
Iran, 30 marzo 1979
Nei suoi libri e nei suoi interventi, Federico Rampini ha spesso sottolineato come l’avvento degli ayatollah in Iran nel 1979 abbia segnato l’inizio di una nuova fase di conflitto tra Oriente e Occidente. Secondo il giornalista e analista geopolitico, la rivoluzione iraniana ha rappresentato una cesura nella storia recente, ridisegnando gli equilibri globali e avviando un confronto che ancora oggi influenza le dinamiche internazionali. In libri come La seconda guerra fredda e nei suoi interventi pubblici, Rampini descrive il regime iraniano come una potenza regionale con ambizioni egemoniche, un attore che ha trasformato il Medio Oriente in un campo di battaglia per procura tra superpotenze, con alleanze mutevoli e conflitti persistenti.
Oggi è l’anniversario del giorno in cui tutto ciò è iniziato. Il 30 marzo segna infatti l’evento cruciale in questa narrazione: il referendum del 1979 con cui il popolo iraniano sancì il passaggio dalla monarchia dello scià Mohammad Reza Pahlavi alla Repubblica Islamica guidata dall’ayatollah Ruhollah Khomeini. Con un risultato schiacciante – il 98% dei voti a favore della trasformazione – l’Iran abbandonava ufficialmente l’alleanza con l’Occidente per intraprendere un percorso autonomo e radicale, destinato a mettere Teheran in rotta di collisione con gli Stati Uniti e i loro alleati.
Lo scià Mohammad Reza Pahlavi non si aspettava un esito così drastico e radicale. Sebbene fosse consapevole del crescente malcontento popolare e delle tensioni interne, fino all’ultimo credette di poter mantenere il controllo della situazione.
La rivoluzione iraniana non fu solo un evento locale, ma il catalizzatore di una nuova stagione di tensioni globali. L’occupazione dell’ambasciata americana a Teheran nel novembre dello stesso anno – con la presa in ostaggio di 52 diplomatici per 444 giorni – fu il primo segnale tangibile di un cambiamento epocale.
Da allora, l’Iran ha assunto un ruolo centrale nelle dinamiche di potere del Medio Oriente, appoggiando gruppi armati come Hezbollah, sfidando apertamente Israele e tessendo alleanze strategiche con Russia e Cina, in una contrapposizione sempre più netta con l’Occidente.
Rampini evidenzia come la strategia iraniana non sia solo militare, ma anche culturale ed economica. Il regime ha saputo sfruttare il malcontento nei confronti delle potenze occidentali per consolidare la propria influenza nel mondo arabo e oltre. Dall’Iraq alla Siria, dallo Yemen al Libano, la Repubblica Islamica ha costruito una rete di alleanze che le ha permesso di estendere il proprio raggio d’azione ben oltre i confini nazionali.
A oltre quarant’anni di distanza, il referendum del 30 marzo 1979 continua a proiettare la sua ombra sugli equilibri internazionali. L’Iran di oggi è una potenza regionale con ambizioni globali, impegnata in una sfida permanente con l’Occidente. Il conflitto tra le due visioni del mondo – quella della democrazia liberale e quella della teocrazia islamica – non si è mai spento, e gli eventi recenti, dal riarmo iraniano alle tensioni nel Golfo Persico, dimostrano come la rivoluzione del 1979 non sia solo storia, ma una realtà ancora viva e determinante per il futuro geopolitico del pianeta.
E, infine, c’è ancora un punto che non dovrebbe mai essere dimenticato: tra gli obiettivi chiaramente dichiarati della Repubblica Islamica dell’Iran vi è la distruzione di Israele. Non è un’interpretazione, né una semplice retorica politica. È una posizione esplicita, ribadita dai leader iraniani nel corso degli anni, un obiettivo strategico che condiziona le alleanze e le tensioni nel Medio Oriente.
Di fronte a questa realtà, chi oggi prende posizione nel complesso scacchiere internazionale dovrebbe fermarsi un istante a riflettere. Quando un governo teocratico considera la cancellazione di un altro Stato come una missione da portare avanti, è necessario interrogarsi seriamente su quali siano le vere dinamiche in gioco. Il passato può aiutare a comprendere il presente, ma soprattutto a evitare errori che potrebbero costare caro.
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