabilità. Il nostro Paese non condivide invece un’altra clausola, improntata dalla Francia, che impone di investire due terzi dei fondi in armamenti “made in Ue”. Emmanuel Macron, a sua volta, è stato molto chiaro affermando che la Francia deve compiere un vero e proprio passo in avanti per la propria difesa investendo 27 miliardi di euro l’anno facendo balzare le spese militari dall’attuale 2,1% del Pil a una percentuale compresa “tra il 3 e il 3,5%”. Tale obiettivo per Macron non deve essere raggiunto attivando la “clausola” sul debito, né usufruendo del prestito Safe. La Germania invece attiverà la “clausola” sul debito ma non attingerà ai 150 miliardi stanziati in quanto il costo dell’indebitamento “autonomo” sui mercati è inferiore a quello stabilito dalla Commissione.

Il Safe (Security Action For Europe) è uno degli strumenti che l’Unione europea vuole mettere in moto per incrementare le scorte degli arsenali nazionali: 150 miliardi in prestiti a lungo termine (fino a 45 anni) a tassi agevolati per i Paesi che ne vogliano beneficiare. A proposito di riarmo europeo anche la Spagna come l’Italia sembra non condividere la definizione “riarmo” preferendo una definizione più ampia della “sicurezza” che includa anche il cyberspazio e politiche per il clima. L’aggravamento del debito, inoltre, è un fattore da non sottovalutare anche per la Penisola Iberica. In questo contesto, ribadendo la propria “frugalità”, l’Olanda ha a sua volta ribadito: “Un debito può esserci, ma deve essere sostenibile” e pur non bocciando il piano della Commissione il premier olandese Dick Schoof ha sottolineato che il suo Paese non userà i prestiti Safe e ha inoltre aggiunto di essere contrario anche agli “eurobond”. La Polonia, il Paese più vicino all’Ucraina geograficamente, frontiera orientale dell’Europa (unita), è pronta ad appoggiare qualsiasi strumento che renda più coeso e più forte l’arsenale difensivo europeo.

Ucraina, difesa e competitività sono stati i tre temi principali del Consiglio europeo che ha riunito a Bruxelles i capi di Stato e di governo dei Ventisette. Il potenziamento dell’industria militare europea, il fulcro dell’intero dibattito, ha l’obiettivo di sostenere Kiev e nel contempo rilanciare l’economia.

La questione del debito comune dovrà essere affrontata a giugno dopo che al summit Nato dell’Aia sarà definito il nuovo target di spesa per i Paesi dell’Alleanza (intorno al 3,5% del Pil) chiarendo quale dovrà essere lo sforzo finanziario da sostenere per ognuno. Per diversi Stati membri l’idea di contrarre nuovo debito comune non è la soluzione migliore. Nello specifico il piano di riarmo si fonda sul debito nazionale e molti Paesi pur ipotizzando di utilizzare gli strumenti messi a disposizione dalla Commissione aggraverebbero il proprio debito. A tale proposito Italia e Francia non intendono mettere in atto la clausola di salvaguardia né utilizzare i prestiti messi a disposizione attraverso lo strumento Safe.

In sostanza nel corso del recente vertice europeo i leader Ue hanno chiesto “un’accelerazione dei lavori su tutti gli aspetti per aumentare in modo decisivo la prontezza dell’Europa in materia di difesa entro i prossimi cinque anni”, invitando “il Consiglio e i co-legislatori a portare avanti rapidamente i lavori sulle recenti proposte della Commissione”. Per di più il Consiglio europeo “sottolinea l’importanza di mobilitare i finanziamenti privati per l’industria europea della

difesa e invita la Commissione a prendere in considerazione la possibilità di utilizzare ulteriormente i programmi dell’Ue, ad esempio basandosi sull’esperienza del comparto degli Stati membri InvestEu”. È stato così dato il via libera al piano di riarmo rinominato per l’appunto “Readiness 2030”.

L’obiettivo complessivo è sviluppare un’industria della difesa continentale più autonoma nell’arco di cinque anni, colmando le carenze degli arsenali europei alla luce di un eventuale disimpegno degli Stati Uniti. I fondi dello strumento Safe, nello specifico, verranno erogati agli Stati membri interessati su richiesta, sulla base di piani nazionali. Necessari appalti comuni dedicati all’industria della difesa europea e a progetti congiunti o in associazione con almeno un Paese della zona Efta (Islanda, Liechtenstein, Norvegia e Svizzera) più l’Ucraina. Il 65% dei costi delle attrezzature finanziate dovrà provenire da fornitori Ue e solo un terzo della spesa potrà essere destinata a prodotti di Paesi extra-Ue previo un accordo di sicurezza. Esclusi quindi Stati Uniti, Regno Unito e Turchia tranne dei casi limite. Per quanto riguarda inoltre i prodotti le cui tecnologie di base non sono disponibili all’interno dell’Ue in maniera sufficiente, e quindi non facilmente sostituibili su larga scala, la Commissione ritiene “opportuno” che siano chieste condizioni aggiuntive, in modo da garantire alle forze armate dei Paesi Ue di disporre di tali prodotti senza limitazioni come ad esempio avviene sui Patriot americani per cui vi sono delle restrizioni per quanto riguarda il loro uso. L’industria ucraina risulta a sua volta parificata a quella dei Paesi Ue, in virtù dello strumento Safe. La nazione ucraina viene coinvolta a tutti gli effetti nello sviluppo e nell’acquisizione di armamenti. Tutte le misure del piano di riarmo sono comunque su base volontaria e sono previsti investimenti per circa 800 miliardi di euro: un aumento di spesa comunitario del valore di 650 miliardi da stanziare nell’arco di quattro anni e, in aggiunta, 150 miliardi di prestiti agevolati dei quali i Ventisette potranno usufruire.

Il cosiddetto “buy European”, ossia spendere per prodotti e dispositivi militari costruiti all’interno dell’Unione, è un punto fondamentale sul quale preme anche il nostro Paese, oltre al voler rafforzare il sistema di difesa europeo attraverso delle garanzie europee che non siano però gli eurobond. La proposta italiana pone l’accento sulla partecipazione del capitale privato, come il progetto InvestEu, e su strumenti che siano comuni nella pratica, che inoltre non incidano direttamente sul debito dei singoli Stati. “Serve puntare su strumenti davvero comuni che non pesino sul debito nazionale, ma è chiaro che per contare di più l’Italia come la Ue devono rafforzare i propri sistemi di difesa”, ha dichiarato la premier Giorgia Meloni.

In definitiva il progetto di riarmo non condurrebbe ad un esercito europeo unico. Le varie iniziative contenute nel pacchetto difesa mirano bensì al rafforzamento delle Forze militari nazionali con l’obiettivo di migliorare l’interoperabilità degli Stati membri in questo settore specifico, in linea con i requisiti Nato. Gli Stati membri restano comunque responsabili delle loro Forze armate e la Difesa continua ad essere una prerogativa nazionale.

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