Renzi alla prova dei mercati

La lista delle riforme da attuare per cambiare il paese è molto lunga. E ci vorrà del tempo per attuarle tutte. Ma l’agenda che il nuovo Presidente del Consiglio ha intenzione di seguire, sembra suscitare l’approvazione dei mercati. Gli obiettivi principali della politica economica italiana – intervenire sulla pesante disoccupazione e rilanciare la competitività del sistema – vengono giudicati complessi ma non impossibili da realizzare. Lo spread diminuisce e questo non solo per la fiducia che viene riposta nel nuovo esecutivo, ma anche per la valutazione di Moody’s che ha alzato il rating sul nostro paese da negativo a stabile. In questo giudizio c’è prima di tutto una valutazione positiva delle riforme e dei risultati conseguiti fino ad oggi dagli ultimi governi.

Renzi ha proposto tre riforme “storiche” da portare a casa in tre mesi: a marzo la riforma del lavoro, ad aprile la riforma della pubblica amministrazione, a maggio la riforma del fisco. Un “piano industriale” di tre mesi è una novità non di poco conto, ma c’è ottimismo a livello internazionale, “i mercati gli danno il beneficio del dubbio ma dovrà realizzare le riforme promesse” afferma l’economista statunitense Nouriel Rubini. Di diverso avviso James Mackintosh, columnist del Financial Times, che giudica eccessivamente ambiziosi i progetti di riforma del nuovo premier. Ma proprio per la mancanza di aspettative positive, il nuovo governo potrebbe sorprendere i mercati realizzando le promesse fatte. Le pressioni speculative sull’Italia sono in diminuzione già da molti mesi e diventa quindi prioritaria una stagione di riforme reali e incisive.

Se il nuovo esecutivo dovesse realizzare solo la riforma elettorale per poi andare nuovamente alle urne, da giudizi di sostanziale attendismo si passerebbe subito a valutazioni molto negative.

Una questione cruciale è la volatilità con la quale i mercati potrebbero punirci. Se la composita maggioranza che sostiene Renzi dovesse esprimere opinioni troppo dissonanti sul cammino delle riforme, allora i mercati potrebbero cominciare a “guadagnare contro di noi”, e questo allontanerebbe, con il solito circolo vizioso, la possibilità di fare le riforme. La compattezza e l’armonia in una diversificata compagine parlamentare deve diventare il principale obiettivo per combattere questa “piccola grande guerra economica”.

Non c’è da aspettarsi una maggiore flessibilità da parte delle istituzioni europee nei nostri confronti senza aver prima dimostrato di aver fatto quelle riforme capaci di ridare slancio e competitività al sistema. Non si può andare a scuola senza aver fatto i compiti, anche perché in questo caso non c’è nessuno che possa farci la giustificazione.

La fretta, in questo caso, non sarebbe cattiva consigliera. La situazione resta pesante e al di là della leadership di uno o di pochi, il Paese deve dotarsi di ritmi riformistici che ci consentano di fare quelle cose che sono sul piatto da più di un ventennio. La scommessa è proprio questa: se alle dichiarazioni seguiranno i fatti, avremo giocato bene la nostra partita contro il rischio. In mancanza, se non si realizzano le riforme, la speculazione potrebbe fare molti più danni che in passato.

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