La NATO e i deliri di un esperto

Ho letto nell’edizione di Repubblica di giovedì scorso un raccapricciante articolo di Barbara Spinelli sulla NATO e ho dovuto più volte pizzicarmi per convincermi che non stavo sognando, non era un incubo: tutto era lì, scritto e firmato, con la forma paludata che è propria a quel quotidiano. Nell’articolo, rifacendosi largamente e senza il minimo appunto critico alle conclusioni di un tal Seymour Hersch, presentato come un autorevole, quasi infallibile, esperto di politica internazionale, la Spinelli dichiara l’Alleanza Atlantica inutile, anzi, dannosa.

Il ragionamento (mi sforzo di dare un certo ordine a una serie di dissennatezze) è più o meno il seguente: la NATO vale in funzione della leadership americana. Ora questa leadership si è appannata, si è fatta incerta e insicura. Per converso, la Turchia ha usurpato il ruolo centrale nelle vicende del Medio Oriente, in combutta con l’Arabia Saudita e il Qatar, e con il tacito “permesso”di USA e NATO conduce una guerra all’ultimo sangue contro l’Iran e il suo alleato siriano. Sarebbe essa ad aver promosso e finanziato la rivolta contro Assad, armando Al-Qaeda, e sarebbe persino lei ad aver condotto l’attacco con armi chimiche (prese dai vecchi arsenali libici) nel tentativo di obbligare gli Stati Uniti a intervenire (tentativo fallito, visto che Obama si è fermato a tempo).

Non so quali segrete informazioni abbia Hersch per affermare con tanta sicurezza queste cose. Io comunque ho più volte scritto che dietro quello che realmente succede in Siria sappiamo assai poco e un intervento armato occidentale, sia pure limitato a raid aerei, sarebbe stato un disastro, non facendo che complicare una situazione già oscura. Il fatto che Obama, dopo essersi con scarsa abilità  “ingabbiato” con la famosa dichiarazione della “linea rossa”, si sia tirato indietro all’ultimo minuto, affrontando tra l’altro un certo discredito, l’ho giudicato e continuo a giudicarlo un gesto di coraggiosa intelligenza politica oltre che di una prudenza che invano chiederemmo ai nostalgici di Bush e ai talebani  della destra americana. Vi sono momenti in cui la vera lungimiranza, il vero coraggio di un leader si misurano dalla capacità di fermarsi sulla strada errata per impedire nuovi e peggiori errori. Vale il ricordo di Kennedy, quando – sfidando militari, CIA e parte della sua Amministrazione – negò l’appoggio aereo per la disastrose invasione di Cuba, già a quel momento fallita.

Ma quello che è davvero lamentevole è l’ignoranza di certi esperti che non sanno – o fingono di non sapere – che la NATO è sorta e continua a esistere per gli scopi indicati nel Trattato fondatore agli articoli 4, 5 e 6 (cioè, in chiare lettere, per la difesa collettiva dell’area euro-atlantica contro minacce esterne) e il Medio Oriente non è tra i suoi compiti primari né qualificanti (altrimenti, che ci starebbero a fare Polonia, Repubblica Ceca, Ungheria, Paesi Baltici, nazioni nordiche come l’Islanda e la Norvegia lontanissime da quell’aerea e dai suoi problemi?). In verità, delle teorie dei pretesi esperti, specie sulla NATO, sono abituato da sempre ad avere scarsissimo conto. Un tratto che li caratterizza è la sconoscenza della realtà, una visione astratta e accademica delle cose, il piacere di crearsi teorie talvolta fumose, sempre influenzate da personali ideologie o frustrazioni. Ho già raccontato che quando fu deciso di mandarmi a rappresentare l’Italia alla NATO, all’inizio degli anni Novanta, l’opinione unanime  tra gli esperti era che essa fosse un ferrovecchio sopravvissuto alla Guerra Fredda, una sorta di cadavere tenuto in vita dalla forza d’inerzia e dalla decenza che impediva agli europei di voltare le spalle all’alleato che per quarant’anni ci aveva protetti, impedendoci di cadere nelle mani dell’URSS. A questa opinione non erano estranei neppure personaggi di grande esperienza e intelligenza politica, come Giuliano Amato e Nino Andretta, che amichevolmente cercarono di dissuadermi dall’accettare quel posto. Io insistetti, perché mi piaceva (e mi piace) ragionare con il mio cervello, e non me ne pentii. I cinque anni trascorsi a Bruxelles, sedendo al tavolo del Consiglio Atlantico, sono stati tra i più intensi  e operativi della mia intera vita professionale. La NATO, che aveva costituito per quarant’anni la solidissima roccia contro la minaccia sovietica, si trasformò in garante della stabilità e della pace nell’Europa che usciva dal socialismo reale con tanti conflitti irrisolti, etnici, religiosi, civili. Salvammo Sarajevo dalla distruzione, pacificammo la Bosnia, proteggemmo il Kosovo e ponemmo finr al regime genocida di Milosevic a Belgrado, portammo al Tribunale dell’Aia decine di criminali di guerra, offrimmo una sponda di sicurezza ai Paesi usciti dal Patto di Varsavia e poi ai Baltici, mantenendo tuttavia un vincolo di consultazione e collaborazione con la Russia di Eltsin. Nel decennio successivo, l’Alleanza coordinò e diresse le operazioni di Peace-keeping in Afganistan e l’azione aerea che portò alla fine del regime di Gheddafi in Libia. Ma, lo ripeto ancora una volta, non sono neppure questi, pur salutati come indiscutibili successi dell’Alleanza, la sua primaria ragion di essere.

