Cronache dai Palazzi
L’Italia non va in Europa per farsi dare “i compiti da fare a casa”. Dopo aver incassato i moniti della Commissione europea, il premier Renzi corona il suo esordio a Bruxelles sottolineando che “l’Italia sa perfettamente da sola cosa deve fare e lo farà” per il bene delle nuove generazioni.
Per Bruxelles gli aggiustamenti strutturali sono comunque insufficienti e a proposito di conti il Belpaese, insieme a Croazia e Slovenia, registra “squilibri macroeconomici eccessivi”. L’Italia è inoltre il “sorvegliato speciale” perché, al contrario di Croazia e Slovenia, fa parte dell’Eurozona, e da qui la paura del contagio. L’Europa teme il nostro enorme debito pubblico e una competitività sempre più debole. La Commissione europea accusa l’Italia di non aver messo in campo riforme in grado di far uscire il Paese dalla palude della scarsa produttività e avverte: “un’azione decisiva è particolarmente importante considerate le dimensioni dell’economia italiana”. È necessario “ridurre il rischio di conseguenze avverse sull’economia italiana e su quelle dell’Eurozona”. Le riforme messe in campo non sono sufficienti e soprattutto non sono ancora realtà. La crescita è ancora inesistente.
“L’alto debito pubblico pone un pesante vincolo sull’economia” – ammonisce l’Ue – rendendo la crescita cronicamente debole. In questo contesto di dati negativi l’Esecutivo in carica mette comunque le mani avanti: “Sapevamo che i numeri non erano quelli che Letta raccontava”, mentre l’ex ministro Fabrizio Saccomanni definisce “incomprensibili e immotivati” i commenti sull’eredità dei conti pubblici lasciati dal Governo Letta. Per Saccomanni “c’è stata una lettura non pienamente corretta di quello che è successo” ed esclude “nel modo più assoluto che vi siano buchi o che ci sia bisogno di manovre correttive”. L’ex ministro dell’economia sottolinea che il Governo Letta “è stato il primo Governo che ha restituito i soldi alle imprese” e rimarca i 50 miliardi di indebitamento che il precedente Esecutivo ha dovuto sostenere per favorire “le operazioni di salvataggio di Paesi come Grecia o Irlanda e per alimentare il meccanismo europeo di stabilità”.
Da novembre ad oggi la Commissione europea ha comunque peggiorato il proprio giudizio sulle condizioni della nostra finanza pubblica e occorre correre ai ripari. “Non possiamo scherzare”, ricorda ai suoi Renzi ribadendo l’obiettivo primario del suo Governo: “lavoro e crescita, crescita e lavoro”. Renzi chiede però di avere “la pazienza di aspettare” e sottolinea la necessità di “andare avanti con le riforme” per tentare di “cambiare verso”. Di concerto, il Tesoro puntualizza che le riforme messe in moto sono “in linea con le indicazioni”.
Ora ci si focalizzerà su “crescita e occupazione” e il dicastero di Pier Carlo Padoan assicura che le dichiarazioni di Olli Rehn “sulla necessità che l’Italia avvii un ambizioso piano di riforme trovano piena condivisione da parte del Governo. L’Esecutivo intende infatti dare una svolta al processo di riforma per rafforzare la competitività e garantire una crescita forte, sostenibile e ricca di posti di lavoro”. In sostanza, per l’Europa “durante il 2013 l’Italia ha fatto dei progressi verso i suoi obiettivi di bilancio a medio termine” ma “l’aggiustamento del bilancio strutturale nel 2014 così come lo si prefigura oggi appare insufficiente a ridurre il grandissimo debito pubblico a ritmo adeguato”. La scarsa produttività pesa sul bilancio complessivo e rende l’Italia un Paese a rischio in quanto estremamente fragile. L’Italia ha bisogno di “misure decisive e urgenti” tra le quali una drastica spending review, un visibile taglio dei costi sul lavoro, un efficace aggiustamento della riforma sul lavoro. Non è sufficiente un mero abbassamento dello spread per cantare vittoria e, soprattutto, le riforme non si promettono ma si devono fare. In sostanza le promesse sono scadute.
“Alti livelli di corruzione, di evasione fiscale, di inefficienza nel sistema giudiziario e nella pubblica amministrazione”, insieme all’alto debito pubblico e alla bassa competitività, sono gli elementi negativi che caratterizzano il Belpaese e che hanno scatenato lo “specific monitoring” da parte dell’Unione europea. Il 2 giugno la Commissione Ue consegnerà le pagelle e se l’Italia non sarà in regola scatterà l’ennesima procedura di infrazione per eccesso di squilibrio macroeconomico.
Renzi non molla e promette che il suo Governo annuncerà il pacchetto di riforme mercoledì prossimo: la famigerata riforma del mercato del lavoro e degli ammortizzatori sociali; la sforbiciata di circa 10 miliardi del cuneo fiscale prevista per il 2014; il piano per la ristrutturazione delle scuole; il pagamento strutturale dei debiti arretrati della pubblica amministrazione.
La priorità è quella di uscire dalla stagnazione ma la questione è aggredire i problemi evocando una nuova stagione di crescita economica “compatibile con l’equilibrio dei conti pubblici”, come ha sottolineato il presidente Napolitano dall’Albania. I teorici del rigore – Olli Rehn e Angela Merkel in testa – dovrebbero in pratica comprendere che l’austerità non risolve la disoccupazione e non crea nuovi posti di lavoro, al contrario alimenta il sentimento antieuropeo e lo scetticismo popolare nei confronti dell’Europa che è già ben sedimentato all’interno di vaste sacche dell’opinione pubblica italiana.
Il cambiamento insito nel governo Renzi è il seguente: guardare all’Europa dall’Italia, più che guardare all’Italia dall’Europa. Un fondamentale cambiamento del punto di vista che, inevitabilmente, è destinato a ripercuotersi sui rapporti diplomatici e sulle decisioni da prendere in materia di crescita economica. Il neopremier, infine, appare destramente consapevole del lavoro diplomatico da portare avanti e in vista del prossimo Consiglio europeo – il primo vero appuntamento ufficiale all’interno dei Palazzi d’Europa per Matteo Renzi – e dichiara che “ci sarà bisogno di fare sponda con qualcuno sulle misure economiche”.
Sarà proprio questo il nocciolo della questione nei prossimi mesi e forse nei prossimi anni: creare un fronte in Europa che sappia fronteggiare le richieste di austerity e di rigore che rischiano di affossare le economie, seppur più timide, di Paesi come l’Italia che devono tenere sotto controllo i propri conti pubblici e, nel contempo, devono necessariamente rialzarsi.
La riforma della nuova legge elettorale, infine, è stata rinviata alla prossima settimana e Matteo Renzi ha tenuto a sottolineare che il tutto si sta svolgendo all’interno dei parametri della sua “agenda”. “Abbiamo aspettato otto anni, due o tre giorni in più non fanno la differenza”, avrebbe dichiarato il neopremier.
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