Turchia, la Corte Costituzionale boccia Erdogan

La Corte Costituzionale turca ha sfidato ancora una volta il Primo Ministro Recep Rayyip Erdogan annullando lo scorso 11 Aprile una parte della sua riforma giudiziaria, destinata a rafforzare il suo controllo sui magistrati, nel pieno dello scandalo che coinvolge il Primo Ministro e il suo Partito in casi conclamati di corruzione.

Una settimana dopo aver ordinato la fine del blocco di Twitter, il più alto organo giudiziario del Paese ha mostrato essere recidivo dichiarando contrari alla Costituzione i nuovi poteri concessi al Ministro della Giustizia sull’Alto Consiglio dei giudici e pubblici ministeri (HSYK), soprattutto per la parte riguardante la nomina dei giudici. La Corte Costituzionale era stata interpellata da un deputato del principale Partito di opposizione, che si era prontamente opposto a questa riforma che, ai suoi occhi, violava il principio della divisione dei poteri. “Questa legge è fatta di talmente tanti elementi incostituzionali che sarebbe parso strano che la Corte prendesse un’altra decisione”, ha dichiarato soddisfatto il vice Presidente del Partito Repubblicano del Popolo (CHP), Sezgin Tanrikulu. “La Corte Costituzionale appare ormai come un contro potere del Regime”, ha tenuto a puntualizzare Tanrikulu. “Questa sentenza afferma che, secondo la Costituzione, non ci può essere legge che contraddica l’indipendenza e la neutralità dei giudici e dei pubblici ministeri”, ha ribadito il Presidente dell’associazione dei fori di Turchia, Metin Feyzioglu.

Il Governo islamico-conservatore turco, al potere dal 2002, ha deposto questo progetto di legge dopo che a metà di Dicembre 2013 è esploso uno scandalo senza precedenti, che ha visto coinvolti in numerosi casi di corruzione decine di personaggi in vista vicini al Regime e soprattutto, prima volta in assoluto per un capo di Governo del suo calibro, Erdogan stesso. L’opposizione aveva immediatamente gridato allo scandalo e denunciato la volontà del potere di riprendere in mano il controllo della giustizia per soffocare le accuse. Oltre a questa riforma, il Primo Ministro aveva ordinato una serie di purghe nella polizia e nella magistratura, accusate di essere a loro volta manipolate dai suoi ex alleati e membri dell’Organizzazione del predicatore musulmano Fethullah Gulen nell’ambito di un complotto ordito per nuocergli. Grande vincitore delle elezioni amministrative dello scorso 30 Marzo, Erdogan ha promesso di presentare il conto a Gulen e ai suoi uomini, e punta dritto alle elezioni Presidenziali di Agosto, sempre più sicuro di vincerle.

La polemica, molto forte e sentita visto che è degenerata in un vero e proprio combattimento con tanto di calci e pugni nell’emiciclo parlamentare, aveva oltrepassato le frontiere del Paese, visto che molti alleati della Turchia, Unione Europea e Stati Uniti in testa, avevano apertamente messo in guardia Ankara su qualsiasi deriva autoritaria. Il Governo per tutta risposta ha tirato dritto, procedendo con una ulteriore ondata di nomine in tutto l’apparato giudiziario. “Quei magistrati devono assumersi le loro responsabilità e dimettersi immediatamente”, ha dichiarato Tanrikulu appena resa pubblica la sentenza della Corte Costituzionale.  Questa arriva nove giorni dopo un altro giudizio molto “politico” che ha imposto al Governo di sospendere l’oscuramento che aveva imposto a Twitter per sabotare la diffusione di intercettazioni telefoniche compromettenti sui social network. Furioso, Erdogan era stato costretto ad obbedire ma non  senza aver  detto prima pubblicamente tutto il male che ne pensava. “Dobbiamo sicuramente applicare il giudizio della Corte, ma non lo rispetto”. Queste le sue parole. Il Presidente della Corte Costituzionale, Hasim Kiliç, ha reagito con ironia a questa battuta del Primo Ministro definendola “impulsiva”. Il braccio di ferro tra l’Organo giuridico più importante della Turchia e l’uomo forte del Paese andrà sicuramente avanti, visto che la Corte Costituzionale dovrà pronunciarsi  a breve su di un altro divieto recentemente imposto dal Governo sulla condivisione dei video di You Tube. Malgrado due sentenze, le autorità hanno ancora ricordato la loro volontà di mantenere il blocco del sito di You Tube fintanto che la società americana proprietaria del colosso Google non ritiri alcune registrazioni, soprattutto quelle dove alti dirigenti pubblici chiedono un intervento militare in Siria.

Per ora, manifestazioni, scandali, morti hanno soltanto permesso di aprire gli occhi ad alcuni sul regime corrotto dell’AKP. Le elezioni amministrative, drammatizzate e personalizzate fino all’eccesso, si sono trasformate in un referendum pro o contro Erdogan. Il verdetto dell’urna ha imposto una prima sconfitta all’opposizione, aprendo la strada verso le presidenziali per il “nuovo sultano”. Un regno di 12 anni sulla Turchia che si prolungherà ancora per qualche tempo. A Parigi, Bruxelles e Washington si preferisce distogliere lo sguardo su tale deriva. Ankara è un alleato importante, per la Nato e per l’UE. Si è visto in questi giorni con il comportamento diverso tenuto con  Putin, Yanukovich e Erdogan: due pesi, due misure. Ma per molti osservatori Erdogan e l’AKP sono sulla strada del tramonto, è solo questione di tempo.

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