L’ora dell’Europa
Nel discorso programmatico di Matteo Renzi ci sono un’analisi spietata dei nostri mali e dei rimedi necessari, la dichiarata volontà di affrontarli in tempi certi e una generale voglia di dare uno scossone, avallata dalla giovinezza e novità di molti Ministri.
Il discorso è però solo un discorso. Il giudizio sull’operato del Governo lo daremo sui fatti. Sappiamo che non tutto dipenderà da Renzi (Parlamento e Pubblica Amministrazione sono pachidermi difficili da smuovere) ma dopo averci messo la faccia, se dovesse fallire, la responsabilità sarebbe sua. L’ha riconosciuto lui stesso.
Nel suo discorso vi sono tuttavia punti che valgono per sé stessi. Quello a mio avviso più significativo sta nella inequivoca dichiarazione di fede europea, presente in un passaggio chiave. Andando contro una moda corrente, il Premier ha denunciato senza mezzi termini la fallacia di indicare nell’Europa la fonte dei nostri mali, riaffermando invece che nella tradizione europeista c’è quanto di meglio vi sia nella nostra società e la garanzia del nostro futuro. Con queste parole si collegano l’orgoglioso riferimento alla “generazione Erasmus” e il commosso richiamo ad Altiero Spinelli e al coraggio e alla bellezza dei suoi ideali di unità dei popoli europei. Il Presidente del Consiglio però è andato più in là. Parlando del semestre di presidenza italiano, ha ricordato l’obiettivo di collocare in modo chiaro e autorevole l’Europa nel quadro sempre più complesso e difficile delle relazioni internazionali (spero che si tratti del proposito di lavorare per rafforzare le capacità dell’UE in politica estera e difesa comune, ma anche di promuoverne il ruolo di garante dei diritti civili e delle libertà democratiche).
Molto chiara anche la verità ricordata dal Premier (ovvia, ma denegata dai propalatori del verbo grillo-leghista-berlusconiano) secondo cui tenere in ordine i nostri conti non lo dobbiamo all’Europa o alla Merkel, ma ai nostri figli e al loro futuro. Per chi segue con disgusto lo squallido andazzo di addossare all’Europa, a Bruxelles, alla Merkel, mali che derivano solo dalle nostre cattive abitudini e di far colpevolmente credere che ne usciremmo ritornando alla liretta e alle finanze allegre (“scialacquate” secondo Renzi), le parole del Premier sono una benvenuta rassicurazione.
Sono solo parole? Anche le parole contano, venendo da un capo di governo. Se Renzi avesse voluto seguire la corrente di moda, sull’Europa si sarebbe espresso in modo tiepido, ambiguo o magari avrebbe taciuto. Le sua parole erano state del resto precedute da un atto politico significativo, la telefonata di domenica scorsa tra lui e la Merkel, con la riaffermazione congiunta di impegno europeo. Il premier ha così mostrato di sapere che con il nostro più importante partner politico ed economico, sul cui aiuto dobbiamo poter contare se ne avessimo bisogno, la politica di attacchi sgarbati e gratuiti è pura insania. Ora aspettiamo di vedere come concretamente il Governo si muoverà, non solo nel Semestre italiano ma già dai prossimi vertici europei. Spero che Premier e Ministro degli Esteri, ambedue “nuovi” alla politica internazionale, imparino rapidamente a muoversi in acque difficili e ad intessere quei rapporti, politici e personali, che sono indispensabili in Europa più che in altre aree del nostro impegno internazionale. Anche su questo terreno, quindi, aspettativa speranzosa ma attenta ai fatti. Però, almeno sappiamo che, per la durata di questo esecutivo, non faremo stranezze, non ci lasceremo andare a uno dei nostri “giri di valzer” che in passato ci hanno tolto credibilità e capacità di influire sulle scelte europee.
È solo una coincidenza, ma una coincidenza eloquente, che il discorso del Premier sia venuto subito dopo un evento epocale, che si colloca nella diritta scia della caduta del Muro di Berlino, come la doppia vittoria dell’Europa a Kiev: vittoria perché la grande sollevazione popolare che ha portato alla caduta di un regime autoritario e repressivo – se anche è venuta via via caricandosi di altri motivi di protesta e diventando una lotta per la libertà contro l’oppressione – è nata sulla base di una forte richiesta di identità europea da parte del popolo ucraino. Identità europea non casuale: gli ucraini hanno capito benissimo che con l’Europa e con i suoi valori si identificano libertà , democrazia, civiltà occidentale. E vittoria perché al centro del sostegno al popolo ucraino ci sono state questa volta soprattutto l’UE, la signora Ashton, la cancelliera Merkel, la Francia. la Polonia. Doppia affermazione di una centralità europea che dovrebbe far riflettere (ma non ci spero) i nanerottoli vocianti di casa nostra.
Anche per questo, l’ora che viviamo è davvero l’ora dell’Europa. Si avvicinano elezioni che dovranno definire la composizione del massimo organo parlamentare europeo per i prossimi cinque anni. Chi manderemo a Strasburgo? Gente seria, europeista, decisa a far lavorare al meglio le istituzioni comuni, o la canea scalmanata e vociferante degli eurofobi alla Borghezio? Le elezioni saranno, certo, un test della forza “interna” dei principali partiti, e su questo è ovvio (e triste) che si concentri l’attenzione, ma dovrebbero soprattutto essere l’occasione per una serio dibattito sull’Europa, i suoi contenuti, il suo futuro sviluppo. In Italia vi sono, da una parte, un fronte europeo che include PD, SC, NCD, Popolari, Socialisti e dall’altra un’armata Brancaleone che va dalla falange leghista allo squadrismo di Casapound, passando per i deliri grillini. In mezzo sta la seconda forza non grillina del Paese, quella che dovrebbe costituire assieme alle forze moderate un argine alla barbarie antieuropea. Finora l’atteggiamento di Forza Italia, com’è riflesso nelle dichiarazioni dei suoi esponenti e negli organi della famiglia Berlusconi, è stato come minimo ambiguo, dando spesso l’impressione che, screditato lo spauracchio comunista, i bau-bau scelti per intruppare la tifoseria siano l’Europa, l’euro, la Merkel. Un test vicino e significativo sarà il modo in cui FI e il suo ondivago capo imposteranno la campagna europea, in relazione a temi precisi come la permanenza nell’euro e il progresso verso un’unione politica. Aspettiamoci piroette e salti mortali. Ma da essa sarà lecito trarre conclusioni sulla natura di quel partito: una forza moderata, liberale, responsabile verso gli italiani e il loro futuro, o populismo di marca grillina.
La responsabilità di dare alle elezioni un risultato”europeista” spetta, però, innanzitutto a chi “europeista” si professa senza tentennamenti e distinguo. Spetta al Governo, che deve proseguire con coerenza sulla strada annunciata. AI partiti europeisti, che devono dire senza paura quello che credono e saperlo spiegare in modo efficace a un’opinione pubblica generalmente disinformata; alle forze del Centro, che devono trovare la strada dell’unione elettorale per poter contare di più; ai grandi organi di informazione, RAI in testa, che devono fare uno sforzo per illustrare la realtà dell’Europa, non i grotteschi miti propalati dai Salvini, Grillo o Sallusti; e agli organi europei che devono migliorare sostanze e forme della comunicazione, avvicinarsi alla gente e agire perché l’Europa sia e sia percepita come il motore di un vero, sano, progresso economico e civile.
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