Edilizia e infrastrutture, aumenta il consumo di suolo

L’inverno è stato duro: dalla Sardegna all’Emilia, dalla Liguria alla Calabria fino alla Capitale, frane e alluvioni sono drammaticamente aumentate. Colpa dei fenomeni climatici, esasperati dal Global Warming; ma è vero anche che il territorio è sempre meno in grado di sopportarne gli effetti se, come rivela il Rapporto dell’Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale ISPRA sull’uso del suolo, solo negli ultimi tre anni il cemento ha ricoperto in Italia un’area pari ai comuni di Milano, Firenze, Bologna, Napoli e Palermo. Oltre ad impermeabilizzare le superfici che dovrebbero assorbire acquazzoni e ‘bombe d’acqua’, la cementificazione ha contribuito a riscaldamento globale e precipitazioni violente se, come spiega il Rapporto, ha comportato dal 2009 al 2012 l’immissione in atmosfera di 21 milioni di tonnellate di CO2: come se nella rete viaria fossero stati introdotti  4 milioni di utilitarie in più, pari all’11% dei veicoli circolanti nel 2012, con una percorrenza di 15.000 chilometri l’anno, per un costo complessivo stimato intorno ai 130 milioni di euro. Dati che inducono anche i non ambientalisti a svecchiare un approccio ormai datato all’economia del cemento e guardare alla cementificazione alla luce di moderni e razionali calcoli costi-benefici.

Partendo, ad esempio, da una domanda: di quei 720 chilometri quadrati di territorio nazionale edificati dal 2009 ad oggi, quanti avrebbero potuto essere risparmiati con il ‘riciclo’ ed il ‘riuso’ di aree già edificate? Un’idea che chiunque può avere semplicemente guardando fuori dai finestrini durante un viaggio in una qualunque area del territorio italiano devastato dalla crisi. Dalla Capitale, dove al centro del prestigioso quartiere Eur convivono nuove edificazioni ed edifici sventrati, fino alle aree industriali di centinaia di capoluoghi costellate di capannoni abbandonati, chiunque può farsene un’idea. Le potenzialità anche economiche di un’attività di uso razionale dei suoli edificati e di riutilizzo di aree già compromesse anche attraverso il metodo della demolizione e ricostruzione, applicato all’estero ma non da noi, sono enormi. Realtà evidente a tutti ,anche se finora poco documentata; ma, come ha commentato il Ministro Galletti, “il Rapporto dell’Istituto del Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare è la dimostrazione che in Italia esiste un sistema pubblico in grado di assicurare elevati standard di qualità nel monitoraggio dell’ambiente e di rendere disponibile una base informativa utile alla valutazione del fenomeno”. Grazie a questi dati, è possibile oggi affrontare razionalmente quella che si può definire Questione Uso del Suolo in Italia, non a caso oggetto di un disegno di legge quadro in discussione nelle Commissioni Ambiente e Agricoltura della Camera.

Ed eccoli, i dati che devono indurre a guardare all’edificazione sotto il profilo del rapporto costi-benefici. Primo, la già citata immissione di 21 milioni di tonnellate di CO2 nell’atmosfera. Secondo: in base ad uno studio del Central Europe Programme, per il quale un ettaro di suolo consumato comporta una spesa di 6.500 euro solo per la parte relativa al mantenimento e la pulizia di canali e fognature, il costo della gestione dell’acqua non infiltrata in Italia dal 2009 al 2012 è stato stimato intorno ai 500 milioni di Euro. Terzo, il consumo di suolo produce forti impatti anche sull’agricoltura e quindi sull’alimentazione: se i 70 ettari di suolo perso ogni giorno fossero stati coltivati ad esempio a cereali, nel periodo 2009-2012 la produzione nazionale sarebbe stata maggiore di 450.000 tonnellate di cereali, per un valore di 90 milioni di Euro nei soli tre anni e una notevole riduzione della dipendenza italiana dalle importazioni. Ma il dato più drammatico è dovuto al fatto che, come ancora Galletti ha spiegato, il “dissesto idrogeologico, proprio a causa dell’uso dissennato del territorio, spesso ha conseguenze gravissime, soprattutto in termini di perdita di vite umane”.Dissesto dovuto alla incapacità delle superfici libere dal cemento di assorbire le piogge: problema noto ma tra il 2009 ed il 2012 noi, tenendo presente che un suolo pienamente funzionante immagazzina acqua fino a 3.750 tonnellate per ettaro, ovvero circa 400 mm di precipitazioni, per via della conseguente impermeabilizzazione abbiamo perso una capacità di ritenzione pari a 270 milioni di tonnellate d’acqua che non si infiltra nel terreno e quindi sarebbe stato necessario incanalare e gestire: altro settore, accanto a quello delle demolizioni e ricostruzioni in loco, quello della regimazione delle acque, nel quale le risorse dell’industria edilizia avrebbero potuto essere state anch’esse ‘riutilizzate’ ma non lo sono state.

Ma dove sono impegnate, invece, le energie del cemento e quali sono i settori che consumano nuovi suoli per la cementificazione? L’ISPRA evidenzia che non è solo l’edilizia: in Italia si consuma suolo anche per costruire infrastrutture, che insieme agli edifici ricoprono quasi l’80% del territorio artificiale. Si tratta di strade asfaltate e ferrovie pari al 28%, strade sterrate e infrastrutture di trasporto secondarie  per il 19%, seguite dagli edifici con il 30% e da parcheggi, piazzali e aree di cantiere con il 14%. E dove si cementifica di più? A livello regionale, al primo posto sono Lombardia e Veneto, con oltre il 10% del suolo impermeabilizzato. Seguono  Emilia Romagna, Lazio, Campania, Puglia e Sicilia, tutte tra l’8 e il 10%. I comuni più cementificati d’Italia sono  Napoli, con il 62,1%, Milano con il 61,7%, Torino che si colloca al 54,8%, Pescara al 53,4%, Monza con il 48,6%, poi Bergamo al 46,4 e Brescia al 44,5. Questo è il quadro che raccontano i dati all’Italia e agli Italiani. Un quadro che fa pensare: il territorio è la prima infrastruttura del Paese e la Questione Uso del Suolo è ormai  vitale. Non solo per l’ambiente, l’agricoltura o il paesaggio: ma per case e città, e per salvare vite umane.

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