La NATO, non dimentichiamolo mai, è innanzitutto una forza militare altamente integrata e capace, in grado di difendere l’intera Europa e il Mediterraneo e di proiettarsi nelle aree ad essi vicine. È ancora utile questa difesa? La sfortuna del signor Hersch vuole che le sue fumose teorie sono venute fuori proprio quando la Russia di Putin tirava fuori di nuovo gli artigli e nuovamente proiettava sui vicini l’ombra minacciose del suo imperialismo. Spero per lui che il suo studio sia stato concluso prima della crisi ucraina, solo così avrebbe qualche scusante. Ma nessuna scusante ce l’ha Barbara Spinelli, che riprende e avalla quelle teorie quando la rinnovata minacciosità russa è sotto gli occhi di tutti (di tutti, a dire il ero, no: Berlusconi, beato lui, non la vede così). Ci spieghi cortesemente la signora Spinelli: come ci difenderemmo se la NATO e con lei la presenza americana in Europa venissero meno? Ma si, certo, lei la risposta l’ha data: una difesa comune europea. Sulla quale non potrei essere più d’accordo. Soltanto che sono anni che ne parliamo e non riusciamo mai a ingranare la marcia giusta. Mi spieghino: come facciamo a persuadere inglesi, polacchi, cechi, ungheresi, baltici, tutti quelli cioè che quando parlano di sicurezza intendono NATO e Stati Uniti? E ci dicano un po’: come finanzieremmo noi europei una difesa al livello di quella che ci assicura la partecipazione statunitense?  Qualcuno ha spiegato loro che gli USA spendono per la difesa più del 4% del loro PNB (il prodotto nazionale lordo) e noi europei neppure il 2%? Veniamo all’Italia: se chiudiamo le basi della NATO e se ne va la Sesta Flotta dal Mediterraneo, come ci difendiamo in futuro? Con gli F35 che non possiamo neppure permetterci?

La verità è che dietro queste amenità c’è la  vecchia, imperterrita dissennatezza di pensare che Stati Uniti ed Europa possano essere dissociabili in materia di sicurezza. Eppure, il timore di una dissociazione (il c.d. “decoupling”), ha costituito per quarant’anni la speranza sovietica e l’incubo degli europei (francesi compresi) ed è all’origine della storica decisione del 1979 sugli euro-missili, che pose un alt all’espansionismo sovietico in Europa. Adesso a riproporla è, a quanto pare, un’allegra alleanza tra la più rancida destra americana e il pensiero radical-chic di Repubblica. Proprio adesso che – Crimea docet – la sostanziale unità dell’Occidente è una necessità che grida sui tetti.

©Futuro Europa®

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