Le Pen, una vittoria apparente
La Francia è un paese chiave in Europa ed è quindi giusto che quello che vi succede interessi direttamente tutti gli europei e in particolare noi italiani e si cerchi di trarne le opportune lezioni. Purché, però, lo si interpreti correttamente e senza stupidi sensazionalismi. Nel primo turno delle amministrative, il Fronte Nazionale di Marine Le Pen ha avuto una buona affermazione, non il trionfo di cui si parla con faciloneria. In tutto il Paese ha avuto il 4,5% dei voti. Poiché in molti comuni non si presentava, è lecito pensare che questa percentuale sia da elevare, ma non arbitrariamente.
Nelle elezioni presidenziali del 1995, Le Pen giunse secondo col 15% dei voti, grazie alla folle decisione dei socialisti di dividersi tra due candidati. Al secondo turno, gaullisti e socialisti votarono per Chirac, che stravinse con l’83%. Segno che la stragrande maggioranza dei francesi non voleva avere niente a che fare con l’estrema destra. Vedremo ora quello che accadrà al secondo turno e se i candidati del FN entrati in ballottaggio ce la faranno. Ma anche se alcuni vincessero, anche se il FN potesse sostenere di avere in tutto il Paesi un 20% di elettori e magari conquistasse un successo alle europee, resterebbe sempre una forza minoritaria, isolata dal resto come è isolato da noi il Movimento 5Stelle. E al governo ci resteranno, per tre anni ancora, i socialisti e poi tra tre anni magari torneranno i gaullisti, grazie a un saggio sistema elettorale, e gli uni e gli altri faranno la politica della Francia, non il FN. Perché in Francia, checché ne dica la stampa impressionistica, non ha vinto Marine Le Pen, come da noi non vinse Grillo. In democrazia vince chi ha la maggioranza o la possibilità di condizionarla. La Le Pen e Grillo possono fare tutti i trionfalismi che vogliono, ma non hanno né l’una né l’altra. La Storia la fanno altri.
In realtà, in Francia, più che vincere la destra, hanno perso i socialisti, al governo da due anni. Nel ciclo interminabile di alternanza repubblicana, I gaullisti si sono presi una rivincita, tanto che lo sconfitto Sarkozy può rialzare a buon diritto la testa, ma non è lui che ha vinto, è Hollande che ha perso, così come due anni non fu Hollande a vincere ma lui a perdere. Una realtà fondamentale della democrazia occidentale è che ormai regolarmente gli elettori puniscono i partiti al governo. È successo in Francia, in Inghilterra, in Spagna, in Italia. È successo in passato, e tornerà a succedere, in Germania, negli Stati Uniti, dovunque. Perché? Perché nessun governo è perfetto e perché è troppo umana la tendenza ad attribuire al governo di turno problemi che sono strutturali e nelle cose. Specialmente in periodi di depressione economica, quando la gente sente con maggiore asprezza i problemi quotidiani ed è meno tollerante verso chi la governa.
Questo aiuta a capire le ragioni del voto francese. Troppo facilmente si è detto che è un voto contro l’Europa. Il FN è eurofobo, come lo sono da noi Grillo e la Lega, ma la gente lo ha votato per altri motivi: principalmente per il gravissimo problema dell’immigrazione, giunta a livelli patologici e che nessun governo di destra o di sinistra ha saputo affrontare. Ho parenti e amici in Francia e so che molti francesi non si sentono più a casa propria, Se Francia ed Europa non adottano finalmente una politica restrittiva, le cose andranno sempre peggio. E poi c’è la crisi economica, che in Francia si fa sentire appena meno che da noi. Non ne sono immediatamente colpevoli né gaullisti né socialisti, se non, come da noi, per le tante inadempienze del passato, ma le politiche di austerità che essa impone per evitare il peggio colpiscono duramente e la gente le attribuisce a una specie di capriccio o incompetenza del governo di turno (è successo da noi con Monti). A questo si uniscono gli evidenti limiti di Hollande, i problemi personali che non ha saputo evitare dopo tante fiere promesse di serietà.
E tuttavia sarebbe sciocco ignorare le critiche contro l’Europa di cui il voto francese e quello italiano del 2013 sono un indicatore pericoloso. Ha ragione il Presidente del Consiglio Renzi quando ammonisce che l’Europa deve cambiare passo. Le ragioni della sua esistenza sono tanto grandi e perenni che a volte possiamo dimenticare i suoi difetti. Solo chi ha la memoria criminalmente corta può voler ritornare ai nazionalismi dissennati del passato e ai conflitti fratricidi. Solo chi è incompetente o interessato può ignorare la necessità di un mercato ampio in un mondo globale. Solo chi è stupidamente provinciale può credere nel “piccolo è bello” e ignorare l’esigenza di un’Europa unita e forte che pesi nel mondo e parli da pari a pari con giganti come gli Stati Uniti, la Cina, l’India, la Russia; e sognare un utopico ritorno a una specie di arcadia domestica, in piccole patrie al riparo dai marosi dell’economia e della politica globali (sono certo che, ai tempi del Risorgimento, così doveva pensare molta gente, che avrebbe preferito rimanere freddolosamente all’ombra dei campanili e non navigare nelle acque perigliose ma affascinanti del mondo).
Dobbiamo però avere il coraggio di riconoscere che la nostra Europa ideale si è, col passar del tempo, anchilosata e hanno preso la prevalenza burocrati e ragionieri. Dobbiamo cambiare strada! Il tempo c’è ancora – ma non è troppo – e ci sono le condizioni politiche. In tutta Europa, nonostante l’emergere fisiologico di elementi eurofobi minoritari, la maggioranza della gente si sente e vuole restare europea e continua a votare per i partiti che fanno dell’Europa la loro stella polare. Però il momento non è di timori o compiacenze. Il momento esige che ognuno prenda posizione chiaramente, apertamente,senza ambiguità. La battaglia per l’Europa non è una battaglia secondaria. È quella essenziale, prioritaria, per il futuro nostro, dei nostri figli e del nostro continente. Se perdiamo quest’occasione storica di reagire, saremo colpevoli anche noi del rischio di una disastrosa involuzione a tempi che credevamo cancellati. E sarà la festa dei fascismi e dei nazionalismi di ogni tipo e colore. I quali poi, superficialmente uniti da una stessa ideologia eurofoba, non tarderanno a fare quello che sempre fanno i nazionalismi: farsi la guerra tra loro.
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