Elezioni europee, la vera posta in gioco

Le elezioni europee sono state viste in passato più che altro come un mezzo per verificare la consistenza e il consenso delle rispettive forze politiche presenti sulla scena interna. Le attività del Parlamento Europeo, le sue funzioni – pur aumentate negli ultimi anni – sono poco conosciute e ancor meno comprese, per cui la scelta di rappresentanti da inviare a Strasburgo non è sentita come importante, anche perché i parlamentari europei non sono in grado di dispensare raccomandazioni e favori tipici della nostra politica, specie al Sud. Ma quest’anno le europee hanno una rilevanza tutta speciale. È che la posta in gioco stavolta è molto alta, sia sul piano interno che su quello europeo.

Sul piano interno, che – nell’ipotesi di una vittoria del PD renziano – la principale forza d’opposizione sia FI o il Movimento 5Stelle ha un’importanza evidente. Il tanto decantato bipolarismo si fonda su un’alternanza tra centro-sinistra e centro-destra, ambedue integrate e funzionali rispetto al sistema democratico e repubblicano. Ma l’irruzione di Grillo sulla scena ha cambiato le regole. Lo avevamo avvertito sin dal febbraio 2013 e per questo avevamo salutato con entusiasmo la versione italiana della grande coalizione, che metteva insieme quelle due forze in funzione di salvaguardia del sistema minacciato dalle orde grilline. Se l’accordo fosse stato fatto in buona fede e poi rispettato per lo spazio di una legislatura, si sarebbe aperta davvero una stagione di importanti riforme per l’Italia. Poi Berlusconi, più attento alle sue ripicche personali che agli interessi del Paese e degli stessi moderati che dice di rappresentare, ha fatto saltare tutto, assumendosi una responsabilità enorme, di cui tutti rischiamo di pagare il conto. I sondaggi che danno i grillini in crescita, e quasi sicuramente secondo partito, non fanno che confermare i timori di allora ma anche  rendere più lampante, la verità che affermavamo la scorsa primavera: nel nostro Paese, né il PD da solo, o con un gruppetto di alleati centristi, né Forza Italia con qualche alleato di estrema destra, hanno numeri ed autorità per governare stabilmente ed efficacemente.  È quindi logico e, direi, obbligatorio che uniscano le loro forze, come in Germania. Se il risultato delle europee dovesse, purtroppo, dare ragione a questa tesi, ci sarebbe da aspettarsi che PD, FI e Centro comprendessero la lezione e si sedessero a un tavolo per concordare insieme un percorso quadriennale serio, concreto, tale da riportare l’Italia fuori pericolo. Ma temo che la classe politica, nei suoi maggiori esponenti, resterà cieca e sorda alla realtà e continueranno a prevalere personalismi, ambizioni, calcoli di brevissimo termine. Quello che probabilmente avverrà è che la legge elettorale approvata dalla Camera, e fondata su una determinata visione del bipolarismo, che esclude i grillini, andrà ripensata.

La via maestra, lo diciamo da tempo, è in un sistema uninominale a doppio turno alla francese.  Il PD all’inizio lo sosteneva, poi Renzi ha ceduto ai diktat di Berlusconi alla ricerca di un consenso che adesso appare quanto mai fragile. Ma il PD, se convince il centro a seguirlo, i numeri li avrebbe per farsi la legge da solo. Altrimenti, si abbia il coraggio di accettare la proporzionale ora sulla carta in vigore, ma senza trucchi e nell’implicita intesa che, ove necessario, si formerebbe una vera, grande coalizione. Sogni a occhi aperti ? Forse. Ma la classe politica che ha portato l’Italia sull’orlo di una crisi anche politica gravissima, ha il dovere di trovarvi un rimedio superando vecchi steccati e calcoli personali e di parte.

Ma la posta in gioco è altissima anche sul piano europeo. Dai risultati delle elezioni in Italia dipenderà in buona parte la maniera in cui staremo nell’Unione. Ogni passo indietro sarebbe funesto per l’Italia, l’ho scritto e lo credo fermamente: non c’è avvenire per noi, per il nostro Paese, per i nostri figli, fuori delle alleanze europee e occidentali che ci hanno dato decenni di pace e di progresso e consolidato la democrazia, e che costituiscono per noi garanzia di sicurezza e di stabilità in un mondo sempre più complesso e difficile. Cosa saremmo se fossimo fuori di esse, isolati, portati a slittare verso una condizione mediterranea e terzomondista? Per questo, gli eurofobi sono traditori del Paese, ma sono traditori anche quelli che, per calcoli elettorali, gli seguono il gioco.

Ma, sul piano più generale, le elezioni in tutta l’Europa determineranno una composizione del Parlamento di Strasburgo da cui dipenderà in parte non secondaria il futuro dell’integrazione, la maniera in cui l’Unione saprà rispondere alle attese dei popoli e rafforzarsi nei settori della difesa e della politica estera in modo da essere davvero protagonista, e non comprimaria, sulla scena del mondo. Il prevalere di vocianti gruppetti eurofobi non potrà che rendere tutto più difficile e paralizzare i pur necessari passi avanti. E dal prevalere di uno  o l’altro dei maggiori gruppi politici (Popolari o Socialisti) o dalla eventuale necessità anche a Strasburgo di intese trasversali, dipenderà la scelta oggi chiave: quella del Presidente della Commissione, che deve tornare ad essere una figura carismatica, alla Delors, e non un grigio burocrate, per poter far riprendere all’Europa la marcia in avanti. Berlusconi si è adesso inventata l’elezione popolare e diretta del Presidente, ma è una semplice trovata elettorale a effetto. Nelle condizioni attuali dell’Unione, un’elezione diretta su scala continentale è semplicemente impraticabile. Ma ció non vuol dire che il futuro Presidente della Commissione debba essere solo il frutto di alchimie politiche tra i maggiori Paesi e non avere un’investitura popolare ampia, anche se indiretta, qual è quella rappresentata dal voto del Parlamento Europeo. Oggi i candidati veri sono due : il Popolare Juncker e il socialista Schulz (il terzo, Tsipras, candidato di una piccola armata Brancaleone vendoliana, non ha alcuna possibilità). Sono candidati diversissimi tra loro per origine, formazione e idee. Juncker significa la saggezza, la buona amministrazione, la prevedibilità. Schulz la fantasia e l’innovazione, con una punta di demagogia. Più che i Governi, sarà questa volta il Parlamento a indicare chi sarà il prescelto.

In conclusione, la posta in gioco è doppiamente alta. Ragione, innanzitutto, per andare a votare. L’astensione è un servizio all’antipolitica, un molto concreto suicidio. Ragione, poi, per votare per quelle forze che, sia pur con diverse sfumature critiche, nell’Europa credono e in Europa vogliono restare, consapevoli che ogni altra scelta condannerebbe il nostro Paese a scivolare nell’irrilevanza e ad affrontare solo e fragile i tanti pericoli dell’epoca in cui viviamo: dalla competizione economica su scala globale agli assalti speculativi, dalle minacce del terrorismo islamico al rinnovato imperialismo dello zar moscovita.

A me piacerebbe che questi temi ed argomenti fossero sempre più al centro del dibattito in Italia. Ma finora il Governo resta silenzioso e pochi organi di stampa li affrontano con profondità. Per lo più prevalgono ancora gli stanchi riti del peggiore provincialismo, tra le battute dell’ex-Cavaliere e i deliri del comico genovese o dei barbari leghisti.  Non ci si meravigli perciò se in Europa, nonostante i proclami e qualche utile sforzo, pesiamo ancora così poco.

©Futuro Europa®

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