Ucraina tra Russia e Occidente
I blindati russi che hanno invaso la Crimea, territorio di uno Stato sovrano, senza alcuna provocazione, hanno mostrato allo scoperto il volto della Russia attuale e del suo zar, Putin, un imperialista nella peggiore tradizione zarista e sovietica, cresciuto nel KGB e uso ai suoi metodi. Niente diplomazia, niente dialogo, neppure i ricatti economici bastano più, solo il puro e nudo uso della forza, nel più assoluto disprezzo dello Statuto delle Nazioni Unite. Vengono alla mente precedenti che si credevamo cancellati per sempre dalla pratica delle relazioni tra paesi civili: l’attacco nazista alla Polonia, le invasioni sovietiche dell’Ungheria e della Cecoslovacchia, i blindati russi in Georgia.
Ma cosí agendo, il despota moscovita ha scientemente posto l’Occidente in una posizione difficile. Quello che succede tra Ucraina e Russia non può, infatti, essere considerato un problema bilaterale che non riguardi altri che loro. Vi è innanzitutto un problema di principi violati – integrità territoriale, sicurezza, pace, regolamento pacifico delle controversie – la cui difesa è dovere di ogni paese civile se non si vuole che il mondo divenga (o ritorni ad essere) un Far West dove conta solo la forza. E vi sono concrete ragioni geostrategiche. L’Ucraina è la cerniera tra UE, Russia e Turchia e non può essere riconsegnata nelle mani del neo-imperialismo di Mosca. Stati Uniti e NATO non possono permetterlo e meno ancora può accettarlo l’UE, nel cui nome è scoppiata la rivolta popolare e verso cui guardano con speranza i milioni di ucraini che si sentono e vogliono essere europei, cioè liberi e democratici, e non vogliono ricadere nel nuovo oscurantismo orientale. Sarebbe davvero tremendo se gli ucraini si sentissero abbandonati, proprio dall’Europa, di fronte al gigante russo.
Ma nessuno in Occidente – questo Putin lo sa benissimo e ci specula sopra – è disposto seriamente a contemplare misure belliche. NATO ed UE non sono obbligate a intervenire in difesa di un Paese che non è loro membro, Usa e GB hanno dato a suo tempo una sorta di garanzia a Kiev, ma a titolo individuale, e non credo che dal Presidente Obama ci si possa aspettare un colpo di testa militare (senza gli USA, vale la pena di ricordarlo, GB e Francia sono impotenti). D’altra parte, il ricorso al Consiglio di Sicurezza dell’ONU è in questo caso illusorio. Le norme dello Statuto sulla sicurezza hanno un difetto di origine: non si applicano a carico di un membro permanente del Consiglio, in grado di mettere il veto. È certo che nel farlo la Russia non sarebbe sola; la Cina l’appoggerebbe (i comunisti perdono il pelo ma non il vizio).
Allora? Allora il ventaglio delle misure possibili è comunque ampio. USA e UE hanno innanzitutto il dovere e la possibilità di appoggiare politicamente ed economicamente le nuove Autorità ucraine e l’insieme della popolazione che ha chiaramente manifestato la sua volontà europea e di offrire loro, in prospettiva, un approdo pieno e stabile nelle istituzioni in cui si articola la comunità occidentale. E gli Occidentali hanno il dovere e la possibilità di far pagare a Putin il costo politico del suo operato, isolando la Russia da quel contesto di Paesi avanzati e civili nel quale era venuta via via integrandosi ed al quale, per ovvie ragioni di prestigio, sembra tenere molto. Bene dunque la decisione dei sei membri occidentali del G-8 di disertare la preparazione del vertice a Sochi e ogni tipo di cerimonia che veda Putin padrone di casa. Questo naturalmente potrebbe non bastare, per cui non vanno escluse altre misure politiche, diplomatiche ed economiche (l’esclusione della Russia dal G-8, ventilata dal Segretario di Stato americano Kerry, che per ora trova qualche resistenza tra gli altri, potrebbe alla fine rivelarsi una scelta obbligata). Il timore che tutto questo riporti indietro di decenni, al tempo della guerra fredda, esiste e non va sottovalutato. Ma il rischio di non far nulla e lasciare un Paese europeo umiliato da un diktat moscovita è peggiore.
