Patto di stabilità, serve un ritocco
“L’Europa non deve essere la causa del problema, ma la possibile soluzione”. Questo, in estrema sintesi, è il pensiero del premier, Matteo Renzi, dopo l’incontro con il presidente della Commissione europea, Manuel Barroso. Il motivo della visita a Bruxelles della settimana scorsa era chiaro: solo con la crescita del Pil l’Italia può continuare ad erodere la mole del debito. La ricetta è piuttosto semplice e mira a liberare i fondi strutturali dai vincoli posti dal Patto di stabilità. Una maniera anche per premiare i Comuni virtuosi, consentendo di spendere quanto hanno in cassa per aggiustare le scuole, rifare le strade e tornare ad investire.
“L’Italia deve rispettare i patti”, è stato il monito di Barroso prima dell’incontro con Renzi che ha subito risposto: “L’Italia rispetta tutti i vincoli”. Insomma il braccio di ferro è appena iniziato. Il premier pare molto determinato perché sa che per cambiare l’Europa occorre iniziare da una cosa per volta. La prima proposta di cambiamento è partita dal presidente della conferenza Stato-Regioni, Vasco Errani, che chiedeva appunto al governo di escludere i fondi europei dal Patto di stabilità interno, “altrimenti è chiaro che non potremo spendere le risorse” e “senza interventi pubblici il Paese non è in grado di fare un salto”. Più che un salto, si tratterebbe di rimettersi in moto e, di questi tempi, tornare a muoversi sarebbe già un bel traguardo. Una cosa per volta, si diceva. Ma con convinzione. I fondi strutturali Ue sono già fuori dal Patto, proprio perché mirati agli investimenti. Ma non è così per le risorse italiane che li accompagnano: i fondi spesi devono essere cofinanziati dal Paese membro al 50 per cento. Giusto per rendere meglio l’idea, il cofinanziamento italiano dei vecchi fondi europei non ancora spesi, relativi al periodo 2007-2013, è pari a 9 miliardi di euro da sbloccare in due anni (2014-15) prima di perderli definitivamente. Se finissero fuori dal Patto di stabilità interno – quell’insieme di tetti di spesa fissati dal 1999 nella legge di Stabilità per fare in modo che anche a livello locale non si sfori il limite europeo del 3 per cento tra deficit e Pil – darebbero una bella boccata d’ossigeno al Governo alla ricerca degli ormai noti 10 miliardi per tagliare il cuneo fiscale.
Un discorso diverso meritano i Comuni virtuosi, quelli in pareggio o addirittura in avanzo di bilancio ma che non possono spendere un solo euro a causa del Patto di stabilità. Regole non certo lungimiranti quelle europee perché non fanno distinzione, non premiano chi ha amministrato meglio il territorio. Anzi, tutti i sindaci sono vincolati allo stesso modo. Renzi vorrebbe cambiare anche questo sistema poco meritocratico, ma per farlo, ovviamente, ha bisogno di avere il consenso di Bruxelles. Premiare, dunque, chi ha i conti a posto, consentendo di spendere oltre i limiti del patto di stabilità. Nel frattempo, quelli “cattivi” con i conti in rosso dovranno seguire un percorso di risanamento. Mille Comuni lombardi hanno posteggiato in cassa circa un miliardo di euro. Impensabile che restino lì senza poter essere usati, nonostante l’emergenza.
Se Manuel Barroso fa buon viso con l’Italia, aspettando il 10 aprile il Def (il documento di Economia e finanza emesso dal Tesoro) e il piano nazionale delle riforme per capire se le misure del governo si coniugano con il rispetto dei parametri economici, il presidente del Parlamento europeo, Martin Schulz, fa il tifo per il nostro Paese e “lotta” con Renzi per un’Italia “forte” e una Ue “solidale”. Per sapere quanto, bisognerà aspettare e capire fino a che punto Renzi riuscirà a farsi ascoltare da Bruxelles. “L’Italia non viene in Europa come uno studente fuori corso – ha avvertito il premier – ma come un paese fondatore che rispetta i vincoli”.
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