
Dazi USA: tre cose che l’UE non deve fare
All’indomani dell’avvio della guerra dei dazi da parte del presidente degli Stati Uniti Donald Trump, analizziamo la sua strategia – dal “Giorno della liberazione” al crollo di Wall Street – e cerchiamo di fornire all’Europa una roadmap sulle cose “da non fare”.
Il Giorno della liberazione – Nella notte del 2 aprile, il presidente americano ha annunciato dazi minimi generalizzati del 10% su tutti i prodotti esportati negli Stati Uniti, ma ha anche annunciato dazi decisamente più pesanti per 60 paesi ‘cattivi’, rei, secondo Trump, di aver colpito i prodotti americani con dazi, tasse e regole commerciali ingiuste. “Ci hanno derubato per 50 anni, ma non accadrà più”, è la dichiarazione di Trump nel suo ultimo discorso. Più in particolare, alla Cina sono stati imposti dazi del 34%, all’India del 26%, al Giappone del 24%, all’Unione Europea del 20%. Interessante il fatto che non siano stati applicati dazi a Russia, Bielorussia e Corea del Nord, mentre ci sono andate di mezzo le isole Svalbard (3mila abitanti) e le isole McDonald nell’Oceano antartico (4mila pinguini). Da qui panico allo stadio: il crollo delle borse, Wall Street che brucia in 48 ore 5mila miliardi, i controdazi cinesi al 34%, i fondati timori di Jerome Powell, presidente della Federal Reserve, di una nuova ondata inflazionistica.
Oltre i dazi – Ora, in prima battuta, gli obiettivi dei dazi “trumpiani” sembrerebbero essere due: ridurre il deficit della bilancia commerciale americana e generare cassa immediata per creare consenso in vista delle elezioni di metà mandato del 2026. Tuttavia, il vero target di Trump potrebbe essere un altro, ossia quello di utilizzare l’arma dei dazi, oggi ancora in sperimentazione, come strumento per risolvere i problemi strutturali dell’economia americana. Giova ricordare, a questo proposito, che gli americani hanno un debito pubblico di 36mila miliardi ed un deficit arrivato nei dintorni del 7%. Ed è proprio qui che potrebbero sorgere ulteriori problemi, perché Trump potrebbe decidere di usare la “clava” dei dazi anche per costringere vari Paesi, specialmente europei, a sostenere il debito pubblico americano, comprando titoli di stato degli Stati Uniti a lunga e lunghissima scadenza, il tutto anche per compensare il progressivo disimpegno della Cina, che ha ridotto i titoli USA detenuti dai 1.300 miliardi del 2013 agli attuali 760 miliardi.
Cosa non deve fare l’Unione Europea? – Di fronte a queste minacce ci sono tre cose fondamentali che l’Unione Europea non deve assolutamente fare: 1 – Non deve cadere nella trappola di Trump, reagendo di pancia e innescando così un circolo vizioso incontrollabile; un margine di trattativa probabilmente esiste ancora e non può essere trascurato a priori. 2 – I paesi dell’Unione Europea non devono assolutamente cedere alla tentazione di agire in ordine sparso nel tentativo di ottenere specifici benefici; è esattamente quello che vuole Trump secondo il motto latino “divide et impera”. 3 – Qualora, invece, ogni tentativo di mediazione risultasse impossibile, l’Unione Europea non deve rimanere inattiva e questo, banalmente, perché una passiva accettazione delle imposizioni “trumpiane” spalancherebbe i cancelli dell’Unione Europea ad una spirale incontrollabile di richieste, pressioni e ricatti.
[NdR – Fonte Teleborsa.it che si ringrazia per la collaborazione – Andrea Ferretti è docente al corso di Gestione delle Imprese Familiari – Università di Verona]
©Futuro Europa® Eventuali immagini utilizzate sono tratte da Internet e valutate di pubblico dominio: per segnalarne l’eventuale uso improprio scrivere alla Redazione