Sicurezza territorio, ambientalisti e costruttori alleati
C’è un testimone che, fra i tanti, non dovrà cadere a terra nella staffetta fra i premier Letta e Renzi: la sicurezza del territorio. A proclamarlo a gran voce è in questi giorni l’inedita alleanza fra avversari storici come ambientalisti e costruttori, che decenni di inefficienza amministrativa sono riusciti a riunire sotto la stessa bandiera. L’allarme, lanciato ad una voce alla politica e alle istituzioni, è forte: l’Italia cade a pezzi, e non per alcuni acquazzoni in più. Dalla Sardegna alla Liguria, dall’Emilia alla Calabria, il Paese è unito da alluvioni e frane provocate dall’edificazione selvaggia e dalla mancata cura di montagne, boschi, canali, persino tombini.
Le calamità naturali, dovute al dissesto idrogeologico e causa di 293 morti dal 2002 ad oggi, costano 3 miliardi e mezzo l’anno solo in interventi-tampone, che non hanno gli effetti di una messa in sicurezza strutturale e duratura e quindi non rappresentano investimenti ma solo spese. Una calamità nella calamità. Per questo, con una lettera a firma congiunta, l’Associazione Nazionale dei Costruttori Edili, il Consiglio Nazionale degli Architetti, il Consiglio Nazionale dei Geologi e Legambiente hanno chiesto al Presidente Napolitano un intervento di sensibilizzazione per restituire al sistema Paese la capacità di mettere in sicurezza il proprio territorio. E chiedono di dare continuità in questo frangente alla politica del territorio avviata dal ministro Orlando.
Il territorio è la prima infrastruttura del Paese e la sua efficienza è una premessa fondamentale per il benessere dei cittadini e dell’economia. Eppure, passati i clamori degli ultimi eventi calamitosi, la necessità, la centralità, l’urgenza della messa in sicurezza del territorio è un tema che fatica ad affermarsi. Per decenni infatti, in un processo di costruzione dell’opinione comune che è iniziato con la ricostruzione postbellica ed ha trionfato con il boom edilizio degli anni 1960, si è considerato a priori efficiente ciò che era semplicemente edificato. Per decenni, ‘cemento’ è stato sinonimo di solidità e sicurezza. Di cemento sono stati rivestiti i letti dei torrenti, resi in questo modo incapaci di rallentare le onde di piena. Col cemento si sono addirittura ricoperti fiumi e canali. Eppure è con il settore edilizio che Legambiente oggi si è alleata, nella consapevolezza che un imponente programma di piccole e capillari opere pubbliche è ormai necessario per arginare, regimare, consolidare e assestare argini, ponti, versanti, gallerie e strade. Oltreché per tornare a costruire responsabilmente, nei luoghi e nei modi in cui ciò è possibile; ovvero in modo sostenibile.
Le Associazioni degli imprenditori, dei tecnici e degli ambientalisti hanno proposto il varo di un Programma Straordinario per la mitigazione del rischio idrogeologico. Stigmatizzata, nella dichiarazione congiunta, la mancanza manutenzione ordinaria e straordinaria. Significativo, invece, l’accostamento di elementi apparentemente distanti come la rinaturalizzazione del territorio, la riqualificazione dei fiumi e quella delle aree urbane. Indicato con chiarezza il nodo da scogliere: le amministrazioni non sono più in grado di portare avanti un programma di opere nei tempi e modi adeguati, ma le difficoltà non sono dovute alla mancanza di risorse, sia pure condizionate dal patto stabilità, ma alla impossibilità di spenderle. A causa, soprattutto, delle difficoltà a districarsi nel groviglio di competenza amministrative del territorio, un ostacolo che è stato finora capace di vanificare tutte le migliori intenzioni persino dei Governi, tanto che negli ultimi quattro anni solo un quarto delle risorse, 500 milioni su due miliardi stanziati, sono state effettivamente utilizzate per la messa in sicurezza del territorio; e di umiliare le capacità e le risorse umane dei tecnici italiani, apprezzati all’estero dove dirigono grandi progetti per la realizzazione di ardite opere pubbliche, ma mortificati in patria dove non riescono nemmeno a garantire la sicurezza minima del territorio. Ma non va dimenticata neanche la mancanza di presidi amministrativi territoriali per il controllo del territorio, che erano ed andrebbero riaffidati ai Geologi.
Stavolta l’appello è forte. E non è solo di alcuni soggetti alla massima autorità dello Stato. Stavolta è il Paese che chiama il Palazzo. Stavolta il messaggio è: salvare vite, salvare risorse, salvare il territorio. E’ un’occasione da non perdere, se non si vuole che la distanza tra cittadini ed istituzioni si trasformi in un vuoto incolmabile.
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