Andando alla sostanza, tuttavia, ci si deve chiedere verso quale soluzione incamminare una crisi che, nei suoi termini estremi, sembra senza uscita. Per farlo, occorre partire da alcuni punti fermi. Il primo è ovvio: il popolo ucraino ha il diritto di scegliersi un’identità europea e di aspirare ad integrarsi nell’UE (e, se lo ritiene desiderabile, nella NATO, sia pure con le garanzie di sicurezza a cui la Russia ha titolo). Il secondo è che non si può ignorare che una parte, sia pur minoritaria, degli ucraini è russa per lingua e sentimenti e aspira a una più stretta unione con la madrepatria; come minimo, questa minoranzae ha diritto a solide garanzie. Il terzo è che la Russia ha in Ucraina, terra di passaggio dei gasodotti che portano il gas russo in Europa, legittimi interessi da tutelare ed è lecito che non possa accettare un vicino ostile. Tra questi tre poli è imperativo che si trovi un punto di equilibrio e in questo senso va la posizione manifestata dal Governo italiano, in sintonia con quello tedesco. Due soluzioni paiono possibili: la prima, e più desiderabile, ma anche più difficile, è che l’Ucraina resti unita e mantenga in futuro con l’Europa e con la Russia rapporti egualmente amichevoli, senza dover subire diktat e ricatti, ma dando serie garanzie alla propria minoranza russofona; la seconda è che l’Ucraina si divida. In questo caso, è evidente che la Crimea, ora militarmente occupata dalla Russia e ospitante la più importante base navale russa nel Mar Nero, ritornerebbe a essere russa (come lo è stata fino agli anni Sessanta del secolo scorso). Geograficamente, questo è possibile. Più complessa è la situazione nella zona di Donetsk e a Odessa, maggioritariamente russe anch’esse ma integrate nel territorio ucraino. Ma se una divisione fosse la sola via d’uscita al di fuori di una guerra sanguinosa, converrebbe appoggiarla. Da un lato vi è il principio dell’integrità territoriale, dall’altro quello dell’autodeterminazione dei popoli, ovviamente da verificare attraverso referendum, il cui risultato peraltro non pare dubbio. Dopotutto, non sarebbe il primo Paese dell’Europa post-comunista che si divide, dalla Jugoslavia alla Cecoslovacchia, con risultati accettabili.
L’importante, quale che sia la soluzione, è che ad essa si arrivi per via pacifica, attraverso il negoziato e il dialogo, e tutti dovrebbero concorrere a spingere sia Putin che le Autorità di Kiev in questa direzione (bene, sotto questo aspetto, le prime dichiarazioni di Renzi). Un ruolo cruciale, assieme a quello della diplomazia americana, l’avrà il prossimo vertice europeo di Bruxelles, se riuscirà ad assumere una posizione chiara, equilibrata e concreta, già che né Mosca né Kiev possono ignorare la posizione di più di quattrocento milioni di europei. Ma forse non è maligno chiedere che anche quelli che da noi hanno vantato in passato la loro intimità con il despota moscovita – e il conseguente ruolo mediatore tra Russia ed Occidente – ora se ne avvalgano per dare una mano a difendere la libertà fieramente proclamata come loro ragion politica.
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Un Commento
Il Cremlino ha inaspettatamente interrotto l’abile pausa politica dopo l’aggressione tentata in Crimea contro il ministero degli Interni di Simferopol, da parte di unità speciali non identificate inviate da Kiev. Fino a quel momento l”inazione’ russa è stata molto più potente delle migliaia di azioni nevrotiche a Kiev e delle dichiarazioni di Washington. Di tutte le “parti interessate” alla crisi ucraina, la Russia è l’unica potenza globale che dimostra capacità di agire nel quadro del diritto internazionale e di prendere decisioni responsabili e sovrane. Ironia della sorte, la Crimea di oggi è probabilmente l’unica regione in cui la Costituzione dell’Ucraina è ancora rigorosamente vigente. Il referendum sulla questione di un’ampia autonomia, annunciato per il 30 marzo 2014, è stato avviato nel pieno rispetto della legislazione nazionale. La presenza militare russa in Crimea è anche regolata dalla convenzione del 1997 tra Russia e Ucraina riguardo la base della Marina russa di Sebastopoli. Il nuovo governo della Crimea, a differenza di quello centrale di Kiev, è stato nominato dal corpo legislativo locale seguendo la corretta procedura legale. L’Unione Europea ha proposto un piano di aiuti all’Ucraina da 11 miliardi di euro in due anni. Il presidente russo, Vladimir Putin è stato subito informato della richiesta nel Referendum del 16 marzo e ne ha discusso in una riunione d’emergenza del Consiglio di sicurezza russo.