Economia del mare, risorse da valorizzare
Cantieristica, pesca, compagnie di navigazione, porti commerciali, porti turistici, più l’indotto a beneficio degli ‘hub’ portuali, per il commercio e per il turismo: tutto questo è il Mare che in Italia, circondata da 7.500 chilometri di coste e costellata di porti e città grandi e piccole cresciute sulla portualità fin dal tempo delle repubbliche marinare, rappresenta una ‘vocazione’ economica. Ben 15 Regioni e 600 Comuni sono bagnati dal mare. Alcuni settori dell’economia del mare, che pure nel suo complesso ha retto la crisi, sono in difficoltà. Ma ci sono quelli che, come la nautica, hanno piantato le ancore all’estero e su queste stanno facendo forza per rimuovere le loro attività dalla secca della crisi.
In Italia l’economia del mare conta 41 miliardi di euro di valore aggiunto prodotto nel 2011 (ultimo dato complessivo disponibile), pari al 2,9% del totale nazionale e a quasi il doppio di quello prodotto da un settore come le Telecomunicazioni (22 miliardi di euro).Sul piano del lavoro, il settore conta circa 800mila occupati. Quasi un terzo dei 41 miliardi di euro prodotti dal settore deriva dal turismo: dalle attività di alloggio e ristorazione (31%; quasi 13 miliardi di euro), seguite dalla ricerca, regolamentazione e tutela ambientale, che contribuisce a quasi un quinto (18%; più di 7 miliardi di euro) del valore aggiunto complessivamente prodotto dal sistema economico marino e colloca l’economia del mare italiana in una posizione promettente per capacità di innovazione e salvaguardia del patrimonio naturale. Le attività sportive e ricreative rappresentano poi un valore aggiunto prodotto di 2,5 miliardi di euro (6%); che, sommato ai quasi 13 miliardi di euro prodotti dai servizi di alloggio e ristorazione, porta ad una capacità produttiva mostrata dal settore turistico che supera di poco i 15 miliardi di euro, oltre un terzo (37%) dell’economia del mare.
In termini di presenze, nel 2011 le località marine hanno registrato oltre 22 milioni di arrivi (21,5% del totale, seconde solo alle città di interesse storico-artistico) e poco più di 119 milioni di presenze (30,8% del totale, prime in assoluto). Sempre nel settore turistico non vanno dimenticati i circa 150 mila posti barca. Mentre, le attività più tradizionali dell’economia del mare (cantieristica, trasporti, filiera ittica e industria estrattiva marina) rappresentano insieme circa il 45% del valore aggiunto prodotto dal settore. In particolare, cantieristica e movimentazione merci e persone producono tra il 15 e il 16% ciascuno (attorno ai 6,5 miliardi); intorno al 6-7% (tra i 2,5 e i 3 miliardi) la filiera ittica e dell’industria estrattiva.
Un “settore nel settore” appare l’infrastrutturazione portuale: in Italia sono presenti oltre 500 strutture portuali, fra turistiche e commerciali, fra le quali si contano quasi 80 porti turistici e quasi 350 polifunzionali, oltre ai più di 100 punti di ormeggio. Dal punto di vista della distribuzione sul territorio, l’economia del mare italiana si concentra prevalentemente nel Centro-Sud (60% del valore aggiunto e 64% in termini di occupati), ed è particolarmente importante in Regioni come il Lazio, la Sicilia, la Campania e la Puglia, che insieme coprono circa il 40% del valore aggiunto dell’economia marina nazionale e il 43% degli occupati.
Numeri importanti, che però non mettono in atto le reali potenzialità della ‘risorsa mare’. La ragione è nell’eterogeneità settoriale dell’economia del mare. La soluzione appare quindi l’integrazione: in primo luogo tra le politiche, da quelle dei trasporti a quelle agricole e ambientali, industriali e dell’innovazione, insieme a quelle sociali e del lavoro. In secondo luogo, un grande lavoro di integrazione deve essere effettuato tra le imprese, per creare reti e filiere coerenti e coese, anche attuando una politica dei trasporti marittimi integrata con quella terrestre per ampliarne gli effetti moltiplicativi sul resto dell’economia. Una terza ‘leva’ risiede nell’attuazione delle raccomandazioni della Commissioni europea, che individua la ‘Blue Economy’ come una risorsa del continente e la ‘Blue Growth’ come una via di uscita dalla crisi, da percorrere con il duplice obiettivo economico e di conseguimento degli obiettivi della Strategia Europa 2020 per una crescita intelligente, sostenibile e inclusiva: uno strumento, quello ‘eco-sostenibile, già utilizzato da quel 24% di imprese legate al mare che hanno investito o programmato di investire in tecnologie green nel quadriennio 2009- 2012.
L’economia del mare così organizzata e valorizzata, potrebbe rappresentare anche grazie al valore aggiunto della ‘filiera allargata’ che ne deriverebbe e alle innovazioni introdotte in attuazione delle indicazioni europee, il 10 per cento dell’Economia del Paese: una sfida per il Governo Renzi, e in particolare per i Ministri alle Infrastrutture Lupi, all’Agricoltura Martina, alle Attività produttive Guidi e all’Ambiente Galletti.
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