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LA CASSAZIONE SUL DECRETO DEL MINISTERO DELL’INTERNO: GENITORE SUI DOCUMENTI DEL MINORE – Il caso in esame ha avuto grande rilievo nazionale, avendo la Corte di Cassazione respinto in toto un ricorso proposto dal Ministero dell’Interno, a seguito di una lunga vicenda processuale.

Il Tribunale di Roma con sentenza del 2023 ordinava al Ministero dell’Interno di indicare sulla carta d’identità elettronica del minore la dicitura “genitore” o “padre/genitore madre/genitore” e non “padre” e “madre”, determinando la conseguente disapplicazione del decreto ministeriale del 31 gennaio 2019 emesso dallo stesso Ministero. Tale decreto, infatti, aveva previsto che la dicitura “genitore” fosse sostituita con le parole “madre” e “padre”, ma si sostanziava in un atto privo di carattere normativo, così come era già stata accertato dal TAR Lazio nell’anno 2020.

La questione giungeva avanti alla Suprema Corte dopo l’impugnazione della sentenza resa in Appello di cui sopra da parte del Ministero medesimo, che lamentava vari profili di censura. La Corte d’Appello di Roma, infatti, a seguito dell’impugnazione da parte del Ministero dell’Interno aveva sancito che l’effetto finale del decreto del Ministero dell’Interno, di carattere irragionevole e discriminatorio, sarebbe stato quello di precludere al minore figlio di una coppia omoaffettiva, di ottenere una carta d’identità valida per l’espatrio alla luce delle caratteristiche deficitarie della medesima: il minore, infatti, era figlio naturale di un genitore naturale e di un genitore adottivo dello stesso sesso.

Ricordava la Suprema Corte, richiamando giurisprudenza costante, che ai sensi e per gli effetti della L. n. 184/1983, è prevista l’adottabilità di un minore in casi particolari, anche rispetto ad una coppia omoaffettiva femminile, al fine di “realizzare appieno il preminente interesse del minore alla creazione di legami parentali con la famiglia del genitore adottivo, senza che siano esclusi quelli con la famiglia del genitore biologico”, così come già previsto dalla Corte Costituzionale nell’anno 2022.

Il tenore del decreto ministeriale del 2019, dunque, non solo contrastava con le disposizioni aventi valore di legge ordinaria, che si riferisce ai “genitori” quali soggetti richiedenti il rilascio della carta d’identità e presenti nel viaggio all’estero con il minore stesso, ma la dicitura “padre e madre” violava il diritto di ciascun genitore (nel caso di specie, due donne), di veder riportato nella carta d’identità del figlio minore il proprio nome, poiché “consentiva un’indicazione appropriata soltanto per una delle due madri, ed impediva all’altra di vedere classificata la propria relazione di parentela con il figlio con secondo una modalità (“padre”) non consona al suo genere”.

Conseguentemente, il decreto ministeriale impediva, altresì, di fornire adeguata rappresentazione alla realtà giuridica di quella famiglia che si era venuta a creare del tutto legittimamente a seguito del passaggio in giudicato della sentenza di adozione del minore. La Cassazione, dunque, respingeva il ricorso.

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