La riforma della Giustizia

Anche se il Premier ha impresso a questa fase dell’attività di governo un carattere riformatore, dubito che sia nei suoi piani immediati affrontare troppo presto la riforma della Giustizia. Il tema è senza dubbio centrale, e sempre più ci si rende conto che costituisce una delle condizioni per sbloccare anche la stessa economia. Ma sono più o meno vent’anni che governi e forze politiche si sono cimentati con questo problema senza cavare un ragno dal buco. Questo per varie evidenti ragioni: quella centrale è che una riforma del sistema è stata spesso identificata come una maniera per risolvere i problemi giudiziari di Berlusconi, e questo ha reso il dibattito difficile, quasi impossibile, e alla fine del tutto  improduttivo. Ma va anche tenuta in conto la tenace, ostinata resistenza corporativa dei magistrati, restii a qualsiasi cambiamento che ne intacchi i molti privilegi. Trattandosi di altri organi dello Stato, questa resistenza sarebbe stata possibile alla fine vincerla. Ma i magistrati hanno nelle mani un potere terribile e possono esercitarlo in modo da ricattare la classe politica, che ne ha un sacrosanto, e non ingiustificato, timore.

Sono venute meno queste ragioni di blocco? Certo no, anche se Berlusconi sta vivendo una triste parabola discendente e non è più in grado di condizionare il Parlamento.  Ma i tempi stanno cambiando e una riforma seria è forse oggi possibile. I difetti della Giustizia italiana sono sotto gli occhi di tutti e hanno attirato critiche e censure degli Organismi  europei: esasperante lentezza dei procedimenti, penali e soprattutto civili, norme procedurali bizantine, frequenza di errori o di arbìtri e, perché non riconoscerlo, comportamenti di alcuni magistrati ispirati a convinzioni politiche che dovrebbero restare completamente fuori da una sana amministrazione della Giustizia. Il risultato è che la fiducia della gente nella Giustizia italiana è scarsissima. Naturalmente, una parte dei difetti constatati è ineliminabile; la Giustizia è amministrata da uomini e donne fallibili come ogni altro essere umano e tutto quello che si può sperare è che le salvaguardie di un sistema che contempla vari gradi di giudizio consentano ragionevoli possibilità di riparare i possibili errori. Ma altri difetti sono perfettamente correggibili battendo varie strade: approfondita riforma delle norme di procedura, snellimento dei procedimenti, automatizzazione dovunque possibile, migliore distribuzione degli uffici giudiziari, regole chiare e obbligatorie per i tempi dei procedimenti; più effettiva verifica del lavoro dei magistrati e più efficaci sanzioni nei casi di mancanza grave;  netta e invalicabile separazione, nel penale, tra magistratura inquirente e giudicante.

Ho scritto in altre occasioni, e lo ripeto ora, che ritengo la responsabilità civile dei giudici una sciocchezza solo punitiva, il cui risultato sarebbe di paralizzare il lavoro della Giustizia. Ma ogni giudice, quale che sia la funzione e la posizione che occupi, deve poter essere chiamato a rispondere per le proprie mancanze.  Non è che questa possibilità manchi nelle norme attuali: è che il sistema com’è stato concepito funziona scarsamente. L’errore di base sta nell’affidare il giudizio sull’operato dei giudici ad un organismo in cui i giudici stessi sono parte costituente, accanto a rappresentanti di partiti politici portati a muoversi anch’essi su linee di parte. Riformare il Consiglio Superiore, rendendone la composizione slegata da correnti di magistrati o partiti politici, dovrebbe essere dunque una priorità. I modelli esistono, in altri Paesi europei avanzati e civili. Basta applicarli. E basta studiare come funziona la Giustizia in Paesi come la Germania o l’Inghilterra per capire quanto potremmo fare per migliorare quella italiana.

È però importante che ad un tema di tanta complessità si metta mano senza indebita fretta, con serenità e senza colpi ad effetto. In un recente fondo del Corriere, Angelo Panebianco ha sostenuto la necessità che il Governo crei una Commissione di esperti (magistrati e avvocati) di altissimo livello e ad essa chieda di avanzare proposte precise e concrete. Sono d’accordo, purché non si tratti di una delle tante commissioni il cui risultato è interrare i problemi, non risolverli, e purché ad essa sia dato un mandato chiaro e limitato nel tempo. Altrimenti, a metà millennio staremo ancora a discutere sui mali della nostra Giustizia.

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