Non paiono solo dodici anni
Sono passati appena dodici anni da quando Indro Montanelli ha smesso di battere i tasti della sua Lettera22. Ventidue, come quel giorno di luglio del 2001 quando decise di spegnere la sua luce nella camera di una clinica milanese. Decise, perché siamo convinti che anche in quell’ultima circostanza non abbia voluto abbandonare la sua testarda – quasi anarchica – autonomia dai condizionamenti.
Appena dodici anni, ci meravigliavamo, perché appare come un ricordo d’altri tempi il suo giornalismo talmente autorevole da consentirgli di schierarsi per chiunque e su qualunque fatto ritenesse di voler scrivere, anche con la sua mai celata e ondivaga faziosità.
Oggi, dopo solo dodici anni, non vediamo più tante penne come la sua tra le colonne dei giornali: forse bastano le dita di una mano per contarle. Tant’è che molti sono solo cronisti per appagare il proprio ego (ed anche faziosi, questo sì e pure indebitamente) ma pochi i giornalisti per “sana passione”.
Ai giovani che spesso desiderano iniziare questo mestiere bisognerebbe confessare che il mestiere del giornalista non si impara – semmai i maestri ti possono far scoprire gli strumenti (le fonti, le tecniche, le verifiche) per scrivere notizie – ma “essere” giornalista è cosa diversa. E’ dote che non si acquisisce (semmai si scopre in sé stessi e la si coltiva) quella di avere la passione di informare chi ti legge. C’è chi pare scriva solo per sé, per digitare una sequenza di parole sullo schermo del proprio pc e per vedere poi la propria firma stampata in neretto.
Mentre è noto come Montanelli dicesse di sé «condannato al giornalismo, perché non avrei saputo fare niente altro»: stava qui il suo essere giornalista per passione.
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